Collettivo
Il razzismo fa male alla salute. Il 10 dicembre è uscito un numero speciale della rivista medica The Lancet sul rapporto tra razzismo e salute. La discriminazione su base etnica, religiosa o sociale non produce solo disuguaglianze, ma è un fattore determinante per la salute nel mondo perché comporta, tra le altre cose, una qualità peggiore delle cure. Lo dimostrano tantissime ricerche.
Per esempio, in uno studio su due milioni di gravidanze in venti paesi ad alto e medio reddito, la morte neonatale, i nati morti e i parti prematuri sono risultati più probabili tra le bambine e i bambini nati da donne nere, ispaniche o dell’Asia meridionale. Oppure, l’espropriazione delle terre dei nativi brasiliani è associata a esiti cardiometabolici avversi. Oppure, in Australia la discriminazione quotidiana contribuisce al disagio psichico delle popolazioni aborigene. Oppure, nel Regno Unito le persone originarie del Bangladesh hanno avuto una maggiore probabilità di morire per il covid rispetto alla popolazione bianca britannica.
Nell’editoriale d’apertura, gli autori scrivono che “i sistemi s’intersecano per perpetuare le disuguaglianze. Il razzismo converge con i sistemi di oppressione, compresi quelli basati sull’età, il genere e lo status sociale ed economico, per esasperare o attenuare le esperienze di discriminazione. Il problema centrale è la disuguaglianza di potere, storicamente radicata e ancora oggi diffusa, che modella gli ambienti e le opportunità”.
C’è spazio anche per l’autocritica: The Lancet “opera in un settore dell’editoria scientifica che ha alimentato discriminazioni e iniquità. E, fin dal suo inizio, la rivista ha avuto un ruolo nel sostenere la medicina coloniale e le pratiche sanitarie discriminatorie”.
Il razzismo, conclude The Lancet, non riguarda solo la salute di particolari gruppi perseguitati o esclusi: infligge un trauma collettivo a tutti. Ma il fatto positivo è che ridurre le disuguaglianze e ristabilire la giustizia può portare alla guarigione della società nel suo complesso. ◆