La folla aumenta e tutti gli sguardi sono rivolti nella stessa direzione: verso gli imputati del processo per gli stupri avvenuti a Mazan, una cittadina nel sud della Francia. Gli imputati fanno di tutto per evitarli: ogni mattina attraversano velocemente l’atrio del palazzo di giustizia di Avignone, con la testa bassa e a volto coperto. Ma i curiosi arrivati per assistere alle udienze continuano a scrutarli. Tra il 2011 e il 2020 Dominique Pelicot ha proposto a tutti questi uomini di avere rapporti sessuali con sua moglie Gisèle, nella penombra della loro villetta a Mazan, precisando che la donna sarebbe rimasta in stato di incoscienza grazie ai sonniferi. Ora questi uomini sono chiamati a parlare davanti a un giudice, dopo essere stati rinviati a giudizio per aggressione e stupro aggravato. L’opinione pubblica ha scoperto il loro aspetto normale e contemporaneamente inquietante. Ormai è impossibile distogliere lo sguardo dalla terrificante banalità di questi cinquanta imputati.

Il più giovane ha 26 anni, il più anziano 74. Ci sono una trentina di padri, di cui il più giovane è andato a casa dei Pelicot la sera della nascita di sua figlia. Fanno i lavori più diversi: giornalista, militare, guardia carceraria, pompiere, operaio, informatico, infermiere, autista. Quando è stata diffusa la notizia, nel 2023, questa varietà di professioni ha spazzato via un accecamento collettivo e con esso il mito del “mostro”, dello stupratore “pazzo”, emarginato, straniero. Quasi tutti gli imputati sono francesi. Quarantuno di loro vivono nel dipartimento del Vaucluse e la maggioranza non ha nessun disturbo psichico. È la conferma di quello che le femministe e i dati affermano da anni: lo stupratore è un uomo normale e in nove casi su dieci è una persona vicina alla vittima. Rapidamente il processo affronta piani diversi: quello della sottomissione chimica, quello dello stupro coniugale e soprattutto quello del maschilismo dominante, terreno fertile per le violenze. Gisèle Pelicot ha voluto un processo pubblico “perché la vergogna si sposti dall’altra parte”.

Il significato giuridico e sociale di questa storia è enorme, eppure all’interno dell’aula alcuni accusati sembrano non capire e cercano di prendere le distanze dalla gravità dei fatti. Trentatré uomini sono chiamati a testimoniare mentre sono in libertà condizionale e continuano ad avere dei normali impegni familiari e professionali.

Nei primi giorni del processo uno di loro, arrivato in ritardo, ha spiegato che aveva “accompagnato il figlio a scuola”. Un altro, durante la prima settimana, prima di entrare in tribunale ha sospirato: “Spero che non finiremo alle nove di sera”. Altri ancora hanno chiesto tramite i loro avvocati di essere dispensati, perché dovevano prendersi cura dei figli o fare un colloquio di lavoro. Inizialmente il presidente del tribunale, Roger Arata, si è opposto a queste richieste, ma poi si è rassegnato e ha consentito agli accusati di partecipare solo quando sono chiamati in causa. A quel punto la maggior parte di loro ha cominciato a disertare l’aula.

Doppia vita

Gli imputati raccontano una vita apparentemente normale, a volte con il sostegno di conoscenti chiamati a testimoniare. “Lei viene descritto come un uomo gentile, con un grande rispetto per le donne”, dice Arata a Jacques C., 72 anni, autista in pensione che annuisce platealmente mentre Gisèle Pelicot trattiene una risata nervosa. Jacques C. in passato è stato autista di pulmini per bambini autistici, tiene a sottolineare lui stesso. “Sono una persona gentile, calma, tenera, affettuosa”, ha dichiarato maldestramente Cyrille D. Attraverso una testimonianza scritta, una delle figlie ha garantito che è stato sempre un buon padre. Mentre il presidente leggeva il documento, sul viso dell’uomo sono scese alcune lacrime.

Gli imputati raccontano una vita apparentemente normale, a volte con il sostegno di conoscenti chiamati a testimoniare

Da un lato c’è la facciata di Thierry Po. un uomo comune, padre di tre figli, appassionato di pallacanestro e di moto, giocatore di poker. I suoi amici lo considerano un individuo “molto disponibile”. Come molti altri accusati, ammette di praticare lo scambismo, ma solo quando non è impegnato in una relazione seria. Non ha una compagna dal 2018 e dichiara che gli piacerebbe trovarne una, perché la solitudine gli “pesa”. Dall’altro lato, però, c’è il suo telefono, in cui gli inquirenti hanno trovato, oltre alle foto di Gisèle Pelicot, numerose immagini pedopornografiche.

La moglie di Redouane E. spera di poter riprendere insieme al marito il processo di adozione (attualmente interrotto) quando le udienze si saranno concluse. Come diversi partner o ex partner venuti a testimoniare, la donna sembra distaccata dalla realtà. Disoccupata, si è ritrovata senza reddito quando il marito è stato messo in detenzione preventiva. Attualmente Redouane E., 50 anni, è in libertà condizionale e ha potuto riprendere la sua attività di infermiere, anche se “alcuni pazienti gli hanno voltato le spalle”, sottolinea la moglie. In tribunale lei lo ha descritto come un compagno “gentile”, forse “troppo ingenuo”, dichiarando di non aver mai sospettato che il marito frequentasse i siti che promettevano “incontri con donne”. È uno schema di infedeltà molto comune tra gli accusati, specchio di una società francese in cui nel 2022, secondo un sondaggio, quasi la metà degli uomini ammetteva di aver tradito il partner.

Nell’aula di tribunale le testimonianze di maltrattamenti subiti durante l’infanzia occupano un posto a parte. Dalle violenze inflitte a quelle vissute, le voci degli imputati dipingono un quadro comune. Alcuni minimizzano, come Husamettin D., 43 anni, che agli psichiatri ha parlato di semplici “correzioni” fatte dal padre nei suoi confronti, pur dilungandosi sugli anni difficili nei centri di accoglienza in cui la violenza era dilagante. Prima di essere interrogato, Jean-Pierre M., 63 anni, non aveva mai confessato di aver subìto abusi sessuali per tutta l’infanzia né che da ragazzo aveva visto varie volte la madre vittima degli stupri del marito e di altri sconosciuti che l’uomo invitava a casa. “Ho sempre creduto che fosse normale”, ha dichiarato con la voce strozzata. “Ora so che era atroce”.

Laurent Layet, psichiatra, ammette di aver “sussultato” quando Fabien S. gli ha raccontato la sua gioventù. L’uomo, condannato 18 volte per violenze coniugali e sessuali, presenta una “personalità patologica” con un “funzionamento che si allontana sensibilmente dalla norma”, spiega lo specialista. “È stato vittima di violenze sessuali da quando aveva due o tre anni, prima all’interno della sua famiglia e poi delle famiglie che lo hanno accolto fino alla maggiore età”, ha aggiunto la sua avvocata. Layet ha insistito sul fatto che “le persone che avrebbero dovuto prendersi cura di lui lo hanno aggredito. Questo genere di esperienza aumenta le probabilità di diventare vittime o autori di violenze”.

Un processo storico

◆ Nel settembre del 2020 Dominique Pelicot viene fermato dalla polizia mentre fotografa sotto la gonna delle donne in un supermercato di Carpentras, nel sud della Francia. Le autorità gli sequestrano telefono, computer e vari hard disk, dove trovano quattromila video e foto in cui si vede la moglie di Pelicot, Gisèle, stuprata da decine di uomini mentre era incosciente perché drogata dal marito. Tra il 2011 e il 2020 Dominique Pelicot aveva contattato gli uomini attraverso un sito d’incontri in una chat chiamata “A sua insaputa”.

◆ Secondo la polizia gli uomini che hanno violentato Gisèle Pelicot sono almeno 83, di cui 54 sono stati identificati: i 51 sotto processo, compreso il marito, uno nel frattempo morto e altri due rilasciati per insufficienza di prove.

◆ Gisèle Pelicot ha chiesto che il processo, cominciato il 2 settembre 2024, fosse pubblico, rinunciando all’anonimato. Dal 4 ottobre il giudice ha permesso la visione in aula dei video girati da Dominique Pelicot.


Per gli accusati è difficile negare i fatti. Dominique Pelicot ha scrupolosamente filmato e fotografato le sevizie inflitte alla moglie. Eppure 35 persone si sono dichiarate non colpevoli, avventurandosi in complicate giustificazioni per dimostrare la propria innocenza. Libertinaggio, dicono alcuni. Manipolazioni, dicono altri. Stupri “senza intenzione”, azzardano altri ancora. In questo senso il processo Pelicot riapre il dibattito sull’introduzione del consenso nella definizione giuridica di stupro. Al termine della quinta settimana di udienze, nella maggior parte dei casi emerge l’incapacità cronica di definire uno stupro e di capire cosa significa essere uno “stupratore”.

Per esempio Thierry Po. ritiene che non c’è stato stupro perché non c’è stato un rifiuto di Gisèle Pelicot, che era totalmente incosciente. Davanti al magistrato l’uomo, un artigiano di 61 anni e padre di tre figli, ha ipotizzato che il russamento della donna potesse essere “simulato”. L’infermiere Redouane E. ha parlato davanti agli inquirenti di un incontro di cuckolding (in cui si trae piacere guardando il partner mettere in pratica atti sessuali con altri), sostenendo di non aver capito che Gisèle Pelicot stesse davvero dormendo né che fosse sotto effetto di farmaci. “Un infermiere è una persona come gli altri, che ha conoscenze limitate in campo medico”. Interrogato sul modo in cui si sarebbe assicurato del consenso della donna, l’uomo ha risposto di essersi fidato del marito, che a suo parere era “il detentore del consenso”.

Negazione totale

Nonostante le immagini sconvolgenti, Husamettin D. ha continuato a negare l’evidenza durante l’interrogatorio, pur ammettendo davanti alla corte di aver detto a Dominique Pelicot, appena entrato nella stanza: “Sembra che tua moglie sia morta”. C’è voluto l’intervento di un magistrato – che gli ha ricordato come la polizia gli avesse già spiegato “cos’è uno stupro” e che “non c’è bisogno di penetrazione con violenza, ma basta l’inconsapevolezza della vittima” – perché Husamettin D. ammettesse timidamente: “Ora capisco che è stato uno stupro”, per poi contraddirsi pochi minuti dopo: “Non accetto di essere trattato come uno stupratore”. Adrien L., capocantiere di 34 anni, sostiene che non poteva trattarsi di “qualcosa di sbagliato” perché tutto era ripreso da una telecamera.

Senza rendersene conto, tutti gli imputati hanno evidenziato la forza della cultura dello stupro, banalizzando o addirittura giustificando quello che hanno fatto. Questa realtà emerge da tutte le loro parole e può essere tradotta in cifre: secondo un’inchiesta dell’associazione Memoria traumatica e vittimologia, nel 2021 quasi un francese su cinque non considerava come stupro costringere il partner ad avere un rapporto sessuale, mentre più di un uomo su dieci non considerava come stupro avere un rapporto sessuale con una persona in stato di ebbrezza, drogata o addormentata, dunque incapace di manifestare il proprio consenso. Forse serviva un processo come quello in corso per capire che questo fenomeno non è un’invenzione femminista, ma una realtà dalle conseguenze devastanti. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1584 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati