Foreste
“In Amazzonia il silenzio non esiste. Il fruscio degli alberi, il canto degli uccelli, le gocce d’acqua sulle foglie dopo un forte acquazzone: la foresta parla sempre”. Comincia così un reportage della Bbc sul secondo turno delle elezioni brasiliane di domenica.
La foresta amazzonica occupa una superficie di sei milioni di chilometri quadrati: due in più dell’Unione europea. Nonostante copra solo l’1 per cento della superficie del pianeta, contiene quasi un terzo di tutte le foreste pluviali tropicali rimaste sulla Terra e ospita il 10 per cento di tutte le specie di animali selvatici che conosciamo – e forse molte di quelle che ancora non conosciamo.
L’Amazzonia è vitale non solo per le popolazioni che dipendono dalla foresta pluviale per il cibo, l’acqua, il legno e le medicine, ma anche per il clima. Si calcola che racchiuda circa 76 miliardi di tonnellate di carbonio e che i suoi alberi rilascino fino a 20 miliardi di tonnellate di acqua nell’atmosfera ogni giorno, svolgendo un ruolo fondamentale nei cicli globali e regionali del carbonio e dell’acqua.
Nel 2021 la distruzione delle foreste è rallentata ovunque tranne che in Brasile, dove si è intensificata da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente, nel 2019. Bolsonaro ha attenuato le norme sui terreni agricoli e ha consentito una maggiore deforestazione e un maggiore sfruttamento delle risorse naturali amazzoniche.
Secondo i ricercatori, la foresta si sta avvicinando a un punto di non ritorno, superato il quale andrà persa, “con profonde implicazioni per il clima globale e la biodiversità”.
“Perché le elezioni brasiliane ti riguardano”, era il titolo di un commento della giornalista brasiliana Eliane Brum sul quotidiano spagnolo El País. “Il risultato non avrà effetti solo per il Brasile, ma per il pianeta intero. Gli abitanti di tutto il mondo dovrebbero mettere queste elezioni al centro delle loro preoccupazioni”, perché “se Bolsonaro sarà rieletto, è bene che ci prepariamo ad assistere alla fine dell’Amazzonia”. ◆