Ora et labora. Dopo la prima preghiera del giorno, alle quattro e mezzo del mattino, i monaci si mettono all’opera. Fanno il formaggio, lavorano nel panificio o nella foresteria. E producono la birra con cui provvedono a se stessi, secondo la regola di san Benedetto. I trappisti dell’abbazia di Koningshoeven a Tilburg, nei Paesi Bassi, offrono da ormai più di un secolo varie birre chiare e scure con gradazioni alcoliche tra i 4,7 e i 10 gradi, che dalla fine del secolo scorso si vendono con il marchio La Trappe. Il loro prodotto più recente, la Nillis, è “scura, di colore ambrato, con una schiuma bianco panna” e ha un sapore “fruttato e maltato con un piacevole amaro e un retrogusto caramellato”, dicono. Très trappiste, a parte il fatto che non contiene alcol ed è la prima e finora unica birra trappista con questa caratteristica. Quando è stata introdotta, nel 2021, ha provocato sconcerto tra gli appassionati di birra. “Non riesco a capire qual è il fascino, o anche solo il senso, di una trappista analcolica”, ha twittato John Clark, un britannico patito della birra.
E quindi, qual è il senso? “Per cominciare, significa che la tecnologia è avanzata al punto che anche una birra di abbazia può avere una variante analcolica che la gente beve volentieri”, afferma Frits Dunnink, sommelier della birra e autore del libro 0.0: alcoholvrij bier in de Lage Landen (0,0: la birra analcolica nei Paesi Bassi). E, secondo, che c’è più richiesta di birra senza alcol, soprattutto tra le generazioni più giovani e più attente alla salute. Per soddisfarla, i grandi birrifici hanno fatto investimenti che ora “restituiscono una birra più gustosa”. Anche se, per Dunnink, “si resta delusi se si cerca nella birra analcolica qualcosa che non c’è”.
Eppure, questa è sempre meno una scelta “triste” fatta solo da chi deve guidare o dalle donne incinte. E Nillis mostra come sia diventata una birra a pieno titolo.
“Trappista”, tra l’altro, non è un tipo di birra, ma un marchio di garanzia. Per guadagnarselo, una birra deve essere stata prodotta dentro le mura di un convento, sotto la sorveglianza dei monaci. Ma chi, sentendo dire trappista, pensa solo a barili di birra e uomini in sandali, si sbaglia. La Nillis è un prodotto high tech. Viene fatta come una tradizionale birra alcolica presso l’abbazia, anche se non dai monaci ma da laici che lavorano per loro (i monaci vigilano sulla ricetta e sul marchio). Poi esce dalle mura del convento: prima viene portata ai birrai della Swinkels Family Brewers, dove viene privata dell’alcol. Poi è imbottigliata in Belgio e spedita verso i negozi specializzati e gli scaffali dei supermercati.
I tempi erano maturi per la Nillis, dice un portavoce di La Trappe. “Anche noi riteniamo che per gustare qualcosa di buono non si debba per forza consumare dell’alcol”.
Un particolare curioso: “analcolico” e 0,0 non sono la stessa cosa. In gran parte dei paesi europei una birra può essere definita analcolica se non contiene più dello 0,5 per cento in volume di alcol. Nei Paesi Bassi la regola è più rigida: si può chiamare analcolica se ha al massimo lo 0,1 per cento; tra lo 0,1 e l’1,2 per cento si deve usare l’espressione “a bassa gradazione alcolica”. I birrifici esteri, però, non sono tenuti a modificare le loro etichette per il mercato olandese. Del resto, la birra del tutto analcolica non esiste (anche le banane, i crauti o il succo d’arancia fresco contengono per natura una piccola quantità di alcol), ma è consentito arrotondare e definire una birra 0,0 se non si supera qualche centesimo di percentuale.
Nella storia
La birra con una bassa gradazione alcolica è popolare da molto tempo. Nel medioevo era più sicura dell’acqua (dopotutto, una piccola dose di alcol disinfetta). A livello globale oggi ci sono due “strade” per ottenere la birra analcolica: togliere l’alcol a posteriori oppure fare in modo che si formi una quantità minima o nulla di alcol.
Di solito, la birra 0,0 è prodotta con il primo metodo. Nasce come birra alcolica, fabbricata nel modo tradizionale, facendo bollire il malto (un cereale fatto germinare e poi essiccato) con il luppolo e lasciando poi fermentare la miscela zuccherina; da questo processo si formano alcol e anidride carbonica. Poi, dalla birra si elimina l’alcol. Si può fare in più modi, ma molti grandi produttori di birra usano varianti di una tecnica avanzata che si chiama distillazione sottovuoto.
Si porta il liquido a ebollizione a bassa pressione (gli alpinisti conoscono questo fenomeno, succede quando preparano il tè), in modo che l’alcol cominci a evaporare già a bassa temperatura. Insieme all’alcol se ne va anche una parte degli aromi che vi sono disciolti, ma si possono riaggiungere in seguito, o si possono scegliere malti che diano più “corpo” fin dall’inizio.
Il secondo metodo è popolare soprattutto tra i produttori di birra più piccoli che non devono per forza ottenere una birra completamente analcolica. Si può sviluppare meno alcol usando un malto che produce meno zuccheri o zuccheri non fermentabili o interrompendo in anticipo la fermentazione o infine ricorrendo a un lievito speciale che converte pochi zuccheri in alcol. Così facendo, i birrai possono modificare il prodotto all’infinito.
Da qualche anno il birrificio vandeStreek di Utrecht è diventato uno specialista nel secondo metodo. I fratelli Ronald e Sander van de Streek hanno deciso nel 2016 di lasciare il loro lavoro – rispettivamente nel marketing e nell’informatica – e di fare del loro hobby una professione. Hanno comprato dei bollitori dalla Cina e si sono messi a produrre birra a tempo pieno in una zona industriale dove ora, tra un’autorimessa e un ferramenta, c’è profumo di malto. Sander (40 anni) gestisce il processo di produzione, Ronald (38) la parte commerciale.
La birra a bassa gradazione alcolica ha fatto parte della loro produzione fin dall’inizio, ma quando, nel 2016, entrambe le loro fidanzate erano incinte, ai fratelli è venuta la loro idea migliore. “Ce ne stavamo in giardino a bere Jever Fun (una birra tedesca senza alcol, dal basso contenuto di zuccheri)”, racconta Ronald van de Streek. “E di colpo ci siamo chiesti: perché non metterci un po’ di luppolo in più?”.
Nel settecento, l’aggiunta dopo l’ebollizione di una seconda dose di luppolo – un conservante naturale – fu la soluzione per far sopravvivere la birra inglese al viaggio verso le colonie oltremare. In seguito, quella indian pale ale (Ipa) prese piede nel mercato britannico, anche grazie al “potere ristoratore” che si diceva fornisse a “malati e convalescenti”. Ma la Ipa passò presto di moda e solo intorno al 1980 i birrai artigianali statunitensi la riscoprirono non più per necessità ma in virtù del suo originale miscuglio di amaro, aromi del luppolo e acidità fruttata. Da una decina d’anni, la Ipa è una presenza fondamentale presso i piccoli birrifici, e ora anche nei più grandi. I fratelli Van de Streek sono stati i primi nei Paesi Bassi ad aggiungere una variante (quasi) analcolica che ha ricevuto diversi premi internazionali.
Oggi sì e domani no
I postumi domenicali della sbronza erano la norma, nella frenetica vita da studente a Tilburg. Ma quando ha cominciato a non essere lucida nemmeno di lunedì, la trentenne Janine Driessen ha deciso che le cose dovevano cambiare. Nel 2020 ha aderito al dry january (la campagna lanciata da Alcohol change in cui le persone si astengono dagli alcolici per tutto il mese di gennaio) e ha cominciato a interessarsi al mondo delle bevande senza alcol. Ora sceglie in modo consapevole: quasi sempre analcolici e, se le capita di bere alcol, “non vado più avanti a oltranza, ma bevo una birra speciale, per gustarmela”. Sono sempre di più le persone che fanno come lei. La birra di gran lunga più bevuta nei Paesi Bassi è la chiara, ma nel 2022 una birra su dodici era analcolica, secondo i dati dell’associazione dei birrai olandesi. Nel 2019, prima della pandemia di covid-19, era una su sedici. Ora è raro che a una festa non si serva anche birra analcolica, ormai disponibile anche in tutti i bar.
Ondernulpuntvijf.com (Onp5, “sotto lo 0,5 per cento”) è un negozio online che vende birre a basso contenuto alcolico e analcoliche provenienti da tutto il mondo. Il proprietario, Raoul van Neer, ha scelto come motto “Sobrio è cool”. A Janine Driessen è piaciuto. Si è licenziata dal suo lavoro d’ufficio e ora gestisce il sito e il negozio online di Onp5.
“Nel mondo ci sono tre tipi di bevitori di birra”, dice Driessen tra gli scatoloni del magazzino. “C’è il gruppo di chi non beve, non ha mai bevuto e non è disposto a spendere quattro o cinque euro per una birra artigianale senza alcol. Poi ci sono i bevitori incalliti, che non sopportano la birra senza alcol, perché non è autentica; sono quelli che non mangiano neanche le patatine cotte con la friggitrice ad aria. E poi c’è una nuova categoria, gli indecisi, che un giorno bevono alcol e il giorno dopo no. Io sono una di loro”.
Lei preferisce bere birre 0,0 che non hanno un equivalente alcolico. “Se so che deve somigliare all’originale, ho aspettative più alte e rischio di rimanere delusa”.
Finocchio marino, scorza d’arancia, coriandolo, calamondino (un agrume che sa di lime e mandarino). Da dietro enormi balle di malto si sente arrivare il profumo degli aromi che il birrificio Texels inserisce nelle sue birre. Il suo prodotto più popolare è la Skuumkoppe, una birra di frumento scura con il 6 per cento di alcol. Dal 2023 è disponibile anche in una versione a zero gradi. Può sembrare una birra semplice e senza pretese ma in realtà è il risultato di un processo durato più di un anno. Secondo il mastro birraio Tom van der Veen, 38 anni, che ha una formazione da tecnologo alimentare e ha lavorato quindici anni per la Heineken, bisogna rinunciare all’idea di voler produrre le due varianti di birra, alcolica e analcolica, con un sapore identico. Però ci si può andare vicino, “cercando buoni toni predominanti, come il sapore fruttato di albicocca e altri frutti, e di caramello”. In collaborazione con due “case del sapore”, specializzate in fragranze e aromi, sono stati fatti dei prototipi, ciascuno con un equilibrio diverso di aroma e sapore.
Troppo difficile
Per scrivere questo articolo mi sembrava una buona idea vedere da vicino l’intero spettro dei produttori di birra analcolica, dai grandi birrifici a quelli che lo fanno per hobby. Gli ultimi lasciali perdere, mi dice Jacques Bertens. Sono più di quarant’anni che produce la birra da sé, gestisce il forum online Hobbybrouwen.nl e ha scritto il manuale Bierbrouwen voor dummies (Fare birra per dummies). “La birra con meno alcol non è la passione dei birrai per hobby”, dice Bertens, 67 anni. “Preferiscono birre tradizionali, ecco tutto”.
Inoltre, secondo lui il procedimento è troppo difficile. Il lievito usato per la birra a basso contenuto alcolico lascia inalterata parte dello zucchero, ma c’è il rischio che altri lieviti e microrganismi nella bottiglia se ne impadroniscano, producendo alcol e anidride carbonica: “Se non vuoi che le bottiglie esplodano, devi pastorizzare, ma anche quello richiede un calcolo preciso dei tempi. E per molti di quelli che fanno birra per hobby è troppo”.
“Il consumo di alcol è parte essenziale della cultura dell’Europa nordoccidentale”, afferma lo scrittore Frits Dunnink. “Gran parte delle persone non apprezzano il loro primo sorso di birra, ma nonostante questo – o forse proprio per questo – resta un rito di passaggio di molti adolescenti, per imitare gli adulti”.
Allo stesso tempo, diverse ricerche dimostrano che tra i giovani il fascino dell’alcol è diminuito rispetto al passato. “Bevono bibite senza alcol, perché le bevande alcoliche non sono più di moda, sono da vecchi. Se cercano lo sballo, prendono una pasticca al posto di una birra”, sostiene Dunnink. C’è un gruppo di bevitori e birrai incalliti secondo cui la 0,0 è “una perversione”. La realtà, però, è che le nuove birre analcoliche sono un prodotto accattivante, senza quel “sapore grasso di malto” tipico di quelle degli anni ottanta. “Più una birra è difficile da produrre, più è complicato farne una versione senza alcol”, spiega. “E se c’è una birra in cui saper fare il proprio mestiere è importante, è la pilsner”.
“La pilsner è il test fondamentale”, conferma Peer Swinkels, amministratore delegato di Swinkels Family Brewers (Sfb), il secondo maggiore gruppo di birrifici nei Paesi Bassi. “Perché è una birra ‘nuda’, in cui si sente ogni errore, ogni deviazione dall’originale”. Negli anni settanta Sfb produceva già una bevanda al malto senza alcol, destinata soprattutto all’esportazione nei paesi musulmani. Ma nel 1989 l’azienda di famiglia riuscì a portare sul mercato un’analcolica che aveva il sapore della birra. Il mastro birraio Wim Swinkels (morto nel 2023) aveva scoperto come portare il mosto, la birra base, a contatto con il lievito a bassa temperatura senza che si formasse alcol. Il risultato fu poco soddisfacente. L’unico successo fu la consegna di sessanta milioni di lattine alle forze armate statunitensi durante la guerra del Golfo (1990-1991). La bevanda è ancora popolare nei paesi musulmani.
Stili diversi
In seguito, il mercato olandese per l’analcolico ebbe un crollo, fino a rappresentare non più dello 0,5 per cento di tutta la birra venduta nel 2009. Quello fu il momento in cui la Sfb decise di investirci di nuovo. La cosa portò, tra l’altro, a dei divertenti spot pubblicitari, tra cui uno con l’attore Charlie Sheen, ex alcolista, e un altro in cui l’enfant terrible Mickey Rourke non si accorge che gli è stata servita una birra senza alcol. “Il nostro messaggio era sempre lo stesso: un uomo non deve vergognarsi di essere visto con una 0,0 in mano”, spiega Swinkels.
Nacquero così nuove birre, racconta il capobirraio Wietse van den Bogaard nel reparto di ricerca dell’azienda, dove si svolge in miniatura l’intero processo di produzione della birra. Ci sono bollitori, vasche di raffreddamento, tavoli da laboratorio con boccette di vetro e qualche caffettiera dell’Ikea.
La Ipa senza alcol è stata sviluppata perché “c’era richiesta del mercato”, dice Van den Bogaard. Ma la birra bianca 0,0 è stata un’iniziativa dell’azienda e “ha scatenato una rivoluzione, perché era arrivato un sapore davvero nuovo nel mondo dell’analcolico”. Questo ha influito anche nella decisione di sviluppare un processo di produzione del tutto nuovo, che si conclude con una distillazione a freddo. Qui sono private dell’alcol anche la Nillis dei trappisti e diverse altre birre della Swinkels. E durante la pandemia l’alcol che avanzava (visto che la birra non poteva essere venduta nei bar) è servito per fare disinfettante per le mani.
Usando come ingredienti solo acqua, malto, luppolo e lievito, si può produrre una quantità incredibile di birre e stili di birra diversi; alla Swinkels parlano della “tavola periodica delle birre”, in cui ogni “casella” sembra ormai riempita. C’è ancora spazio per nuove birre? “Chi avrebbe mai pensato che avremmo prodotto una birra speciale senza alcol?”, dice Van den Bogaard. “Non credo che la tavola periodica sarà mai piena”. ◆ oa
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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati