L’insurrezione popolare che ha rovesciato la prima ministra del Bangladesh Sheikh Hasina e il governo della Lega awami offre lezioni importanti alla comunità internazionale e alla vicina India. Anche se le tensioni sono state alimentate dalla condotta antidemocratica del regime, che ha represso brutalmente le proteste degli studenti, vanno considerate anche le cause di fondo del malcontento popolare.

L’ironia della sorte è che Hasina – figlia del primo presidente del Bangladesh, Sheikh Mujibur Rahman – da giovane era stata una leader studentesca e un’attivista che si opponeva al regime militare. Nei suoi quattro mandati da prima ministra ha guidato il paese attraverso una trasformazione economica notevole, spinta da un’impennata nelle esportazioni di prodotti d’abbigliamento e investimenti infrastrutturali, che hanno anche dato impulso all’occupazione femminile. Negli ultimi vent’anni la povertà si è dimezzata e nel 2019 il pil pro capite ha superato quello dell’India.

Le politiche di austerità promosse dal Fondo monetario internazionale hanno alimentato la rabbia dell’opinione pubblica del paese e di tutto il mondo in via di sviluppo

Le tendenze autoritarie di Hasina, però, alla fine ne hanno oscurato i successi economici. L’uccisione di presunti “estremisti”, gli arresti e le sparizioni di avvocati, giornalisti e attivisti che avevano osato criticare il governo hanno creato un clima di paura che si è intensificato con le elezioni del 2018. L’ulteriore erosione delle istituzioni democratiche del Bangladesh ha fatto sì che le elezioni del 2024 fossero una farsa: Hasina ha ottenuto una maggioranza schiacciante, assicurandosi il quarto mandato consecutivo, ma la maggior parte dei partiti di opposizione ha boicottato il voto o è stata esclusa. Nonostante questo, l’esito delle urne è stato riconosciuto dall’India e da altre grandi potenze.

Anche l’incerta situazione economica del paese ha giocato un ruolo centrale nei recenti disordini. Negli ultimi vent’anni l’aumento delle disuguaglianze e della disoccupazione ha intensificato l’indignazione dei cittadini per il nepotismo e la corruzione dilagante. Il rifiuto del governo di affrontare questi problemi, o almeno di riconoscerli, ha esasperato ancora di più l’opinione pubblica.

Una lezione fondamentale che ci dà il Bangladesh è che una rapida crescita del pil e un grande volume di esportazioni da soli non bastano a garantire un benessere diffuso. Quando i vantaggi della crescita economica si concentrano ai vertici della società, la maggioranza dei cittadini vede pochi miglioramenti o si ritrova perfino in condizioni peggiori di prima. Per questo serve una distribuzione più equa della ricchezza. Un’altra lezione fondamentale è che creare posti di lavoro è importante, soprattutto per i giovani, ma lo è anche garantire salari e condizioni di lavoro dignitosi. Se i redditi della maggior parte delle persone ristagnano, l’opinione pubblica perde fiducia.

Il governo del primo ministro indiano Narendra Modi dovrebbe tener conto di queste considerazioni, viste le disuguaglianze sociali e di reddito che caratterizzano il suo paese. Ma il caso del Bangladesh dovrebbe essere un monito anche per le organizzazioni internazionali e gli osservatori esterni, spesso troppo influenzati dai dati sulla crescita e sull’apertura agli investitori stranieri.

Gli esperti trascurano soprattutto il ruolo che ha giocato il Fondo monetario internazionale (Fmi). Nel 2023 l’organizzazione ha assicurato al Bangladesh un prestito da 4,7 miliardi di dollari, fissando alcune condizioni, una mossa inutile secondo alcuni osservatori. L’Fmi ha anche chiesto al Bangladesh di ridurre il suo deficit di bilancio, causando tagli che hanno intaccato i servizi pubblici essenziali. A giugno il fondo ha approvato la terza tranche del prestito (1,2 miliardi di dollari) e ha imposto delle nuove condizioni.

Anche se queste misure sembrano pensate per rendere l’economia più “efficiente” e rafforzare la fiducia degli investitori, la storia suggerisce che molto difficilmente funzionano. Al contrario, le politiche di austerità promosse dall’Fmi hanno alimentato la rabbia nel mondo in via di sviluppo. L’instabilità politica che ha travolto paesi come il Kenya, la Nigeria e il Ghana – tutti stati che hanno attuato i programmi del Fondo monetario – evidenziano che è urgente ripensare questo modo di procedere.

Ma la lezione principale di questa storia è che i politici autoritari come Hasina non sono invincibili. La sua caduta dovrebbe far suonare un campanello d’allarme per Modi, un fedele alleato che ha tendenze simili.

Anche i leader globali farebbero bene a prendere nota: schierarsi con dei regimi antidemocratici per avere vantaggi geopolitici presenta sul lungo periodo un costo superiore ai benefici. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1577 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati