Carlos van Ree imbocca agilmente l’autostrada con la sua Volvo XC 90 nera e preme il pedale dell’acceleratore. L’auto sfreccia in avanti, le schiene sono schiacciate sullo schienale. In pochi secondi lo sport utility vehicle (suv) da 2,3 tonnellate raggiunge i cento chilometri orari e Van Ree si immette nel traffico. “Sì, è un bestione enorme, troppo grande e pesante, ma per me è un’auto sensazionale”.

È stato amore a prima vista, racconta Van Ree. Ha visto un video e si è convinto immediatamente: “Mi ha fatto pensare alle serie tv statunitensi, dove si vedono agenti dell’Fbi che scendono da auto del genere, o politici che le usano per farsi scarrozzare in giro. Per me è stato un sogno che si avverava. Adesso posso toglierlo dalla lista dei desideri”.

Cina (AerialPerspective Works, Getty)

Van Ree, 42 anni, è un funzionario del governo locale e nel tempo libero costruisce tiny house, delle microcase. L’automobile è utile soprattutto per il suo hobby: non ha più bisogno di noleggiare un furgone per portare il materiale e riesce perfino a trasportare casette prefabbricate su ruote fino alla destinazione finale. Un altro vantaggio inaspettato: Van Ree è nero e prima gli succedeva spesso di essere fermato dalla polizia, ora non più. “Penso che sia per via della Volvo. È un marchio che parla da sé”. L’auto, poi, è perfetta per la famiglia. Quando si parte per le vacanze sulla neve c’è spazio sia per gli sci sia per i bagagli, e la famiglia sta comunque comoda. “E se qualcuno dovesse venirci addosso, le mie figlie sono più protette. So che sono pretesti”, ammette Van Ree. “Un’auto simile è ingiustificabile, ma non vorrei guidarne mai più nessun’altra”.

Cosa spinge a comprare un suv? Una macchina che dà sempre nell’occhio, troppo ingombrante da parcheggiare, con costi esorbitanti sia in concessionaria sia dal benzinaio, che terrorizza gli altri, che suscita insofferenza e rabbia e che sembra un grande dito medio verso il clima?

Partiamo dalla sicurezza stradale. Un’auto robusta è sicura… per i suoi passeggeri. I ciclisti invece sono sempre meno al sicuro in città, come emerge da un’inchiesta dell’Unione dei ciclisti olandesi. In quattro comuni su cinque negli ultimi anni i ciclisti dicono di essere più stressati e ritengono che le strade siano meno sicure per anziani e bambini. In nessun altro paese al mondo ci sono tante piste ciclabili, strade in cui “le auto sono ospiti” e zone con limite di 30 chilometri all’ora, ma tutte queste misure non hanno aumentato la sensazione di sicurezza. I ciclisti hanno sempre più paura a condividere la strada con le auto.

Incidenti più gravi

Alcuni studi recenti dimostrano che è un timore fondato. Nel 2023 nei Paesi Bassi circolavano circa 9,2 milioni di automobili, tra cui 1,6 milioni di suv. Questi veicoli pesanti non causano più incidenti, ma incidenti più gravi, con un tasso maggiore di infortuni gravi e mortali. Nella maggior parte dei casi le vittime non sono i passeggeri dei suv ma pedoni, motociclisti o ciclisti. Si tratta di una semplice legge della fisica: più un corpo è pesante, più danni farà nello scontro con un altro corpo. L’altezza dell’auto e la forma della parte anteriore sono fattori importanti. Ciclisti e pedoni subiscono lesioni più gravi se sono investiti da un suv perché nell’urto sono spesso prima scaraventati a terra e poi investiti.

Il settimanale britannico The Economist, che non può essere certo accusato di sensazionalismo, di recente ha pubblicato un articolo sui suv in cui li definisce killer cars, auto assassine. Il settimanale ha analizzato i dati di 7,5 milioni di incidenti stradali avvenuti negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni e ha individuato una drammatica correlazione tra massa del veicolo e morte per incidente. Sicuramente il conducente di un suv è più al sicuro, ma per ogni vita salvata a bordo di uno di questi giganti ci sono stati dodici morti nei veicoli più leggeri coinvolti in uno scontro.

Corea del Sud (Insung Jeon, Getty)

È vero che i suv statunitensi sono più grandi e pesanti di quelli europei e che l’inchiesta dell’Economist riguardava la categoria dei suv più pesanti (intorno alle tre tonnellate), ma anche sulle nostre strade viaggiano veicoli di 2,7 tonnellate in grado di raggiungere i cento chilometri orari in 4,3 secondi. In ogni caso l’inchiesta ha mostrato risultati preoccupanti anche per le auto meno estreme. Quelle con una massa di 2,2 tonnellate – non rare nei Paesi Bassi – sono state coinvolte in diecimila incidenti con 26 morti, di cui 5,9 a bordo della propria auto. Nelle macchine che pesano il 10 per cento in meno, la cifra scende a 10,3 morti ogni diecimila incidenti. Se fosse questo il massimo peso consentito negli Stati Uniti, ci sarebbero 2.300 morti in meno all’anno.

Marco te Brömmelstroet aveva nove anni quando un amico è stato travolto e ucciso davanti ai suoi occhi: “Dopo l’incidente, anche la donna che era alla guida ha praticamente smesso di vivere. Pensate a tutte le persone che restano traumatizzate da un incidente simile. Provate a vedere che conseguenze ha, al di là delle cifre”.

Oggi Te Brömmelstroet insegna Urban mobility futures all’università di Amsterdam. E lo fa arrabbiare che la responsabilità della sicurezza stradale ricada principalmente sulle vittime. “Ogni volta che si pubblicano nuovi dati sulle morti stradali, si parla dei caschi per i ciclisti, di migliorare l’illuminazione oppure dei gilet ad alta visibilità. Insegniamo ai bambini di quattro anni come affrontare i pericoli sul tragitto verso scuola, ma il pericolo in sé non viene messo in discussione: il numero crescente di auto, oltretutto sempre più grandi, pesanti e veloci. È un mondo al contrario: evidentemente accettiamo il fatto che in media diciassette bambini siamo coinvolti ogni giorno in incidenti stradali”.

L’immagine dei suv come auto sicu­re ormai non regge più. Dall’inchiesta dell’Economist emerge che le macchine più leggere possono essere altrettanto sicure per le persone a bordo e sono meno pericolose per gli altri.

I suv hanno cominciato a circolare sulle strade statunitensi negli anni novanta. Una decina d’anni dopo sono arrivati in Europa. Qui nel 2010 un’auto nuova su dieci era un suv. Nel 2020 il rapporto si è quadruplicato. Oggi anche in Europa i suv sono la maggioranza delle auto nuove.

Hanoi, Vietnam (Vuk8691, Getty)

Ogni segmento automobilistico ha i suoi mostri: il suv più piccolo è lungo quattro metri, il più grande 5,17. In media comunque i suv sono più lunghi di venti centimetri, più alti di trenta e più pesanti del 40 per cento rispetto a un’auto “normale”. E continuano a crescere: ogni anno si aggiungono venti chili di peso e mezzo centimetro di lunghezza. È una crescita fuori misura: con una lunghezza media di quattro metri e ottanta, ormai hanno quasi raggiunto il limite di un parcheggio standard.

Gli altri utenti della strada difendono il proprio spazio con rabbia e ironia. Nei Paesi Bassi i suv sono a volte chiamati asobak, cioè catafalchi per antisociali.

In una scena della serie cult degli anni novanta Absolutely fabulous la protagonista prova a scendere elegantemente da un Hummer e precipita rovinosamente per vari metri. Ci sono anche delle barzellette: un tizio chiede sbalordito all’amico che gli mostra orgoglioso il nuovo macchinone: “E la foresta pluviale? E i ghiacciai?”. E quello risponde: “Tranquillo, ha la trazione integrale! Possiamo andare dove vuoi!”. Su internet si trovano foto di suv con la torretta di un carro armato e si possono ordinare adesivi con la scritta My suv and me… doing our part for global warming (Io e il mio suv facciamo la nostra parte per il riscaldamento globale). Ma il primo premio va all’amministratore delegato di un’azienda… produttrice di automobili, la Renault: “Non c’è bisogno di due tonnellate di plastica e acciaio per trasportare una persona di ottanta chili”, ha dichiarato in tv. “Il suv è un mostro ecologico”.

Campagne mirate

Ma chi compra queste macchine? La pubblicità è una fonte affidabile per capire cosa muove i proprietari dei suv. Dopotutto le agenzie pubblicitarie studiano attentamente il loro target e di certo lo fanno nel settore automobilistico. Per questo motivo la Fondation Jean Jaurès, un centro studi del Partito socialista francese, ha esaminato attentamente gli spot pubblicitari andati in onda in tv nel 2022 e 2023. Su quali emozioni facevano leva? Al centro c’erano in particolare libertà e anticonformismo: due valori accostati all’automobile fin dagli esordi. Ma se un tempo al volante c’era sempre un uomo, oggi i produttori di automobili puntano soprattutto sulle donne.

Nelle pubblicità compaiono al volante “donne audaci, assertive e indipendenti”. I ricercatori hanno tracciato un parallelo con le pubblicità delle sigarette all’inizio del novecento. Con l’aiuto di Edward Bernays, inventore delle pubbliche relazioni (e nipote di Sigmund Freud), le aziende riuscirono a trasformare le sigarette in un simbolo di emancipazione femminile, “fiaccole di libertà” usate per abbattere il patriarcato. Anche per le auto si usa la stessa retorica. Il suv è presentato come simbolo di una posizione migliore per le donne all’interno della società. Una giovane donna sale sul suo suv e dà un comando all’intelligenza artificiale di bordo: “Alexa, cancella i miei appuntamenti di oggi”. Per i ricercatori è difficile trovare una scena che descriva meglio il messaggio.

Qingdao, Cina (Cheunghyo, Getty)

La natura è il terzo tema onnipresente. Con un suv sembra possibile attraversare senza problemi anche le aree più selvagge. Ci si può vedere una buona dose di evasione ma anche il desiderio di domare una natura che incute timore. Al quarto posto: la sicurezza. Le auto sono un “bozzolo sicuro e tranquillizzante”. E per finire: i valori della famiglia. “In moltissime pubblicità si vedono bambini intenti in varie attività, ma sempre accompagnati dalla presenza attenta e rassicurante dei genitori”.

Negli spot dei suv non ci sono letteralmente limiti. Libertà, autonomia, personalità, protezione della famiglia e passione per i viaggi non sono mai messe in discussione rispetto alle loro conseguenze. Chi guida un suv non si trova mai a dover fare i conti con la libertà, la sicurezza e il benessere degli altri. E questo si può perdonare in un sogno, ma se diventa l’immagine della realtà c’è un problema. In effetti non tutti condividono questa idea di benessere.

Che il suv non sia un simbolo di unità emerge anche nel libro L’equilibrio dell’anima. Perché l’uguaglianza ci farebbe vivere meglio (Feltrinelli 2019). Secondo i due epidemiologi britannici Richard Wilkinson e Kate Pickett i paesi con meno disuguaglianza economica hanno più successo di quelli con un grande divario tra poveri e ricchi. Nel libro, che ha ricevuto lodi e critiche, definiscono il suv un “segno di relazioni sociali intaccate e di mancanza di fiducia tra le persone”.

Miti e modelli

Gli autori citano anche Josh Lauer, uno dei primi ricercatori che ha osservato l’avanzata dei suv da un punto di vista scientifico: “Lauer è arrivato alla conclusione che quella tendenza fosse un riflesso dell’atteggiamento statunitense nei confronti del crimine e della violenza, dell’ammirazione per un individualismo estremo e del bisogno di isolarsi dagli altri”. È giusto sottolineare che la ricerca di Lauer riguardava gli Stati Uniti degli anni novanta e che gli olandesi, secondo l’Istituto nazionale di ricerca (Cbs), negli ultimi anni si sentono invece sempre più al sicuro. Se il suv è associato alla criminalità, è per il motivo opposto, cioè perché ai criminali piacciono le auto grosse.

Pesano anche in Europa invece l’individualismo (in aumento secondo il Cbs) e l’esigenza di isolarsi (estremismi, covid). E poi non siamo sempre più consapevoli di una nuova forma di violenza, quella della natura? Le immagini di inondazioni e incendi contribuiscono forse alla popolarità dei suv, che ci danno la sensazione di poter attraversare, se necessario, fiumi di fango o fiamme per metterci al sicuro?

Secondo Lauer le due giustificazioni più diffuse per l’acquisto di un suv – sicurezza e spazio interno – vanno interpretate come eufemismi. “La sicurezza non è la sicurezza stradale, ma la sicurezza personale. Lo spazio non è lo spazio di carico ma lo spazio sociale, incluso il privilegio di poter attraversare luoghi inospitali per allontanarsi dalla società”.

Il conducente tipo di un suv è una persona – uomo o donna –un po’ frustrata: ha un lavoro, una famiglia e responsabilità, una vita che magari non corrisponde all’immagine che ha di sé, quella di una persona libera di fare quello che vuole. Così diceva Alexander Edwards, presidente della Strategic Vision, un’azienda di indagini e consulenza per il settore automobilistico, in una recente intervista. E lo diceva con cognizione di causa: la sua azienda fa ogni anno centinaia di migliaia di indagini approfondite tra gli acquirenti di auto nuove. “Comprando un suv, con tutte le possibilità che offre, quel gap emotivo viene colmato. Chi lo compra in pratica dice: ecco, io sono questa persona, anche se non faccio tutte queste cose”.

Carenza emotiva

Non tutti però possono curare le ferite dell’anima con un suv. La stragrande maggioranza delle persone compra auto usate. Solo il 20 per cento sceglie un veicolo nuovo. E in questo caso per lo più prende un suv. Si tratta in primo luogo di aziende e società di leasing: sette auto aziendali su dieci nella fascia tra i venticinquemila e i cinquantamila euro vendute nei primi sei mesi del 2024 erano suv. I privati che decidono di spendere dal 20 al 60 per cento in più per avere un modello più spazioso rappresentano un piccolissimo segmento del mercato automobilistico. “La richiesta di suv è alimentata da grandi aziende e privati facoltosi”, afferma Lucien Mathieu della Transport & Environment, un’influente associazione di ong che lavorano nel campo dei trasporti e dell’ambiente. Il suv è l’equivalente stradale del jet privato: è il simbolo di un’impronta ecologica sproporzionata.

Per la maggior parte dei guidatori un suv non soddisfa un bisogno pratico, ma è l’espressione di una carenza emotiva alimentata da un marketing ben studiato.

Potrebbe sembrare che una decina di anni fa gli automobilisti abbiano sviluppato improvvisamente un forte desiderio di suv. Ma le cose non sono andate così: è ai produttori automobilistici che è venuto il forte desiderio di risollevare le vendite di questi modelli. Così hanno incanalato i loro desideri in una campagna di marketing. Secondo un’indagine del Wwf, nel 2019 in Francia i costruttori di automobili hanno speso quasi due miliardi di euro per cercare di vendere i loro modelli maxi, molto più di quanto hanno speso per pubblicizzare berline e utilitarie. La popolarità dei suv non è dovuta quindi alla domanda ma all’offerta.

Il suv è amato e deriso. È una grande contraddizione. Un conflitto su ruote

Per gli ingegneri e gli sviluppatori del settore automobilistico i suv non rappresentano di certo una grande sfida: si tratta di integrare la tecnologia esistente in un veicolo più grande. A entusiasmarsi sono piuttosto contabili e azionisti: anche se produrre suv non è esponenzialmente più costoso, le auto più grandi hanno anche un prezzo più grande.

In media un suv in Europa costa a chi lo compra il 59 per cento in più di una berlina. I costi per chi lo produce, però, non aumentano in modo proporzionale alle dimensioni dell’auto. I costruttori chiedono indicativamente due terzi in più per un’auto che è al massimo di un terzo più spaziosa e che producono a un costo poco più alto di un’auto normale. Ecco perché la maggior parte dei produttori europei, che nel complesso vendono meno auto, continuano a registrare incassi miliardari.

Va da sé che un’auto di grandi dimensioni abbia un’impronta ambientale maggiore. Soprattutto a causa del peso. Il 70 per cento delle emissioni di CO2 è causato dall’energia necessaria per muovere e mantenere in movimento una massa così imponente: i suv hanno bisogno fino al 20 per cento di carburante in più. I veicoli a combustione interna sono diventati più efficienti, ma non basta. “Tra la metà e i due terzi dei minori consumi ottenuti migliorando l’efficienza si perde a causa dell’aumento di peso”, ha spiegato in tv Norbert Ligterink, dell’Organizzazione olandese per la ricerca scientifica.

Se tutti i suv messi insieme formassero una nazione, questa sarebbe al sesto posto nella classifica mondiale dei paesi con le maggiori emissioni, con novecento milioni di tonnellate di anidride carbonica. È quanto risulta da un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia. Per compensare questi numeri, gli scienziati hanno calcolato che le auto elettriche in circolazione dovrebbero essere il doppio rispetto a oggi.

E un suv elettrico, allora? La sua impronta complessiva è superiore del 70 per cento di quella di un’auto elettrica standard. Un ibrido, allora? Alimentato sia da un motore elettrico sia da uno a combustione, farebbe parte delle macchine più pesanti sulla strada. Ci sono poi altri svantaggi dal punto di vista ambientale. Più emissioni dal tubo di scappamento significano anche più polveri sottili dannose per la salute. Auto più grandi richiedono più materie prime. Caricare le grandi batterie dei suv elettrici mette in difficoltà una rete già sovraccarica. Secondo alcuni la messa a punto di auto elettriche europee a buon prezzo procede a rilento perché i produttori sono impegnati con altro. E i partiti ambientalisti mettono in guardia: il fatto che la politica non metta in alcun modo i bastoni tra le ruote a questi ecomostri è un freno per il passaggio alle auto elettriche.

I consumatori conoscono le conseguenze dell’“autobesità”: tutte le pubblicità di suv riportano (per obbligo di legge) il consumo medio di carburante e le emissioni medie di CO2. Ma a quanto pare questi numeri non sono abbastanza scoraggianti. Com’è possibile che in Europa le norme per le emissioni di CO2 diventino sempre più severe e allo stesso tempo sulle strade aumentino le auto dai consumi elevati? Ci sono delle scappatoie? L’Unione europea non interviene abbastanza duramente nei confronti dei trasgressori? A Bruxelles sono consapevoli del paradosso, ma sono rassegnati a una logica che all’apparenza appare quasi assurda: senza suv, niente passaggio all’elettrico. Eh già. La morale politica europea dominante è imporre delle norme alle aziende senza stabilire in che modo queste debbano rispettarle. In altre parole: finché i produttori di automobili rimangono al di sotto del loro tetto massimo di emissioni, a Bruxelles non interessa se lo fanno con i suv.

Il mercato dell’auto
Numero di automobili nuove vendute nell’Unione europea, per segmenti, milioni (S&p global mobility)

Per il momento i produttori sono riusciti senza problemi a restare sotto al limite di emissioni stabilito. Ogni tanto è volata qualche multa ma l’ecatombe prevista dagli analisti qualche anno fa non c’è stata. Per il momento la multa più alta l’ha avuta (nel 2020) la Volkswagen: cento milioni di euro. Niente più che uno spavento, per un gruppo che nello stesso anno ha raggiunto i dieci miliardi di utili. Allo stesso tempo l’azienda tedesca si confermava leader di mercato dei suv. Come? Due risposte: fattore di mass adjustment ed emission pooling. Il primo è un calcolo complesso che stabilisce con precisione il limite di emissioni per ogni produttore. La formula, però, è fatta in modo che chi produce auto più pesanti possa emettere di più. Non è una cosa logica, ma una tipica soluzione di Bruxelles alla minaccia tedesca di mandare all’aria tutta la normativa sulla riduzione delle emissioni. Con un’industria automobilistica che produce automobili relativamente pesanti, il paese sarebbe stato colpito “in maniera sproporzionata”.

L’emission pooling è un’altra spiegazione alla crescita indisturbata dell’offerta di suv nonostante le norme antiemissioni. Bruxelles ha permesso ai produttori di auto di formare delle alleanze prima che le loro emissioni venissero quantificate. Quindi unendosi a un produttore di auto elettriche un costruttore di suv può far abbassare il suo valore medio di emissioni. La Stellantis, che possiede marchi di auto come Dodge, Jeep e Ram (definite muscle cars dalla stessa azienda) ha cercato riparo da Tesla; Ford da Polestar; Volkswagen da un paio di piccoli produttori di automobili elettriche.

Si può dire che negli ultimi anni ai produttori di automobili è stato concesso spazio di manovra sufficiente a far crescere i propri modelli e profitti. Ma nel 2025 la soglia delle emissioni si abbasserà ulteriormente, il gradino sarà più alto dell’ultima volta e per le case automobilistiche diventerà più difficile farla franca, afferma l’europarlamentare Bas Eickhout.

Il suv è estremamente pericoloso in città e inutile in autostrada. Previene incidenti mortali causandone allo stesso tempo molti altri. Convince i potenziali compratori facendo leva sulla loro indipendenza. Ricorda ai proprietari ciò che non hanno. È tollerato per il bene del clima, ma contemporaneamente avvicina i disastri da cui si spera di fuggire. È amato e deriso. Il suv è una grande contraddizione. Un conflitto su ruote.

Mettere un limite

Qual è la soluzione? In Giappone il parcheggio è un problema privato: se vuoi comprare un’auto, devi poterla parcheggiare in un terreno privato o in un garage. Nei Paesi Bassi parcheggiare in strada è permesso dagli anni sessanta. “La conseguenza”, dice il professore universitario Marco te Brömmelstroet, “è che ora gli amministratori di varie città si trovano ad affrontare la questione di come far diventare più grandi i parcheggi”. A Parigi da quest’anno il parcheggio per un suv costa tre volte di più. Amsterdam e Utrecht stanno studiando misure simili. “Ma è difficile trovare una base a livello normativo”, dichiara un portavoce del comune di Amsterdam.

“Anche se un suv va a trenta all’ora, ti arrivano comunque addosso 2,5 tonnellate a otto metri al secondo”, spiega Te Brömmelstroet. “La velocità dev’essere abbassata vicino alle scuole elementari e nelle vie del centro. Si può fare realizzando un geo-fence, un sistema che regola automaticamente la velocità delle auto che passano”. Si apriranno indubbiamente altre questioni, per esempio quella sulla privacy. “Ma si potrebbe cominciare, come a New York, con i mezzi pubblici, i furgoni delle consegne e i taxi”.

Un gruppo di attivisti per il clima, i Tyre extinguishers, si aggira di notte per le strade delle grandi città per sgonfiare le gomme dei suv. Non danneggiano niente e con un bigliettino fanno gentilmente presente al proprietario che guidare con le ruote sgonfie è pericoloso.

Ma far sparire i suv dalle città non dipende dalle soglie massime di CO2 (dopotutto ci sono anche suv elettrici), da recinzioni invisibili (aggirabili) o dai costi del soccorso stradale e del parchimetro (chi possiede un suv di solito se li può permettere). Il colpo di grazia per il suv sarà una normativa stringente sull’efficienza energetica. I Verdi l’avevano proposta al parlamento europeo ma non sono (ancora) riusciti a farla approvare. “Non è stupido”, si chiede Eickhout, “che il tuo bollitore debba rispettare un sacco di normative energetiche ma la tua auto no?”. ◆ vf

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Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati