Deliberato
“Abu Akleh è stata uccisa in un attacco mirato delle forze israeliane”, “il proiettile che l’ha uccisa proveniva da un’arma israeliana”, “diverse testimonianze attribuiscono la responsabilità ai soldati israeliani”.
Dopo la morte della giornalista di Al Jazeera, tre inchieste indipendenti condotte separatamente da altrettanti mezzi d’informazione sono arrivate alla stessa conclusione.
L’agenzia di stampa statunitense Associated Press, la rete televisiva statunitense Cnn e il gruppo di giornalismo investigativo Bellingcat non hanno potuto esaminare il proiettile che ha colpito Shireen Abu Akleh, ma hanno raccolto e analizzato decine di testimonianze dirette, video, registrazioni audio e le hanno incrociate, verificate e geolocalizzate, per poi sottoporle al vaglio di tecnici forensi ed esperti di esplosivi e di armi.
Nel momento in cui la giornalista è stata uccisa, la mattina dell’11 maggio a Jenin, in Cisgiordania, non erano in corso combattimenti tra palestinesi e israeliani, e – anche se con sfumature diverse dovute all’ampiezza delle prove raccolte nelle tre inchieste – la conclusione comune è che la giornalista sia stata colpita in modo deliberato da un cecchino israeliano: Shireen Abu Akleh indossava un giubbotto antiproiettile, con su scritto a caratteri cubitali “press”, stampa, ed è stata uccisa da un singolo proiettile che l’ha colpita vicino all’orecchio, in un punto non protetto tra l’elmetto e il giubbotto.
Il 26 maggio è arrivato alle stesse conclusioni anche il procuratore capo palestinese Akram al Khatib, che ha reso pubblici i risultati della sua inchiesta: Shireen Abu Akleh è stata uccisa da un soldato israeliano con un fucile di precisione statunitense Ruger M40.
Non è la prima volta che succede. In un articolo uscito online su Internazionale, Catherine Cornet ricorda che secondo la International federation of journalists sono almeno 46 i giornalisti palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane negli ultimi vent’anni. ◆