Albert Bourla, 59 anni, è diventato l’amministratore delegato più richiesto al mondo. Dopo che nell’estate del 2021 i vaccini hanno permesso ad alcuni paesi di far ripartire la loro economia, il capo della Pfizer è volato in Cornovaglia, nel Regno Unito, per il vertice del G7 e ha parcheggiato il suo jet privato accanto all’aereo del primo ministro britannico Boris Johnson. Qualche settimana dopo è stato accolto alle Olimpiadi di Tokyo dall’allora primo ministro giapponese Yoshihide Suga. Da quel che si sa, era la prima volta che il palazzo Akasaka, una delle due residenze usate dal governo giapponese per gli ospiti, accoglieva il capo di un’azienda. A settembre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha parlato del greco “Albert” definendolo un suo “buon amico”.

La spettacolare efficacia del vaccino contro il covid-19, lanciato insieme alla tedesca Biontech, ha permesso alla Pfizer di salvare vite umane ed economie. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) stima che se non ci fossero stati i vaccini, quest’anno in Europa sarebbe morto almeno mezzo milione di persone in più. Con email, messaggi e telefonate, i leader globali hanno supplicato Bourla di soddisfare le loro richieste, in alcuni casi sperando che potesse anche salvare la loro carriera politica. Durante la campagna per le elezioni del marzo 2021, che alla fine ha perso, l’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’ha chiamato trenta volte.

Ma mentre i politici occidentali andavano a braccetto con Bourla, i leader di molti paesi più poveri erano esasperati vedendo che il virus dilaniava le popolazioni non vaccinate. Strive Masiyiwa, il miliardario dello Zimbabwe che coordina il programma vaccinale dell’Unione africana, dice: “Ci hanno lasciato annaspare nell’acqua fino a quando non siamo annegati”. Alla fine del 2020 Masiyiwa ha convinto la Pfizer a fornirgli due milioni di dosi per vaccinare almeno alcuni dei circa cinque milioni di operatori sanitari africani. Aspetta ancora con impazienza una bozza di contratto. “Continuavano a ripetere: la prossima settimana. Intanto siamo arrivati ad aprile”, dice.

A maggio l’Unione europea ha stipulato un enorme contratto per 1,8 miliardi di dosi. Infuriato, Masiyiwa ha scritto una lettera di “protesta molto aggressiva” a Bourla in cui gli chiedeva la causa del ritardo. Alla fine ha ricevuto alcune dosi da un’organizzazione gestita dal governo statunitense.

Il covid-19 ha provocato una forte espansione del potere dello stato, dalla politica economica ai lockdown. Ma quando si è trattato di trovare soluzioni sanitarie alla pandemia, i governi sono stati quasi completamente in balìa delle aziende private. Il vaccino ha dato anche una grande influenza politica alla Pfizer. A luglio del 2018 il predecessore di Bourla fu costretto a rinunciare all’aumento dei prezzi dopo essere stato pubblicamente svergognato su Twitter dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Per anni il prodotto più famoso dell’azienda era stato il Viagra per la disfunzione erettile. Ora la casa farmaceutica statunitense fabbrica il prodotto che ha il record di vendite in un solo anno. La Pfizer prevede che nel 2021 grazie al vaccino incasserà 36 miliardi di dollari, più del doppio della rivale Moderna. La sua grande capacità di espandere la produzione l’ha resa di gran lunga la principale fornitrice di vaccini. A ottobre la Pfizer controllava l’80 per cento del mercato dei vaccini anticovid nell’Unione europea e il 74 per cento di quello statunitense.

Grazie al vaccino contro il covid-19, nel 2021 la casa farmaceutica statunitense prevede di incassare 36 miliardi di dollari

Dall’approvazione del vaccino alla fine del 2020, le decisioni della Pfizer hanno influenzato il corso della pandemia. L’azienda ha il potere di fissare i prezzi e di scegliere quale paese viene prima in una lista d’attesa poco trasparente, anche a causa dei programmi di richiamo vaccinale che ora i paesi ricchi vorrebbero accelerare.

A seconda delle sue decisioni, stati, aree geografiche e perfino interi continenti possono far ripartire la loro economia o rischiare di restare indietro nella corsa per controllare il virus. Anche se da settembre le forniture ai paesi più poveri sono aumentate, le disparità globali sono enormi. Finora il 66 per cento degli abitanti dei paesi del G7 ha ricevuto due dosi di vaccino, mentre tra gli africani la quota è ferma al 7 per cento. Le persone che nei paesi ricchi hanno ricevuto la terza dose sono quasi il doppio di quelle che nei
paesi poveri hanno ricevuto le prime due. Il rischio di una distribuzione così disuguale è stato evidenziato dalla nuova e potenzialmente pericolosa variante omicron del virus sars-cov-2. Anche se le sue origini non sono ancora chiare, gli scienziati avvertono da tempo che se gran parte del mondo resta senza vaccino è più probabile che si sviluppino nuove varianti. “Nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro”, afferma Seth Berkley, amministratore delegato della Gavi, l’ente di cooperazione mondiale per l’immunizzazione, un’organizzazione sostenuta dalle Nazioni Unite.

Come la Pfizer eserciti questo nuovo potere – e cosa intenda fare dopo – è un mistero, perché l’azienda mantiene segreta buona parte dei contratti che ha stipulato e vincola anche gli scienziati indipendenti con accordi di non divulgazione. Nessun dirigente della Pfizer ha accettato di essere intervistato per quest’articolo. Attraverso un suo portavoce, tuttavia, l’azienda ha fatto sapere che è “immensamente orgogliosa” dei suoi risultati. “Con più di due miliardi di dosi consegnate fino a oggi, il nostro vaccino ha salvato milioni di vite in tutto il mondo”.

Il Financial Times ha parlato con più di sessanta persone coinvolte nel processo di sviluppo e commercializzazione dei vaccini, compresi alcuni attuali ed ex dipendenti della Pfizer e funzionari di governo di tutto il mondo. L’obiettivo era capire come un’azienda abbia contribuito tanto a salvare il pianeta dal covid-19, realizzando allo stesso tempo un affare redditizio. Le siamo tutti grati di avere un vaccino sicuro ed efficace, ma molti si chiedono se l’equilibrio di potere si sia spostato troppo a favore della Pfizer.

Un grande colpo di marketing

Lawrence Gostin, professore di diritto sanitario globale alla Georgetown university, negli Stati Uniti, sostiene che la Pfizer e altri produttori di vaccini hanno fatto contrattazioni molto dure, perché i politici erano riluttanti a controbattere. “Non ho niente contro le grandi case farmaceutiche. Anzi, penso che abbiano fatto un miracolo, che sia stato un trionfo della scienza. Ma dire che stanno esercitando il loro potere in modo equo, aperto e compassionevole, sarebbe una vera menzogna”.

Il vaccino di cui Bourla ha discusso al telefono con i leader mondiali è stato in realtà creato nei laboratori della Bion­tech, un’azienda tedesca. Alla fine di gennaio del 2020 l’amministratore delegato della Biontech, Uğur Şahin, ha visto emergere il nuovo coronavirus in Cina. Preoccupato che potesse provocare il
caos in tutto il mondo, Şahin, un turco immigrato in Germania che è stato tra i primi a credere nella tecnologia dell’mRna, ha investito le risorse della Biontech nella ricerca di un vaccino. Ma, come la Moderna, la Biontech non aveva ancora prodotti approvati per il commercio e quindi non aveva niente da vendere né tantomeno profitti da investire. Aveva bisogno di un partner che ci mettesse i soldi.

Uno stabilimento per la conservazione del vaccino Pfizer-Biontech. Halle, Germania, 1 aprile 2021 (Luca​ Locatelli, Institute)

Şahin ha tentato subito con la Pfizer, perché avevano già lavorato insieme. All’inizio i dirigenti dell’azienda statunitense hanno esitato all’idea di investire nel vaccino. Ma a marzo del 2020, quando la pandemia ha raggiunto gli ospedali intorno alla sede della Pfizer a Manhattan, le due aziende hanno annunciato una collaborazione.

“Non è neanche loro”, dice un ex funzionario governativo statunitense incaricato delle forniture di vaccini. Il fatto che oggi sia universalmente conosciuto come il vaccino della Pfizer è “il più grande colpo di marketing nella storia dei prodotti farmaceutici statunitensi”. A differenza dell’AstraZeneca e della Johnson & Johnson (J&J), la Pfizer non ha mai pensato di vendere il suo vaccino contro il covid-19 senza realizzare un profitto. E la Biontech aveva bisogno di guadagnare con il suo primo prodotto: avrebbe intascato metà dei profitti, ma la Pfizer avrebbe controllato la commercializzazione in tutti i paesi eccetto la Germania e la Turchia, paesi dei due fondatori della Biontech, e la Cina, dove l’azienda tedesca aveva già firmato un accordo con la Fosun Pharma.

Mentre la Biontech ha ricevuto finanziamenti fino a 375 milioni di euro dal governo tedesco per lo sviluppo del vaccino, la Pfizer ha rifiutato i soldi del governo statunitense per mantenere il controllo completo delle vendite, inclusa la questione cruciale dei prezzi. Perciò, quando ha aperto le trattative con la Casa Bianca all’inizio dell’estate del 2020, secondo alcune persone informate sui fatti, ha adottato una posizione intransigente, chiedendo cento dollari a dose e duecento per un ciclo completo. Un ex funzionario dell’amministrazione Trump, ricorda che Bourla sembrava “sorprendentemente deciso” e insolitamente “coinvolto” nelle discussioni con i rappresentanti del governo, comprese l’autorità antitrust e la Casa Bianca.

Particolarmente tese sono state le trattative con il Sudafrica. Per l’ex ministro della salute Zweli Mkhize le richieste erano “irragionevoli”

Moncef Slaoui era stato incaricato dall’amministrazione statunitense di garantire la fornitura di vaccini. Essendo un veterano della GlasgowSmithKline (Gsk), non era affatto ostile all’industria e conosceva i rischi dello sviluppo dei vaccini. Ma anche lui è rimasto sconvolto dal fatto che la Pfizer chiedesse un prezzo così alto. Durante le trattative la tensione è aumentata. Slaoui sostiene di aver criticato apertamente Bourla perché cercava di trarre vantaggio da una “pandemia che capita una volta ogni secolo”. Un funzionario del governo coinvolto nei negoziati ha accusato la Pfizer di “giocare duro in un periodo di emergenza nazionale”. E poi ha aggiunto: “Come potremmo avere un debole per loro?”.

L’azienda non ha risposto alle domande sulla sua strategia dei prezzi negli Stati Uniti. Ma un suo ex dirigente racconta di aver discusso della difficile arte di fissare il prezzo di un vaccino durante una pandemia. E sottolinea che anche il vaccino per la polmonite della Pfizer, il Prevnar, costa circa duecento dollari. Se l’azienda avesse considerato il costo delle cure dei pazienti ammalati di covid-19 o i benefici della riapertura dell’economia, il conto avrebbe potuto essere ancora più salato. “Se ci fossimo basati su un rapido confronto con il Prevnar, avremmo potuto stabilire un prezzo ridicolmente alto”, dice. “Se avessimo tenuto conto anche delle conseguenze economiche, saremmo potuti arrivare fino a mille dollari a dose, perché potenzialmente il vaccino avrebbe fatto risparmiare migliaia di miliardi di dollari di spese. Ma poi pensi: ‘Non funzionerà’”.

Capacità di produzione

Secondo Slaoui, Bourla ha capito subito che un prezzo del genere avrebbe messo a rischio la reputazione della Pfizer. Dal momento che la Moderna, che aveva ricevuto ingenti sovvenzioni dal governo degli Stati Uniti, aveva concordato un prezzo molto più basso, la Pfizer l’ha fissato a 19,50 dollari a dose nel contratto iniziale con gli Stati Uniti e con altri paesi occidentali. Ma questo era comunque quattro volte il prezzo di una singola dose della J&J e cinque volte quello di una dose dell’AstraZeneca.

Il successo del vaccino Pfizer è stato costruito non sui brillanti risultati della sua ricerca, ma sulla capacità di produzione, che nel 2021 è aumentata vertiginosamente. In questo modo l’azienda è riuscita a sottrarre quote di mercato alle concorrenti AstraZeneca e J&J, che applicavano prezzi più economici. La strategia di mantenere la maggior parte della produzione all’interno ha dato i suoi frutti. Insieme alla Biontech, la Pfizer gestiva nove strutture – le più grandi a Kalamazoo, negli Stati Uniti, e a Puurs, in Belgio – e una ventina di produttori in appalto. Ha fatto di tutto per garantire la produzione. Quando non è stata in grado di trovare un adeguato strumento di conservazione per i suoi vaccini durante il trasporto, ha progettato da sola un contenitore termico. E per assicurarsi il ghiaccio secco necessario per mantenerli freddi ha aperto una fabbrica. Questa combinazione di controllo e competenza ha permesso un notevole balzo in avanti della produttività. Quando la Pfizer ha cominciato a consegnare il vaccino, ci volevano in media 110 giorni per inserirlo in una fiala, oggi ne bastano 31. A gennaio l’azienda ha affermato di poter fornire due miliardi di dosi entro la fine dell’anno, ma ad agosto ha dichiarato che era sulla buona strada per produrne tre miliardi. L’anno prossimo prevede di consegnare quattro miliardi di dosi.

Al contrario, l’AstraZeneca ha avuto difficoltà ad aumentare la produzione. L’azienda farmaceutica anglosvedese, che aveva stretto una partnership con l’università britannica di Oxford, aveva programmato di consegnare trecento milioni di dosi all’Unione europea nei primi sei mesi di quest’anno. Ma a causa di una serie di problemi ha ridotto drasticamente le sue consegne a cento milioni. I politici europei erano così arrabbiati che hanno portato l’AstraZeneca in tribunale. Gli stessi problemi si sono verificati con la J&J, che a un certo punto ha sospeso la distribuzione nell’Unione europea.

I leader europei avevano bisogno dei vaccini per tenere i loro cittadini al sicuro – e per salvare la propria reputazione – e la Pfizer sembrava l’unico fornitore affidabile. “I politici sono rimasti scottati. Quei pochi che hanno cercato di negoziare sul prezzo o su altre forme di accesso sono stati danneggiati politicamente, in particolare nell’Unione europea, dove dopo la prima distribuzione ci sono state forti proteste”, afferma Gostin. “La gente chiedeva: ‘Perché non avete dato alle aziende quello che volevano?’”.

Nel gennaio del 2021 la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha cominciato a chiamare Bourla e a inviargli messaggi. Quando, in primavera, è stato chiaro che la Pfizer avrebbe avuto più dosi a disposizione, ha deciso di negoziare un mega accordo per 1,8 miliardi di dosi, da consegnare entro il 2023. “I paesi dell’Unione volevano garantirsi in anticipo l’accesso al vaccino per i prossimi anni”, afferma Sean Marett, il responsabile commerciale della Biontech, e aggiunge che il prezzo non era il problema principale dei negoziati. “Penso che la cosa più importante fosse la sicurezza e l’affidabilità. La gente aveva paura. Si percepiva. L’Europa era preoccupata dai lockdown e dalle varianti e voleva rassicurare le persone”.

Bourla con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden al vertice del G7. St Ives, Regno Unito, 19 giugno 2021 (Brendan Smialowski, Afp/Getty Images)

Ora l’Unione europea si aspetta dalla Pfizer una quantità di dosi cinque volte maggiore rispetto all’altro suo principale fornitore, la Moderna. Un impegno così grande di solito si traduce in una riduzione dei prezzi. Invece la Pfizer li ha aumentati di oltre un quarto rispetto al livello concordato all’inizio: da 15,50 euro a 19,50. Von der Leyen ha accettato. La Pfizer ha anche aumentato nella stessa misura il prezzo nei contratti del 2021 con gli Stati Uniti e il Regno Unito. Jillian Kohler, direttrice del Centro per la governance, la trasparenza e la responsabilità nel settore farmaceutico, che collabora con l’Oms, afferma che la Pfizer ha sempre avuto la fama di essere “abbastanza aggressiva” e “interessata alla massimizzazione dei profitti a scapito di tutto il resto”. Ma la pandemia ha amplificato il suo potere, “aumentando la sua capacità di fare richieste eccezionali ai governi”.

La casa farmaceutica ha garantito ai suoi investitori che quando il covid-19 entrerà nella fase endemica, cioè quando la sua diffusione sarà più lenta e controllata, sarà in grado di alzare ulteriormente i prezzi. Gli analisti non sono convinti che aumenteranno drasticamente, perché la Pfizer potrebbe avere più concorrenza. Ma il predominio dell’azienda sembra sempre più solido, dal momento che altri prodotti arrivano in ritardo o sono messi da parte. La Pfizer è l’unica dei quattro grandi produttori di vaccini precedenti alla pandemia che attualmente ne vende uno contro il covid-19: la Sanofi e la Gsk non hanno ancora pubblicato i loro dati della fase 3, perché un errore di dosaggio ha annullato la precedente sperimentazione del loro vaccino congiunto, mentre la Merck ha rinunciato a gennaio per gli scarsi risultati ottenuti.

La Pfizer prevede che nel 2022, sulla base dei contratti che ha già firmato a metà ottobre, incasserà 29 miliardi di dollari grazie al vaccino. In una relazione per gli investitori fatta nel febbraio 2021 ha previsto che dopo la fine della pandemia i suoi margini di profitto sarebbero aumentati perché probabilmente i costi sarebbero diminuiti. “C’è una significativa possibilità che quei margini migliorino una volta superata la situazione pandemica”, ha affermato Frank D’Amelio, il direttore finanziario della Pfizer.

I vaccini hanno cambiato la vita a più di metà del mondo, ma restano fuori della portata del 94 per cento degli abitanti dei paesi poveri

I paesi africani

Bourla insiste nel dire che non è concentrato solo sui profitti. “Sono contento che l’azienda registri ottimi risultati finanziari, ma sono ancora più soddisfatto quando entro in un ristorante e ricevo una standing ovation perché tutti pensano che abbiamo salvato il mondo”, ha dichiarato a Yahoo Finance a luglio. Winnie Byanyima, l’ugandese che gestisce il programma globale delle Nazioni Unite per l’eliminazione dell’aids, è rabbrividita quando ha letto quell’intervista. “Non ha salvato il mondo. Avrebbe potuto farlo, ma non l’ha fatto”, dice, citando i tassi di vaccinazione molto bassi in Africa.

La Pfizer ha ridotto i prezzi per i paesi a basso reddito: fino a 6,75 dollari a dose per i più poveri, e tra i dieci e gli undici dollari per i paesi a medio reddito. Un prezzo inferiore a quello della Moderna, ma comunque più alto dell’AstraZeneca. Inoltre, anche se questo rende le dosi più convenienti, molti politici sostengono che la Pfizer li sta facendo penare per averle. Mentre i leader occidentali avevano la possibilità di chiamare direttamente Bourla, per altri era molto difficile riuscire a parlare con qualcuno della Pfizer. “Ci hanno riferito che cercavano di entrare in contatto con la casa farmaceutica e nessuno rispondeva alle loro chiamate”, afferma una persona informata sull’acquisto dei vaccini da parte dell’Unione africana.

Prima di poter stringere accordi, la Pfizer ha chiesto a tutti i paesi di modificare le loro leggi nazionali per proteggere i produttori di vaccini da azioni legali, cosa che molti stati occidentali avevano già fatto. Dal Libano alle Filippine, i governi hanno modificato le leggi per garantirsi le forniture.

Secondo Jarbas Barbosa, vicedirettore dell’Organizzazione panamericana della sanità, le condizioni della Pfizer erano “oltraggiose, considerato che a causa dell’emergenza i governi non potevano permettersi di dire di no”. Ma i negoziatori temevano che respingerle potesse ritardare la consegna delle dosi. Jonathan Cushing, che segue la sanità globale per Transparency international, afferma: “È diventata una gara: chi prenota più vaccini, li riceve più velocemente”.

Secondo Susan Silbermann, l’ex responsabile della sezione vaccini che ha creato la task force covid-19 della Pfizer, l’azienda sapeva che nella fase iniziale non sarebbe stata in grado di rifornire il mondo intero. “Abbiamo capito che i governi erano in fasi diverse della creazione di specifici processi di approvvigionamento contro la pandemia. Non volevamo stipulare prima un contratto con un paese o con l’altro, stavamo portando avanti contemporaneamente più trattative. Spesso dipendeva dalla rapidità con cui i governi rispondevano”, afferma Silbermann.

Particolarmente tese sono state le trattative con il Sudafrica. Per l’ex ministro della salute Zweli Mkhize la Pfizer ha fatto “richieste irragionevoli” che hanno ritardato la consegna dei vaccini. A un certo punto l’azienda aveva chiesto al governo di istituire un fondo per coprire i costi di eventuali risarcimenti, ottenendo un rifiuto. Secondo alcune persone informate dei fatti, il ministero del tesoro sudafricano aveva respinto la proposta di accordo con la Pfizer, sostenendo che equivaleva a “cedere la sovranità nazionale”. Ma la Pfizer ha insistito sull’indennità contro le cause civili e ha chiesto al governo di creare un fondo ad hoc. “I sudafricani mi hanno detto: ‘Ci stanno puntando una pistola alla testa’”, riferisce un alto funzionario che conosce bene la situazione delle forniture di vaccini in Africa. “I governi avevano assoluta necessità di un vaccino e firmavano qualunque cosa gli venisse messa davanti”. Fatima Hassan, la fondatrice dell’ente sudafricano Health justice initiative, afferma che il governo non era in grado di negoziare con una casa farmaceutica come la Pfizer. La sua organizzazione vuole rivolgersi al tribunale per ottenere la pubblicazione dei contratti tra la Pfizer e il governo sudafricano. “Vogliamo sapere su cos’altro hanno giocato pesante”, dice Hassan. “Un’azienda privata non può avere così tanto potere. I contratti dovrebbero essere pubblici, per capire quello che la Pfizer è riuscita a ottenere dai paesi di tutto il mondo”. Un alto funzionario del governo sudafricano non ha fatto commenti sulla Pfizer in particolare, ma ha detto: “Penso che sia immorale per chiunque trarre tanto profitto da una crisi grave per l’intera umanità”.

Un’equipe medica che somministra il vaccino Pfizer-Biontech. Arequipa, Perù, 2 luglio 2021 (Diego Ramos, Afp/Getty Images)

La svolta successiva è arrivata quando l’azienda si è rifiutata di consegnare le dosi prima di aver verificato se i vari paesi avevano le infrastrutture adatte per mantenere i vaccini alle temperature necessarie. Aveva buoni motivi per preoccuparsi: anche molti operatori sanitari occidentali avevano avuto difficoltà a conservare le dosi. Silbermann afferma che la Pfizer aveva la responsabilità di aiutare i governi a capire bene i requisiti, perché “nessun vaccino funziona se resta in un container”. Ma un alto dirigente del Covax, il programma sostenuto dall’Oms che fornisce vaccini ai paesi in via di sviluppo, sostiene che per alcuni governi la Pfizer aveva oltrepassato i limiti. “Certi paesi pensavano di aver risolto tutto, ma poi la Pfizer chiedeva altre cose o non era soddisfatta di quello che avevano fatto”, dice.

A settembre Bourla ha fatto infuriare molte persone insinuando che l’anno prossimo la fornitura di vaccini sarà così abbondante che l’indecisione diventerà l’unico fattore limitante. “La percentuale di persone contrarie al vaccino nei paesi poveri sarà molto, molto più alta che in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone”, ha affermato. Secondo il manager, esistono prove a sostegno di quest’affermazione: il Sudafrica, che ha dovuto affrontare forti carenze all’inizio del 2021, ora ha difficoltà a convincere le persone a usare i vaccini disponibili. Ma l’impressione è che Bourla non sia in contatto con la realtà di un paese con pochi vaccinati. Tom Frieden, l’ex direttore dei Centers for disease control and prevention (Cdc), un’agenzia del governo statunitense che si occupa di sanità pubblica, ha definito questo commento “vergognoso”. Ricorda quello delle persone che “durante la crisi dell’aids affermavano che gli africani non sarebbero stati in grado di prendere gli antiretrovirali perché non sapevano leggere l’ora”, dice Frieden. “È stato incredibilmente irresponsabile”.

Non riuscendo a piazzare i loro ordini, pur tenendo conto delle inevitabili liste d’attesa, alcuni governi hanno cominciato a sospettare che queste ulteriori condizioni fossero una strategia per ritardare le consegne. Bruce Aylward, consulente dell’Oms, spiega che i produttori di vaccini chiaramente non stanno dando la priorità al programma Covax. “Mostrateci la lista d’attesa. Dov’è il nostro ordine? Come siete organizzati? Se avessero rispettato l’elenco, saremmo già stati riforniti molto tempo fa”, dice Aylward.

La Pfizer afferma che i suoi programmi di consegna sono trasparenti, che chiede lo stesso tipo di protezione ottenuto dagli Stati Uniti e che se i paesi non sono in grado di garantirglielo è disposta a collaborare con loro per trovare “soluzioni reciprocamente accettabili”. L’azienda dice di aver contattato tutti i paesi, ricchi e poveri, e che “l’equa distribuzione è stata la nostra stella polare fin dal primo giorno”. Ma dopo quest’intervento iniziale, Aylward ha scoperto che la maggior parte delle dosi era stata prenotata dai paesi ricchi, spesso perché quelli più poveri preferivano i vaccini senza complicati requisiti per la catena del freddo. “Solo nella seconda metà del 2021 il saldo delle forniture è andato a favore dei paesi a reddito basso e medio-basso”, ha aggiunto l’azienda.

Secondo la direttrice del Covax, Aurélia Nguyen, la Pfizer ha rispettato i suoi obiettivi di fornitura al programma, ma aggiunge: “Dal nostro contatto iniziale è apparso subito chiaro che il meglio che Covax potesse aspettarsi nel 2021 erano un numero minimo di dosi”. Aylward sostiene che la Pfizer non è stata abbastanza veloce, ma le va riconosciuto il merito di aver accelerato i ritmi quest’autunno. I vaccini sono stati ormai consegnati in 161 paesi. Nel 2021 la casa farmaceutica ha fornito più di 740 milioni di dosi ai paesi a basso e medio reddito (circa cento milioni provengono dalla donazione dell’amministrazione Biden), e ne ha promesso un altro miliardo per il 2022.

Da sapere
In cima alla classifica
Fatturato dei farmaci più venduti nel mondo, miliardi di dollari (fonte: FINANCIAL TIMES/UN POPULATION DIVISION)

Richard Hatchett, l’amministratore delegato della Coalition for epidemic preparedness and innovations, uno dei sostenitori del Covax, afferma che secondo lui il mondo deve alla Pfizer, alla Moderna, alla Biontech, all’AstraZeneca e a molte altre aziende del settore “un’enorme gratitudine”. L’unica cosa che chiede, per la durata della pandemia, è vedere il registro degli ordini. “Se tutti sono sinceri e stanno solo consegnando nell’ordine in cui le dosi sono state pagate, la trasparenza non dovrebbe essere un problema”, dice. “Calmerebbe un po’ le acque. La tensione su questi temi è molto, molto alta per ovvie ragioni. Insomma, c’è gente che muore”.

Il gioco delle accuse reciproche

A quasi un anno dall’approvazione dei primi vaccini contro il covid-19, le vaccinazioni hanno cambiato la vita a più di metà del mondo. Circa il 54 per cento delle persone ha ricevuto almeno una dose, ma purtroppo i vaccini restano fuori della portata del 94 per cento degli abitanti dei paesi poveri. La prova evidente della disuguaglianza ha scatenato un gioco di accuse reciproche. Alcuni funzionari di governo puntano il dito contro la Pfizer e la Moderna, chiedendo perché le aziende non hanno dato la priorità ai paesi più bisognosi invece di vendere dosi per i richiami ai paesi ricchi. Frieden, l’ex direttore dei Cdc statunitensi, sostiene che i governi spesso “indorano la pillola” ai produttori per ottenere i vaccini di cui hanno bisogno, finanziando progetti di ricerca e sviluppo, formando medici, educando i cittadini e soprattutto comprando miliardi di dosi. In cambio si aspettano che le case farmaceutiche si comportino in modo responsabile. Secondo lui, tuttavia, è “sorprendente” che la Pfizer e la Moderna non lo abbiano fatto: “Ci sono regole non scritte su come devono agire i produttori di vaccini e i governi. I produttori hanno infranto queste regole, quindi forse alcune norme dovrebbero essere riscritte”.

Da sapere
Pochi vaccini tra i più poveri
Terze dosi nei paesi ricchi e totale delle dosi somministrate nei paesi poveri, milioni (fonte: FINANCIAL TIMES/UN POPULATION DIVISION)

Nelle sue dichiarazioni pubbliche Bourla ha spesso attribuito ai paesi a basso e medio reddito, al Covax e all’Oms l’onere di chiedere le consegne. Nella relazione per gli investitori dell’inizio di novembre ha avvertito che i paesi più ricchi se le stavano accaparrando di nuovo. “Ancora una volta, i paesi a basso e medio reddito resteranno indietro nelle consegne perché non hanno effettuato gli ordini”, ha affermato il manager.

Per alcuni esperti di sanità, la colpa non è tanto delle aziende ma dei
paesi ricchi, che hanno messo al primo posto i loro cittadini e si sono sottratti alla responsabilità di garantire una più ampia distribuzione dei vaccini. Nel corso del 2020 i politici occidentali non sono riusciti a finanziare il Covax abbastanza velocemente da consentirgli di muoversi con rapidità quando i vaccini sono diventati disponibili, e non hanno inserito nei loro contratti una clausola che obbligasse le aziende ad aiutare i paesi più poveri. Gli inizi incerti delle consegne, come i ritardi subiti dall’Unione europea, li hanno però messi a dura prova, spingendoli ad accumulare dosi. “Diversi paesi hanno deciso che preferivano ricevere forniture di cui non avevano bisogno”, afferma un ex dirigente della Pfizer. “Molti governi sono stati criticati dalla stampa perché non erano preparati ad affrontare una pandemia”.

Secondo Thomas Cueni, direttore generale della Federazione internazionale dei produttori e delle associazioni farmaceutiche, spetta ai governi con forniture in eccesso – come gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Unione europea e il Canada – assicurarsi che il Covax abbia le dosi necessarie. “Per questi governi, che conoscono il loro livello di somministrazione dei vaccini meglio di chiunque altro, la via da seguire è coordinare la condivisione delle dosi e dare la priorità al Covax per affrontare urgentemente l’iniquità della distribuzione”, afferma Cueni. Anche all’interno dei governi occidentali alcuni riconoscono che si doveva fare di più. “Non avremmo dovuto lasciare alle aziende il compito di capire come procedere. Avremmo dovuto incentivarle a garantire una distribuzione globale”, afferma un funzionario statunitense.

Da sapere
Un netto divario
Quota di persone di età superiore ai 12 anni vaccinate, per reddito del paese, % (fonte: FINANCIAL TIMES/UN POPULATION DIVISION)

I governi spesso non hanno collaborato. A un certo punto del 2020 l’amministrazione Trump ha perfino cercato di ritirarsi dall’Oms. Hatchett è convinto che la distribuzione sia stata penalizzata dalla mancanza di un centro di potere. “Molte autorità governative sono, in una certa misura, in competizione tra loro per i vaccini. Anche quando possono pagare, competono per avere le dosi che hanno ordinato”, dice. “L’Onu e l’Oms non possono costringere nessuno a fare niente”.

La corsa alla vaccinazione nel resto del mondo è stata complicata dai programmi di richiamo dei paesi ricchi. Ora le terze dosi sono a buon punto: Israele le ha già somministrate al 44 per cento della sua popolazione, il Regno Unito al 22 per cento e gli Stati Uniti a poco più del 10 per cento.

Anche prima dell’arrivo della variante omicron, questi programmi di richiamo sembravano destinati a consolidare il dominio della Pfizer sul mercato dei vaccini anticovid vista l’elevata efficacia del suo prodotto e la velocità dell’azienda nella fabbricazione. E la rapida espansione dei piani di richiamo che alcuni governi occidentali hanno annunciato negli ultimi giorni non farà che rafforzare ulteriormente la sua posizione.

La Pfizer ha lanciato la campagna pubblicitaria “La scienza vincerà”, mentre Bourla sta scrivendo un libro sulla sua “impresa”. Il manager ripete che la Pfizer resterà in una posizione di forza nel mercato dei vaccini anticovid perché probabilmente ci sarà bisogno di richiami per anni. Ha dichiarato agli investitori che la Pfizer ha salvato più vite di qualsiasi altra azienda farmaceutica e che i suoi ottanta miliardi di dollari di entrate previsti quest’anno sono probabilmente un record assoluto.

Secondo Geoffrey Porges, un analista della banca d’investimenti Svb Leerink, specializzata nel settore sanitario, questa forza economica alimenterà la crescita della Pfizer per anni: “È stato un colpo di fortuna che capita una volta in un secolo”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati