Preziosa
Si chiamava Roshdi Sarraj e faceva il giornalista. È stato ucciso il 22 ottobre durante un bombardamento israeliano a Gaza. Era palestinese, aveva 31 anni, una moglie e una figlia di un anno.
Sono già ventitré i giornalisti uccisi dal 7 ottobre: 19 palestinesi, tre israeliani, un libanese. Nelle ultime due settimane a Gaza sono stati uccisi più giornalisti di quanti ne siano stati uccisi dal 2001, ha detto Sherif Mansour, coordinatore del Committee to protect journalists per il Medio Oriente e il Nord Africa.
“A Gaza un piccolo gruppo di giornalisti sta cercando di raccontare la guerra mentre affronta gli stessi problemi della popolazione palestinese assediata: dove vivere, dove procurarsi cibo e acqua e come stare al sicuro”, ha scritto David Bauder dell’agenzia di stampa Associated press (Ap).
Oltre ai giornalisti dell’Ap, a Gaza sono rimasti quelli di Bbc, Reuters, Afp e Al Jazeera. A tutti gli altri, Israele impedisce di entrare.
Anche i giornalisti che lavorano in Israele affrontano delle difficoltà, seppure d’altro tipo. “Esprimere il proprio dissenso è diventato ancora più complicato”, ha detto Anat Saragusti, dell’Unione dei giornalisti israeliani. Emma Goldberg ha raccontato sul New York Times che chi critica Netanyahu deve affrontare gli attacchi dei colleghi, mentre – come tutti in Israele – è ancora traumatizzato per le azioni terroristiche di Hamas del 7 ottobre in cui tanti hanno perso parenti o amici.
“Nebbia di guerra” è un’espressione attribuita al generale prussiano Carl von Clausewitz e indica quanto sia arduo, durante un conflitto militare, ottenere informazioni attendibili.
Perché di solito nessuna delle parti ha interesse a raccontare fino in fondo la verità e quindi tende a sminuire le proprie sconfitte, a esagerare i propri successi, o addirittura a mettere in circolazione notizie false, approfittando della difficoltà, o perfino impossibilità, di verificarle.
Per questo la presenza dei giornalisti sul campo è preziosa. Sono i nostri occhi e le nostre orecchie. ◆