
Al cinema c’è un film da non perdere: No other land, premiato a Berlino e candidato agli Oscar. È un documentario realizzato da un collettivo di quattro giovani palestinesi e israeliani. È stato girato tra il 2019 e il 2023 e racconta la sistematica demolizione delle case di Masafer Yatta, un insieme di villaggi in Cisgiordania.
È asciutto e perfino freddo nel descrivere gli interventi dell’esercito israeliano a cui seguono i tentativi degli abitanti dei villaggi di ricostruire le case, spesso semplici baracche, che poi sono demolite di nuovo, alcune anche dodici volte di fila.
Soldati armati di tutto punto accompagnano le ruspe che senza preavviso tirano giù la casupola in cui vive una famiglia. Nonni, genitori e bambini trascinano fuori materassi e pentole, mettono in salvo pecore e galline. La ruspa compie il suo dovere. Gli abitanti protestano ma non possono fermarla.
Masafer Yatta è sulle carte geografiche dal diciannovesimo secolo, però oggi fa parte dell’Area C della Cisgiordania, ed è proprio qui che Israele ha deciso di costruire una zona di addestramento militare.
I bulldozer distruggono la piccola scuola per i bambini del villaggio, una betoniera cola del cemento in un pozzo perché non sia più utilizzabile, i soldati cercano di portare via un generatore elettrico e nella colluttazione sparano a un ragazzo, rendendolo tetraplegico.
Parallelamente alla distruzione del villaggio arrivano i coloni. Protetti dai soldati, terrorizzano i palestinesi e prendono le terre abbandonate. Gli abitanti non hanno scelta, possono trasferirsi oppure accamparsi nelle grotte e, di notte, cercare di ricostruire le case.
È un ciclo che sembra senza fine. Le umiliazioni inflitte dai soldati, l’ostinazione degli abitanti e la loro resistenza pacifica.
Anche se il documentario è stato realizzato da israeliani e palestinesi, lascia poche speranze. Dovrebbero vederlo tutte le persone che insistono nel definire il conflitto mediorientale troppo complicato per capire chi ha torto e chi ha ragione, e soprattutto chi ha la responsabilità di quello che succede e il potere per cambiare il corso della storia. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 3. Compra questo numero | Abbonati