Sogno
Nel Dictionnaire des idées reçues che Gustave Flaubert cominciò a scrivere a metà dell’ottocento la parola “turismo” non compare. “Era chiaramente troppo presto”, scrive Alain Beuve-Méry su Le Monde.
Nel suo saggio Himalaya Business il giornalista e alpinista François Carrel racconta che alla domanda “Perché scalare l’Everest?” la risposta dell’alpinista George Mallory (che partecipò alle prime spedizioni negli anni venti del novecento) fu “Perché è lì”, mentre la risposta degli scalatori di oggi è “Perché io sono lì”. Nasce così l’overtourism, concetto recente di cui si sente parlare sempre più spesso.
Il sovraffollamento turistico, però, non va confuso con il turismo, e risponde a tre criteri: 1) quando l’eccesso di turismo pregiudica la conservazione di un’opera d’arte o di un territorio; 2) quando il numero di turisti degrada la qualità della visita stessa; 3) quando ci sono manifestazioni di rifiuto delle popolazioni locali.
Bisogna anche ricordare che l’overtourism riguarda la parte privilegiata del pianeta. Secondo il sociologo Jean Viard, “non ci sono abbastanza turisti: solo un miliardo e mezzo di persone attraversano una frontiera ogni anno. Nel 1968 erano 60 milioni, sogno che diventino tre miliardi”.
Il geografo Rémy Knafou indica anche le due sfide che il turismo dovrà affrontare in futuro: “Democratizzazione e decarbonizzazione”.
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