Bunny aveva qualcosa che non andava. La sua padrona, Alexis Devine, un’artista e creatrice di gioielli sui quarant’anni, l’aveva appena riportata a casa dopo una passeggiata autunnale a Tacoma, nello stato di Washington. Di solito Bunny, una giovane e vivace sheepadoodle, rientrava a casa esausta, ma stavolta non riusciva a calmarsi. Per molti proprietari di cani di solito questo è l’inizio di una frustrante serie di interrogativi. Bunny aveva fame? Doveva fare dei bisogni? Si annoiava?
Devine, però, aveva un’arma segreta. Bunny si è avvicinata a un gruppo di forme esagonali colorate disposte sul pavimento del salotto e ha poggiato la sua zampa su uno dei pulsanti. L’apparecchio ha emesso un suono con la voce di Devine: “Arrabbiata”. Il cane ha osservato la padrona, in attesa.
“Perché sei arrabbiata?”, ha chiesto Devine.
Bunny ha premuto un altro pulsante. “Ahia”, ha detto la voce registrata.
“Dove ‘ahia’?”, ha ribattuto Devine.
Il cane ha risposto premendo i pulsanti corrispondenti alle parole “estraneo” e “zampa”. Devine ha controllato le zampe di Bunny e tra il pelo sotto la zampa anteriore sinistra ha trovato l’“estraneo”: un forasacco lungo circa tre centimetri.
Nell’ottobre 2020 il video di questa interazione è diventato virale su TikTok. Il motivo è facilmente intuibile: chi non vorrebbe vedere un video di un cane parlante? Fin da quando hanno sviluppato l’immaginazione, gli esseri umani hanno sempre sognato di comunicare con gli altri animali, di chiacchierare con un ghepardo o d’imprecare in perfetto cangurese (per dirla con una canzone di un musical adattato da Doctor Dolittle). Ogni progresso apparente verso questo obiettivo fa battere il cuore di chi ha animali domestici.
Esistono infinite fiabe, favole e storie di tutto il mondo in cui gli umani sono in grado di comunicare con gli animali, e viceversa
C’è una lunga e oscura storia di animali addestrati a “parlare” in modi che gli umani sostenevano di poter comprendere. Ma questo caso sembra diverso. Bunny è una dei tanti cani di tutto il mondo che usano il sistema dei pulsanti parlanti, le cosiddette tastiere per la Comunicazione aumentativa e alternativa (Aac). Al momento non è chiaro se comunichino intenzionalmente, memorizzino combinazioni di azioni o facciano qualcosa di completamente diverso, ma la risposta potrebbe arrivare presto. I ricercatori dell’università della California di San Diego stanno realizzando uno studio di vasta portata in cui i proprietari raccolgono e presentano autonomamente i dati relativi a duemila animali domestici.
Croccantini premio
Nel corso degli anni molti scienziati hanno affrontato la sfida di capire come comunicare efficacemente con gli animali. È possibile che presto potremo considerarli non solo compagni, ma anche confidenti? Se pensate ai libri e ai film che amavate da bambini, è molto probabile che il protagonista fosse un animale parlante: Babar, Aslan, il coniglio Peter, Balù o uno qualsiasi dei 101 dalmati. O magari c’era un umano capace di parlare con gli animali: Dora l’esploratrice, per esempio, chiacchiera per ore con il suo migliore amico, una scimmia di nome Boots. Esistono infinite fiabe, favole e storie di tutto il mondo in cui gli umani sono in grado di comunicare con gli animali, e viceversa. Gli dei egizi e greci si trasformavano in animali per interagire con gli umani, mentre le volpi giapponesi e i tanuki (un canide conosciuto anche come “cane procione”) si tramutano magicamente in persone per ingannare i malcapitati che incontrano.
I semi dello studio dell’università della California sono stati piantati nel 2013, quando l’imprenditore e scienziato cognitivo Leo Trottier ha adottato due gatti chiamati Jonas e Salk (nome e cognome dell’inventore del vaccino contro la poliomielite). Come molti amanti degli animali, Trottier sognava di dimostrare l’intelligenza dei suoi felini.
Qualche mese dopo, durante un dottorato all’università della California, Trottier ha fondato l’azienda CleverPet, che produceva giocattoli stimolanti per animali. Il prodotto di punta, un macchinario che rilasciava croccantini per premiare un cane che schiacciava alcuni pulsanti luminosi in un certo ordine, era presentato come “la prima console per cani al mondo”. Nell’autunno 2019 Trottier ha notato una nuova tendenza sui social network: molti utenti cercavano di avviare una conversazione con i loro animali. Alcuni intrepidi padroni avevano realizzato semplici pulsanti con etichette che gli animali premevano quando volevano qualcosa, per esempio dell’acqua. Così Trottier li ha contattati per scoprire in che modo i loro animali interagivano con i pulsanti. Devine, la padrona di Bunny, era una di loro.
Trottier è rimasto impressionato dall’inventiva di alcune persone, e ha fiutato l’affare. “Avevano bisogno di un apparecchio apposito”, mi ha raccontato. Nel giugno 2020 Trottier ha lanciato la FluentPet, un’azienda che produce tastiere Aac personalizzabili progettate specificamente per i cani e che oggi vende i suoi prodotti anche ai proprietari di gatti. Devine ha aiutato Trottier a sviluppare un sistema che può essere usato da cani di tutte le taglie e razze, e presto Bunny ha cominciato a usare i prodotti della FluentPet. Oggi Devine è un’influencer che lavora per l’azienda e riceve una percentuale sulle vendite fatte attraverso i link che pubblica sui suoi profili. Per 65 dollari la FluentPet vende un kit base di pulsanti su cui gli utenti possono apporre etichette con messaggi elementari come “fuori”, “giocare”, “coccole”, “acqua” e “bisognini”. In seguito il proprietario può personalizzare i pulsanti aggiungendo la registrazione della sua voce. Man mano che il cane impara a usare il kit, il proprietario può comprare altri pulsanti e programmarli per esprimere concetti più complessi, come il desiderio di un giocattolo o di una passeggiata al parco. Bunny, che oggi ha cinque anni, usa cento pulsanti che comprendono domande come “perché?” e concetti temporali come “presto”.

All’inizio Trottier seguiva da vicino gli utenti dei suoi dispositivi. Bunny sembrava in grado di fare cose che gli scienziati ritenevano impossibili per un cane, combinando i token (il termine usato dai linguisti per indicare le unità basilari di linguaggio) per creare nuove espressioni. Trottier ricorda che Bunny accoppiava spesso il sostantivo “suono” con il verbo “camminare”, lasciando perplessa Devine. Con il passare del tempo entrambi hanno notato che Bunny usava questa combinazione solo all’inizio di una “conversazione” più lunga. Ne hanno dedotto che Bunny stava esprimendo la volontà di usare la tavola, cioè “camminare” sui pulsanti per produrre “suoni”. Quando hanno fornito a Bunny un pulsante per “parlare” (la parola di cui aveva bisogno), ha smesso di usare la combinazione precedente. Trottier era sbalordito da quanto quella richiesta sembrasse sofisticata. “È così metaforico, vero?”.
Trottier pensava che le azioni di Bunny potessero avere rilevanza scientifica. Era capace di inventare nuove espressioni autonomamente? Riusciva a capire davvero a cosa si riferissero le parole come “parlare”, “suono” e “camminare”? Fino a che punto? “Mi sono sentito quasi in dovere di cominciare a raccogliere i dati il prima possibile”, racconta.
Trottier ha contattato Federico Rossano, psicologo comparativo (ovvero un esperto che studia il comportamento e i processi mentali di diverse specie) dell’università della California a San Diego. Rossano ha studiato la comunicazione tra primati non umani, dal modo in cui gli oranghi chiedono cibo a come i giovani babbuini chiedono alle madri di essere presi in braccio. Nonostante il suo interesse per la comunicazione animale, inizialmente Rossano era titubante all’idea di avviare uno studio sugli utenti dei pulsanti della FluentPet. “Ero consapevole delle tensioni e delle preoccupazioni etiche legate agli studi sulla comunicazione tra animali, quindi la mia prima reazione è stata ‘assolutamente no, non voglio farmi coinvolgere’”, mi ha raccontato.
Trappole per animali
Gli scienziati hanno cominciato a interessarsi alla comunicazione animale nella seconda metà dell’ottocento. Nel 1872 Charles Darwin esaminò il collegamento evolutivo tra le espressioni fisiche delle emozione degli animali e quelle degli umani, come il sorriso. Venticinque anni dopo Ivan Pavlov dimostrò che i cani potevano essere addestrati ad associare un indizio isolato (un campanello) a una ricompensa (il cibo). A partire dagli anni sessanta del novecento c’è stato un aumento dell’interesse per l’espressività animale, alimentato in parte dalla “rivoluzione cognitiva” nel campo della psicologia. In quel periodo gli scienziati hanno cominciato a sostenere che l’intelligenza animale non era di tipo diverso rispetto a quella umana ma solo meno complessa.
Molti di quegli studi sono stati poi screditati. Alcuni erano basati sul comportamento di un singolo esemplare, e spesso questi animali – di solito primati, apprezzati per le loro abilità cognitive e la vicinanza genetica agli umani – venivano isolati dal resto della specie in un laboratorio e addestrati per ore a usare il linguaggio dei segni, a riconoscere i simboli o a imitare il linguaggio umano. Alcuni scimpanzé sono diventati famosi dopo aver imparato a “parlare”, spesso a costo di danni fisici e psicologici. Washoe e Nim Chimpsky, due scimpanzé a cui negli anni settanta era stata insegnata la lingua dei segni, erano diventati curvi e introversi, segni di depressione e solitudine.

Quando l’opinione pubblica cominciò a criticare questo tipo di esperimenti, gli scienziati cambiarono strada. Invece di cercare di insegnare a uno o due animali un linguaggio o i metodi di comunicazione usati dagli esseri umani, oggi molti ricercatori si concentrano sull’analisi del “linguaggio” proprio degli animali nel modo meno invasivo possibile, per esempio avventurandosi nella foresta per ascoltare il richiamo di un uccello invece di catturare degli esemplari e portarli in un laboratorio. L’obiettivo non è più far parlare gli animali con gli umani, ma studiare come gli animali comunicano tra loro nell’habitat in cui vivono.
Trottier ha promesso a Rossano che avrebbe evitato le principali insidie degli studi sul linguaggio animale. I soggetti avrebbero continuato a vivere nelle loro case, senza cambiare abitudini né subire interferenze eccessive, e i proprietari avrebbero continuato a prendersi cura di loro. Trottier era sicuro di poter mettere insieme un campione adeguato per ampliare lo studio e migliorarne l’accuratezza. Ma Rossano era ancora incerto. “Ho pensato che forse non c’era niente da scoprire”.
Oggi circa duemila animali domestici di 47 paesi diversi partecipano allo studio dell’università della California a San Diego. I proprietari filmano i loro cani mentre usano i pulsanti e compilano resoconti sul loro comportamento. I ricercatori visitano periodicamente gli animali e verificano le informazioni trasmesse dalle persone. Rossano e la sua squadra sperano di scoprire se i cani possono davvero associare le parole sui pulsanti al loro significato e comunicare semplici richieste. Se ci riusciranno, Rossano vuole poi passare a problematiche più complesse, come la possibilità di usare le tastiere della FluentPet per aiutare gli animali ad avere comunicazioni bidirezionali con i proprietari.
Lo studio, avviato nel 2020, andrà avanti ancora per diversi anni. Nel frattempo il team di Rossano ha pubblicato due articoli scientifici per descrivere la ricerca. Rossano non afferma che i cani abbiano un linguaggio – una forma sistematica di comunicazione con una grammatica e un vocabolario – né che siano capaci di parlare. “Non voglio passare per un pazzo che va in giro a dire che i cani parlano. I cani non parlano”, mi ha spiegato. “Ma comunicano, cioè trasmettono informazioni. Come tutti gli altri animali”.
Rossano è rimasto sorpreso dal contenuto apparente delle comunicazioni prese in esame. Alcuni cani si riferiscono a oggetti e persone che non sono presenti, chiedono cibo o assistenza per conto di altri animali o addirittura sembrano “ricordare” eventi passati. Cache, un golden retriever coinvolto nello studio, vive con la sua padrona Christina Lee alla periferia di San Francisco. Lee mi ha spiegato che Cache usa spesso i pulsanti per parlare di eventi passati. “A volte qualcosa lo turba durante la giornata e quattro ore dopo comunica riferendosi a quell’evento”. Lee racconta che una volta il pelo di Cache si è riempito di lappole mentre camminava in un campo, e ci sono volute tre ore per ripulirlo. Più tardi, nella stessa giornata, Cache ha premuto il pulsante con il nome del campo e un altro pulsante che indicava la parola “preoccupato”.

Anche se Rossano cerca di non lasciarsi prendere dell’entusiasmo, non riesce a nascondere l’emozione. “Sono uno scienziato, quindi resto scettico. Non penso che i cani comunichino in modo simile agli esseri umani. Ma alcune cose che ho visto mi hanno convinto che siano molto più svegli di quanto si pensi”.
Niente da dichiarare
Si ritiene che i cani abbiano le capacità linguistiche di un lattante. Ma che dire dei gatti, come il mio Sushi Two, un soriano di due anni? Come socia a pieno titolo del club delle gattare svitate, mi piacerebbe molto avere conversazioni lunghe e profonde con Sushi Two, per scoprire quali sono i suoi sogni e le sue speranze. Mi piacerebbe anche sapere perché un movimento o un rumore improvviso – per esempio un lieve colpo di tosse – la spingono a scappare a tutta velocità, e dirle che non c’è niente di cui avere paura.
Ma è probabile che dovrò aspettare ancora a lungo. A quanto pare i gatti sono ossi più duri rispetto ai cani. Jussi Karlgren, un linguista svedese interessato alla comunicazione tra animali, mi ha spiegato che i gatti hanno meno muscoli facciali dei cani. “I musi dei gatti sono ‘rigidi’”, mi ha detto. “È per questo che si esprimono attraverso i miagolii”.
È interessante notare che mentre i gattini rivolgono i miagolii alla madre, gli animali adulti li riservano unicamente agli esseri umani. Quando i gatti adulti comunicano tra loro, per aggressività o paura, lo fanno solitamente attraverso sibili e mugolii. “O pensano che siamo la loro mamma o ci credono dei gattini”, osserva Karlgren. Altri ricercatori, tra cui la linguista svedese Susanne Schötz, sono convinti che i gatti usino diversi tipi di miagolii a seconda delle circostanze per ottenere diverse risposte dagli umani.
Alcuni anni fa Javier Sanchez, un ingegnere statunitense che ha lavorato allo sviluppo di Alexa, l’assistente virtuale di Amazon, stava ascoltando la radio, quando la sua attenzione è stata attirata da un’intervista in cui Schötz sosteneva che gli umani potrebbero interpretare i miagolii dei loro gatti. In quel momento Sanchez – che ha cinque gatti, Bear, Mongo, Timmy, Candy e Concha – ha avuto un’idea. “Ho pensato: ‘Lavoro ad Alexa, so come funzionano le tecnologie per il riconoscimento acustico. Potrei fare la stessa cosa con i gatti”.

Sanchez ha contattato Stavros Ntalampiras, un esperto di dati che ha scritto un articolo in cui dimostra che gli algoritmi possono essere usati per distinguere diversi tipi di vocalizzi di gatti. Si ritiene che i gatti abbiano almeno 21 miagolii distinti, per esprimere sensazioni diverse come paura, soddisfazione e affetto. “Pensate ai rumori che fate quando siete spaventati, sorpresi, o quando sbattete il piede contro uno spigolo. È un suono universale come ah o ahia”, spiega Sanchez. “I gatti fanno lo stesso”, e secondo lui possono combinare questi vocalizzi per creare un vocabolario comprensibile solo al loro proprietario. Una sequenza di miagolii, per esempio, potrebbe significare “fammi uscire”.
Sanchez si è messo a progettare un dispositivo che potesse tradurre i miagolii. Inizialmente ha pensato a qualcosa che i gatti potessero indossare su un collare e che riproducesse la traduzione dei loro miagolii (“avrei voluto usare la voce di Samuel L. Jackson”, mi ha confessato). Ma questa soluzione si è rivelata troppo complicata dal punto di vista tecnico, così Sanchez ha progettato un’applicazione per smartphone. Usando un programma di Google per la classificazione dei suoni chiamato Yamnet, l’applicazione distingue i miagolii dagli altri rumori, per poi “tradurli” ricorrendo a un dizionario gatto/umano che Ntalampiras e Sanchez hanno sviluppato basandosi sui dataset raccolti dal primo. A volte un miagolio può significare “ti voglio bene”, altre volte, quando il gatto è risentito, può significare “stiamo litigando”.
Ansiosa di scoprire cosa aveva da dirmi Sushi Two, ho scaricato l’app MeowTalk, ma ho cominciato subito a innervosirmi. Per registrare il miagolio il telefono doveva essere nella stessa stanza del mio gatto, ma come sanno bene tutti gli amanti dei gatti è impossibile convincerne uno a fare qualcosa che non vuole fare. I pochi miagolii che l’applicazione è riuscita a tradurre erano richieste di poter entrare in una stanza. Dato che potevo sentire Sushi Two fuori dalla porta che faceva rumore e graffiava il tappeto, non era proprio una grande scoperta.
Anche Naomi, una trentenne che vive a Londra con un British Shorthair di sette anni di nome Waffle, ha scaricato MeowTalk. A quanto pare l’espressione favorita di Waffle è “non ignorarmi”, cosa che Naomi trova paradossale. “Letteralmente non faccio altro che occuparmi di lui e pregarlo di passare un po’ di tempo con me”, mi ha raccontato.
La verità, mi ha spiegato Sanchez, è che i gatti non hanno molto da dire. “Non si ottengono frasi complesse, figuriamoci una conversazione”. Perfino Schötz ha ammesso che nove volte su dieci i miagolii dei gatti sono solo richieste di attenzione.
I componenti della Cetacean translation initiative sostengono che nel 2026 potrebbero essere in grado di conversare con le balene
Non potevo fare a meno di essere delusa. Volevo che nell’animo della mia gatta ci fosse qualcosa di più che il desiderio di soddisfare le sue necessità basilari. Anche Naomi è insoddisfatta di MeowTalk, ma continua a usarla. “È un modo come un altro per farsi ossessionare da questi animali che ci regalano così tanta gioia”, ha ammesso.
Un cane dice a una balena
Gran parte delle ricerche più recenti sulla comunicazione animale non riguarda gli animali domestici, ma cetacei come balene e delfini. Queste creature, infatti, hanno cervelli molto sviluppati che li rendono capaci di risolvere problemi, e hanno capacità sociali complesse. Anche se i cetacei sono molto più intelligenti e comunicano meglio di cani e gatti, la tecnologia che gli scienziati stanno sviluppando per capire le loro interazioni potrebbe essere applicata anche agli animali domestici. Una balena parlante potrebbe aiutarmi a capire Sushi Two? Per scoprirlo sono andata a Santa Cruz, in California.
Ari Friedlaender studia il comportamento delle balene nel dipartimento di scienze costiere di Santa Cruz, una fila di edifici bassi affacciati sul mare al confine del parco nazionale marino della baia di Monterey. La baia è popolata da molti cetacei: le balene grigie migrano in queste acque all’inizio della primavera, seguite dalle megattere e infine, in estate, dalle balenottere comuni e dalle balenottere azzurre. Friedlaender monitora il comportamento delle balene anche in Antartide, dove è andato decine di volte negli ultimi 25 anni. Le foto lo ritraggono mentre si sporge dalle imbarcazioni e colpisce le balene con una lunga asta. Le immagini ricordano quelle dei balenieri armati di arpioni, ma Friedlaender è impegnato in una “caccia” del tutto diversa.
Il ricercatore infatti usa le aste per applicare con delle ventose segnalatori di posizione e rilevatori che raccolgono ogni genere di informazione, misurando i movimenti delle balene fino a 400 volte al secondo e verificandone la profondità. I dispositivi contengono anche un idrofono per ascoltare il canto delle balene e videocamere che aprono ai ricercatori una finestra sul loro mondo. “È un’osservazione continua e dettagliata delle giornate delle balene”, conferma Friedlaender.
Il team consegnerà i dati sul comportamento delle balene ai ricercatori dell’Earth species project, un’organizzazione californiana che coinvolge scienziati attivi nel campo dell’intelligenza artificiale, della tutela dell’ambiente e della biologia. L’obiettivo è creare un software simile a un Google Translate per animali usando i modelli linguistici di grandi dimensioni (Llm), un tipo di intelligenza artificiale che può identificare e produrre testi. Inserendo in un Llm i dati sulle comunicazioni di diversi animali, tra cui le balene, i ricercatori sperano di isolare elementi comuni tra i diversi linguaggi e gettare le basi per una futura comunicazione bilaterale tra ogni sorta di specie: umani e balene, umani e cani o addirittura balene e cani.
Ci sono altri progetti simili. I componenti della Cetacean translation initiative, un gruppo interdisciplinare che fa ricerca nell’isola caraibica di Dominica, sostengono che nel 2026 potrebbero essere in grado di conversare con le balene. Ma non tutti sono convinti che questo tipo di tecnologia sia necessario. In uno zoo vicino a Stoccolma ho passato un po’ di tempo con un gruppo di ricercatori che interpretano i fischi dei delfini.

Mentre gli studiosi gettavano pesci ai cetacei, ho chiesto a una di loro, Josefin Larsson, se gli umani e i delfini avranno mai abbastanza cose in comune da poter parlare tra loro.
“Vuoi sapere se riusciremo a usare il loro linguaggio?”, mi ha domandato. “Perché già oggi siamo in grado di comunicare con loro”. I ricercatori possono leggere il linguaggio del corpo dei delfini e capiscono quando sono felici o agitati. I cetacei possono fare la stessa cosa con gli esseri umani. Larsson mi ha raccontato che a volte, quando è particolarmente stressata, i delfini diventano più agitati. Questi segnali sono facili da cogliere quando conosciamo un animale, che sia un essere umano o no. Individuare le necessità di una creatura è ciò che ci permette di comprendere il modo in cui percepisce il mondo.
Solo tu mi capisci
Alla fine del 2023 ho incontrato Ovi, uno schnauzer di sette anni, e la sua proprietaria Mika Agnihotri nella loro casa a Londra. Agnihotri e Ovi partecipavano da tre anni allo studio dell’università della California a San Diego. All’epoca Ovi usava poco meno di 50 pulsanti della FluentPet, con messaggi come “ciao”, “grattatine” e “puzzle” (un riferimento a un giocattolo molto amato dall’animale). Il cane premeva il pulsante “ti voglio bene” prima di fare una richiesta, mi ha spiegato Agnihotri. “Per esempio, preme ‘ti voglio bene’ e poi ‘grattatine’”.
Ma Ovi riusciva a fare molto altro con i pulsanti. Agnihotri mi ha raccontato che nelle giornate piovose il cane premeva ripetutamente il pulsante per pioggia, apparentemente per chiacchierare del tempo. Agnihotri non si illude che Ovi possa partecipare a “una conversazione completa come fanno gli esseri umani”, e continua ad affidarsi al linguaggio del corpo per cogliere i desideri del suo animale domestico. Ma è certa che i pulsanti abbiano migliorato la qualità della vita di Ovi. “I cani hanno una vita così breve, e farei tutto quello che posso per renderla più felice”.
Ovi sembrava emozionato per la presenza di una persona estranea in casa e ha mostrato un certo interesse per il contenuto del mio zaino (un panino), ma si è rifiutato di usare i pulsanti davanti a me. Immagino che comunicare con un qualcuno di passaggio fosse meno interessante che chiacchierare con la sua padrona.
Questo atteggiamento combacia con le osservazioni degli utenti delle tastiere della FluentPet con cui ho parlato. Tutti mi hanno confermato che i dispositivi rafforzano il legame con i loro animali. Christina Lee ammette che Cache potrebbe non comprendere a pieno le parole corrispondenti ai pulsanti (oggi ne usa 130), ma questo non significa che non li usi per comunicare in qualche modo. Cache preme il pulsante “amico” per riferirsi a Christina, probabilmente perché sa che lei risponderà accarezzandolo. “La gente mi dice che Cache non capisce il concetto di amicizia. Io rispondo che vale lo stesso per un bambino. I bambini vanno al parco giochi, vedono la stessa persona due volte e la chiamano ‘amico’. Ma la gente pretende che i cani conoscano la definizione di amicizia del dizionario”.
Per molti utenti delle tastiere della FluentPet il risultato degli studi di Rossano non avrà grande importanza. Agnihotri è felice di avere un linguaggio personale per comunicare con Ovi. “Se possiamo comunicare un po’ meglio tra noi grazie a questo strumento sono contenta, anche se non tutti capiscono”, spiega.
Forse sono proprio questa intimità e questa imperscrutabilità ad alimentare il legame con i nostri animali domestici. Se sapessi cosa spinge Sushi Two a scappare via o cosa intende quando miagola in un angolo rivolta verso il nulla, forse la banalità dei suoi pensieri mi deluderebbe, invece così mi godo il mistero. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati