È difficile, ma proviamoci. Ammettiamo che ci siano ragioni intelligenti per votare per il Rassemblement national (Rn), ragioni che non siano guidate dalla paura (fisica o culturale) o dalla rabbia (di fronte alle difficoltà della vita quotidiana) e nemmeno dall’odio (verso Emmanuel Macron, percepito come distante e sprezzante). Motivazioni già più elaborate potrebbero essere la convinzione che per il futuro dell’economia francese serva trattare male l’Unione europea, che cambiando le regole sui contributi versati dai lavoratori per finanziare i sussidi di disoccupazione due milioni di persone ritroveranno lavoro e che la Francia sarà più sovrana lasciando campo libero a Vladimir Putin. È lecito dubitare del risultato…

La solidità degli argomenti a favore delle promesse fatte dall’estrema destra è ancora più discutibile considerando che cambiano continuamente. Ci sono invece due ragioni che da molto tempo non cambiano nella testa e sulla bocca degli elettori dell’Rn.

Un terzo dei francesi, deluso negli ultimi venticinque anni dalla sinistra, dalla destra e poi dal “sorpasso” macroniano, sembra pronto a dare una chance all’Rn, spesso dicendo “non l’abbiamo mai provato”. Ma il buon senso insegna che la vita è piena di controindicazioni. Ci sono mille esperienze che è meglio evitare, dall’assunzione di droghe pesanti al lancio da paracadutista senza paracadute. Parlando più seriamente, anche in economia ci sono avventure che è meglio non fare mai.

I francesi dovrebbero ricordare quanto gli sono costati i vecchi azzardi. Nel 1981 vollero “provare” il programma comune della sinistra, con il pensionamento a 60 anni, la tassa sui grandi patrimoni e una serie di nazionalizzazioni. Dopo due anni il presidente François Mitterrand fu costretto a una svolta verso l’austerità. Nel 1997 “provarono” la settimana di 35 ore, una riforma che avrebbe portato a vent’anni di stallo dell’economia, facendo perdere competitività e potere d’acquisto.

Facendo un paragone, all’estero gli italiani hanno corso un rischio tutto sommato limitato, scegliendo una Giorgia Meloni filoeuropea e amica della Nato, economicamente piuttosto ortodossa. Il caso britannico è più illuminante, perché le nostre prossime elezioni legislative potrebbero unirsi alla Brexit nella lista dei grandi errori della storia. Ad appenna otto anni dal referendum, per il Regno Unito il bilancio dell’uscita dall’Unione è desolante: l’attività industriale e gli investimenti sono rispettivamente del 5 per cento e dell’11 per cento più bassi del previsto. E senza manodopera europea non sono mai arrivati così tanti immigrati extracomunitari. I francesi dovrebbero pensarci due volte prima di “provare” un programma miope che promette di risparmiare circa quindici miliardi di euro tagliando l’iva o di uscire dai trattati di libero scambio.

Ingegneri del caos

Un altro argomento tra chi vuole votare Rn è: “Non abbiamo più niente da perdere”. Non potrebbe andare peggio di così? Invece sì, anche molto peggio. Innanzitutto perché, al contrario di quanto ci dicono gli ingegneri del caos, i francesi stanno mediamente meglio rispetto a sette anni fa. Certo, restano dei problemi simili ad altri paesi europei: immigrazione non sufficientemente controllata, insicurezza, deserti sanitari, mancanza di insegnanti… Tutti fenomeni interpretati troppo rapidamente come sintomi di una Francia in declino. Ma dopo vent’anni di ritardo la Francia sta recuperando terreno. Grazie alle riforme del mercato del lavoro anche la disoccupazione è diminuita. Il paese ha energia a basso costo, multinazionali ad alto rendimento, un serbatoio di grandi aziende, condizioni fiscali favorevoli alla produzione, un’ottima rete d’infrastrutturale e una qualità della vita che il mondo invidia.

Se scegliessero di dare il potere a un partito che con i suoi continui tentennamenti mostra solo di essere impreparato, i francesi correrebbero il rischio di far sprofondare il paese nell’incertezza economica, lontano dal promesso ripristino dell’ordine. È il tenore di vita dei francesi a essere in pericolo. Forse questo voto merita un po’ più di riflessione e un po’ meno emotività. ◆ sm

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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati