Edward Snowden alla conferenza Token29 di Singapore, 18 settembre 2024. (Suhaimi Abdullah, Bloomberg/Getty Images)

Mentre in Italia si raccontano i dettagli dell’inchiesta su un clamoroso furto d’informazioni compiuto da persone che accedevano senza autorizzazione alle banche dati dello stato e intercettavano politici, imprenditori e privati cittadini (un’inchiesta che, non senza ironia, è a sua volta il risultato di attività investigative svolte anche intercettando legalmente gli intercettatori illegali), le parole di Edward Snowden suonano più attuali che mai.

L’ex informatico statunitense che rivelò i programmi di sorveglianza di massa del suo governo e di quello britannico aveva detto: “Sostenere che non si è interessati alla privacy perché non si ha nulla da nascondere è come affermare che non si è interessati alla libertà di espressione perché non si ha nulla da dire”.

D’accordo con Snowden sono i miliardari statunitensi padroni dei social media. Mark Zuckerberg ha deciso di chiudere gli account di Instagram e Threads che tracciano gli spostamenti degli aerei privati delle persone famose, tra cui il suo aereo. Una decisione analoga l’aveva presa tempo fa Elon Musk su X.

Questi account non fanno niente di vietato: si limitano ad aggregare e divulgare i dati pubblici che le autorità statunitensi raccolgono su tutti i proprietari di aerei privati e li incrociano con quelli dei servizi di tracciamento dei voli.

Comprensibilmente Zuckerberg è preoccupato per la sua privacy e per la sua sicurezza, e ha deciso di usare il suo potere per tutelarsi. Peccato, nota Allison Morrow sul sito della Cnn, che questi miliardari non riservino la stessa attenzione alla privacy degli altri e non mettano dei limiti a nessun altro account.

Su X, per esempio, si trova di tutto, compresa la propaganda neonazista e le truffe di criptovalute. Per Facebook e Instagram le regole sono un po’ più restrittive, anche se non è difficile incontrare notizie false di ogni tipo.

A suo modo, però, la decisione di chiudere questi account è un riconoscimento del grande potere (e anche dei rischi) dei social media e della loro responsabilità nel diffondere informazioni sensibili.

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Questo articolo è uscito sul numero 1587 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati