Napoli, 29 settembre 2019. Una famiglia riunita durante una partita di elle, un sport tradizionale srilanchese. (Alessio Paduano, Redux/Contrasto)

Come dice Djarah Kan, scrittrice e attivista, “è meno della metà della metà di ciò che spetterebbe a chi in questo paese vive a pane, permesso di soggiorno e ingiustizia”. Anche se sono state raggiunte le 500mila firme, c’è tempo fino al 30 settembre per continuare a firmare la proposta di referendum sulla cittadinanza e chi non l’ha già fatto può farlo online, è semplice e rapidissimo: referendum cittadinanza.it. Promosso da associazioni e partiti, il referendum punta a ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza legale in Italia necessari per poter presentare la domanda di cittadinanza che, una volta ottenuta, sarebbe trasmessa ai figli e alle figlie se minorenni. In realtà la legge era così fino al 1992 (e dal 1865, quindi per centoventisette anni), quando l’ultimo governo Andreotti pensò bene di modificarla in senso restrittivo per i cittadini non europei. I promotori del referendum spiegano bene che riducendo gli anni di residenza ininterrotta necessari per la cittadinanza il processo non diventerebbe automatico: resterebbero invariati gli altri requisiti tra cui la conoscenza della lingua italiana, il possesso di un “consistente reddito”, l’essere incensurati, il rispetto degli obblighi fiscali e “l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della repubblica”. Se il referendum passasse e ottenesse dunque il suo obiettivo (e si tratta di un grande “se”) il risultato sarebbe semplicemente quello di avvicinarci alla maggioranza dei paesi europei con cui amiamo spesso confrontarci, ma soprattutto darebbe a due milioni e mezzo di persone che vivono, studiano e lavorano in Italia dei diritti minimi, essenziali. È un peccato, osservava Annalisa Camilli in una puntata del Mondo, il podcast di Internazionale, che una questione così importante, che ha delle conseguenze così profonde sulla vita delle persone, sia ostaggio di battaglie ideologiche e identitarie che poco hanno a che vedere con la sostanza delle cose. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati