Ho scoperto la stagione invernale dei balli di Vienna grazie ai tabloid in lingua tedesca. L’evento clou della stagione, l’Opernball (ballo dell’Opera), frequentato da decine di vip, è molto seguito nel mondo germanofono. Ogni scintillante dettaglio viene consumato con un misto di aspirazione e risentimento: debuttanti, tiare, palchi costosissimi (prezzo di base: 13mila euro!). L’unico segno del ventunesimo secolo è la presenza di nomi come Kim Kardashian, che ha partecipato al ballo nel 2014. Poi ho scoperto che il ballo dell’Opera è solo la punta dell’iceberg.
Ogni anno, durante la stagione del carnevale, a Vienna si tengono più di quattrocento balli. A febbraio ne ho visti tre. La tradizione coniuga le festività pubbliche del carnevale medievale con il ricordo del “congresso danzante” del 1814, meglio noto come congresso di Vienna. Un anno prima della sconfitta finale di Napoleone nella battaglia di Waterloo cominciò il congresso – serie d’incontri diplomatici tra i capi delle varie potenze che si opponevano alla Francia – che aveva l’obiettivo di discutere del nuovo ordine postnapoleonico del continente. Il suo effetto più immediato, però, fu quello di trasformare Vienna in una gigantesca sala da ballo.
La frenesia del valzer riflette l’ansia delle capitali europee assalite dai turisti, economicamente in difficoltà e sempre più in preda al pessimismo politico
Con i rappresentanti di Prussia, Austria, Regno Unito, Russia e Francia, oltre a un assortimento di reali e nobili da tutta Europa, riuniti al palazzo imperiale di Hofburg, l’atmosfera dominante era quella di una festa permanente, scrive la storica Dorothy McGuigan nel suo saggio The Habsburgs (Gli Asburgo). Le sale da ballo erano piene e le strade traboccavano di musica e fuochi d’artificio: per rendere più scorrevoli i negoziati, l’imperatore Francesco I ospitò balli serali e spettacoli musicali, tra cui un concerto per cento pianoforti. La definizione “congresso danzante” nasce da una battuta del principe belga Charles Joseph de Ligne, che proclamò: “Il congresso non lavora, danza”.
La stagione viennese dei balli si celebra ogni anno dal 1814, con le uniche eccezioni delle due guerre mondiali e della recente pandemia. In un paese di appena nove milioni di abitanti, la manifestazione attira più di cinquecentomila persone appassionate di ballo. Quasi ogni professione in Austria ha il suo evento: il programma stagionale comprende, tra gli altri, il ballo della polizia, il ballo dei pompieri, il ballo degli ingegneri, il ballo dei medici, vari balli delle associazioni dei contadini e il ballo degli avvocati. Alcuni di questi, come il ballo dei torrefattori di caffè o il ballo dei cacciatori, sono sopravvissuti alle professioni di epoca imperiale che dovevano celebrare. Altri, come il ballo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica o l’ormai soppresso ballo della vita – fondato per sensibilizzare l’opinione pubblica durante il picco della crisi dell’aids – appartengono decisamente all’epoca contemporanea.
Ad attirare la mia attenzione, però, è stata soprattutto l’inverosimile continuità delle tradizioni ottocentesche. La frenesia del valzer riflette l’ansia delle capitali europee assalite dai turisti, economicamente in difficoltà e sempre più preda del pessimismo politico. In un continente che ama e celebra le vecchie tradizioni ma che sta perdendo inesorabilmente posizioni nell’ordine geopolitico mondiale, come si fa ad affrontare il futuro senza idealizzare il passato?
Vista da questa prospettiva, la stagione dei balli è lo specchio dei vistosi anacronismi di un’area in transizione. Decine di ospiti e di ex debuttanti – quasi ogni ballo ha una cerimonia delle debuttanti – descrivono questi appuntamenti in termini meravigliosamente contraddittori. I balli, mi hanno detto, sono eleganti, pacchiani, raffinati, esclusivi, democratici, elitari, ironici, splendidi, decadenti, noiosi, strabilianti: sono politici e apolitici, accessibili e inaccessibili, internazionali e squisitamente viennesi.
Anche la mia esperienza ha confermato questa cacofonia. Ho visto tiare e gonne con la crinolina; un tatuaggio dell’affresco della Cappella sistina su una schiena lasciata scoperta dall’abito; guanti da sera spaiati e piume di struzzo sparse sul parquet dei pavimenti del palazzo Hofburg; extension per capelli arrotolate in chignon grossi come uova Fabergé. Ho visto ministri che ballavano la disco e mi sono svenute davanti almeno sei debuttanti.
Vari giornalisti mi hanno detto che le testate per cui scrivo sono molto “serie e politiche” e che un ballo viennese non è un evento né serio né politico: è frivolo, è divertimento. Non hanno torto. Credo anche, però, che il rapporto di una società con la tradizione influenzi le sue aspettative per il futuro: in particolare, quanto il futuro debba somigliare al passato.
Maryam Yeganehfar, direttrice creativa del ballo dell’Opera, sottolinea la capacità rigeneratrice dei balli. La festa del carnevale è stata istituita, dice, per dare alla gente “speranza, vita e divertimento” nelle settimane che precedevano la quaresima, il periodo di quaranta giorni prima della celebrazione della Pasqua. “Ma perché il divertimento viene sempre interpretato come decadenza?”, domanda Yeganehfar.
Ora che le prime pagine dei giornali nell’Europa post pandemia parlano d’immigrazione, guerra, estrema destra, cambiamento climatico, crisi energetiche, tensioni nelle relazioni transatlantiche, i balli sono la spia della tentazione della nostalgia, ma anche della voglia di continuare a spassarsela.
Il primo ballo a cui ho partecipato è stato il Ball der Wissenschaften (ballo della scienza). Oliver Lehmann, direttore dell’evento dal 2014, sa benissimo quanto la stagione attiri gli stranieri. “Per molti nostri ospiti che arrivano dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, oltre che dalla Svizzera e dalla Germania, un ballo è come una zuccherosa favola Disney”, mi dice quando ci parliamo su Zoom prima del mio arrivo. Lehmann riconosce che in effetti è un po’ così. Ma secondo lui i balli vanno visti soprattutto come “la versione austriaca di un grande evento sociale”. Una volta anche i socialisti avevano i loro: negli anni sessanta dell’ottocento, durante il ballo dei lavoratori chi era iscritto al partito ballava il valzer con la cravatta rossa, attirando le attenzioni dei censori politici.
Il ballo della scienza riunisce i rappresentanti delle nove università pubbliche di Vienna, la vasta rete di atenei privati della città e numerosi istituti di ricerca, che s’incontrano per celebrare e consolidare la reputazione della capitale come grande centro dell’innovazione. Si caratterizza anche per un programma quasi politico. Si è tenuto per la prima volta nel 2015, in parte per contrastare l’Akademikerball, il ballo degli accademici coordinato dai nazionalisti dell’Fpö, il Partito austriaco della libertà. Nel 2014, la manifestazione di protesta contro l’Akademikerball era diventata violenta, con feriti e danni.
Oggi l’amministrazione municipale di Vienna mette gratuitamente a disposizione del ballo della scienza il suo sontuoso palazzo comunale, testimoniando il suo apprezzamento per la politica dei prezzi popolari praticata dagli organizzatori: un ingresso normale costa cento euro, oppure 107, mentre gli studenti possono entrare per 43 euro. È una scelta che mette tutti d’accordo: gli scienziati celebrano le loro scoperte, gli studenti partecipano per pochi soldi, l’amministrazione locale scredita la disinformazione dell’Fpö. E una città dove spesso l’innovazione è messa in ombra dalle attrazioni storico-culturali può sfoggiare il suo lustro in campo tecnologico.
Secondo Lehmann l’attenzione del ballo della scienza per la Vienna contemporanea dimostra che questi appuntamenti “non hanno niente a che vedere con la nostalgia”. A giugno l’Fpö è stato il primo partito alle elezioni per il Parlamento europeo e i sondaggi lo danno a più del 30 per cento in vista delle elezioni politiche del prossimo autunno, Quando chiedo a Lehmann se l’estrema destra ha cominciato a politicizzare i balli risponde: “Non lo so, ma non abbiamo mai fatto il tutto esaurito tanto presto”.
Il ballo della scienza ne contiene tanti. Le danze si tengono in una serie di sale sparse su tre piani del palazzo comunale, ognuna con la sua banda e il suo stile musicale. La sala principale, piena di candelabri e coppie di debuttanti in smoking e guanti bianchi, si apre su una maestosa scalinata addobbata di fiori. Alle sue spalle c’è la torrida sala del tango, seguita da un chiostro barocco dove una cover band suona Que será, será e da una pista da discoteca affollata di ospiti più giovani. È qui che ho visto la ministra per la protezione del clima scatenarsi sulle note di Stayin’ alive.
Il ballo di quest’anno è dedicato alla promozione di strategie più efficaci per comunicare la minaccia del cambiamento climatico. Girano volantini con un gioco di logica sulle emissioni di CO2 e c’è una criptica mostra sulle balene con una macchina della nebbia. In un cortile lastricato, un cubo gonfiabile di otto metri per otto simile a una casa gigante rappresenta visivamente una tonnellata di emissioni; un cittadino medio dell’Unione europea emette ogni anno tra le sette e le otto tonnellate di CO2.
L’importanza di questi temi per il governo austriaco è sottolineata dalla presenza di Michael Ludwig, il sindaco di Vienna, e di Leonore Gewessler, ministra federale per la protezione del clima, l’ambiente, l’energia, la mobilità, l’innovazione e la tecnologia. Sulla scalinata principale i politici posano per i selfie con gli studenti, molti dei quali si mostrano molto interessati alla questione climatica. I balli possono facilitare questa sorta di coinvolgimento diretto degli elettori. Gewessler, tuttavia, invita a non sopravvalutare l’importanza politica di questi eventi. “Dal congresso di Vienna sono cambiate molte cose”, dice, “come è giusto che sia in una democrazia aperta”.
Ha ragione: le cose sono cambiate. Molte giovani donne – tra cui la presidente dell’unione degli studenti di Vienna – approfittano del codice di abbigliamento gender neutral sfoggiando raffinati smoking e cravatte bianche. Agli organizzatori “non importa un tubo” di chi indossa cosa, dice Lehmann, purché siano abiti da sera. Una coppia di biologi di origine indiana, che adesso lavorano in un istituto di ricerca viennese, si presenta in smoking e in un sari smeraldo della stagione dei matrimoni di Mumbai riadattato per l’occasione (il fatto che anch’io indossi il mio abito da sposa diventa un elemento di condivisione).
Alcuni studenti statunitensi del St. Olaf college, in Minnesota, hanno comprato i vestiti in un negozio a buon mercato a Bratislava, in Slovacchia, a circa un’ora di treno. Sono abbagliati dallo splendore del ballo. “È incredibile”, dice uno. “Sì, però, i drink sono troppo cari”, interviene un altro.
Le dinamiche di classe dei balli sono oggetto di grande attenzione al livello locale. Aprite un qualsiasi giornale austriaco a febbraio e troverete un articolo su quanto spende in media un ospite per evento: 346 euro. Circa un terzo è per il biglietto d’ingresso, il resto serve per l’abito, il taxi, il trucco, l’acconciatura e le consumazioni, notoriamente carissime: secondo le cronache 14,50 euro per una pinta di birra e 15,90 per un würstel. Nel 2022, la governatrice di un länder austriaco era stata presa in giro sui social per aver suggerito di “limitarsi” ad avere tre abiti da ballo anziché dieci.
Tutte queste spese sono fonte di preziosi guadagni per i viennesi, come tassisti, camerieri, istruttori di ballo e parrucchieri. Norbert Kettner, amministratore delegato dell’ente per il turismo di Vienna, un’organizzazione indipendente che riceve fondi anche dalla città, osserva che le centinaia di milioni di euro spesi dai 540mila ospiti di quest’anno avranno ricadute positive per l’economia locale. Al ballo della scienza, nell’“angolo dello styling” dove gli ospiti si fermano per un ritocco al trucco o ai capelli, una truccatrice freelance mi dice che durante la stagione incassa più della metà del suo reddito annuo.
Alla fine della serata, un tassista mi spiega che organizza i suoi turni di notte secondo il programma dei balli, mostrandomeli sul telefono: solo stasera ce ne sono cinque. Quando gli chiedo se ha mai partecipato a un ballo si mette a ridere: “Solo da fuori!”. Cioè alla fermata dei taxi.
È naturale domandarsi se l’aura ottocentesca favorisca le norme democratiche o le ostacoli, soprattutto in un momento in cui in tutta Europa soffia il vento dell’estrema destra nostalgica dell’epoca precedente alla globalizzazione. C’è la percezione che da allora il continente sia entrato in declino. Eppure è ancora relativamente ricco: secondo le stime del Fondo monetario internazionale il pil pro capite dell’Austria è il quattordicesimo più alto del mondo.
Nel frattempo, mentre la guerra infuria in Ucraina, in Sudan e nel Medio Oriente, l’agenzia dell’Unione europea per l’asilo prevede che nel 2024 arriverà il maggior numero di richiedenti dal 2015, quando furono 1,3 milioni per metà provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq. A novembre, poco prima della stagione del carnevale, l’estremista di destra austriaco Martin Sellner, che ha 35 anni, ha presentato un agghiacciante piano di “remigrazione” per i migranti, i richiedenti asilo e i “cittadini non assimilati” durante una conferenza di estrema destra vicino a Berlino. Da allora gli è stato vietato l’ingresso in Germania.
I balli sembrano offrire una salutare tregua da queste tensioni, a patto di non alimentare il pozzo della nostalgia da cui salgono tutti questi allarmi politici inquietanti.
Verso mezzanotte, al ballo della scienza, una studente bavarese che sta seguendo un master in psicologia si libera dalle scarpe con i tacchi sul tappeto rosso della scalinata. Dice che è la seconda volta che partecipa all’evento: l’anno scorso è venuta insieme a un’amica per festeggiare il superamento di un temutissimo esame di statistica.
“Lo adoriamo”, dice, indicando la folla scintillante di giovani che posano per le foto alle nostre spalle, “ma allo stesso tempo lo detestiamo”. A suo modo di vedere, la cultura dei balli è élitaria ed esclusiva, riservata ai ricchi. Ma, d’altra parte, dice: “Perché non sentirsi super-speciali ogni tanto? Guarda cosa puoi avere per quaranta euro”.
Organizzato dal club dei proprietari di caffè viennesi, il Kaffeesiederball, “ballo dei torrefattori di caffè”, è uno degli eventi più attesi della stagione. Il ballo celebra e promuove la storia della cultura dei caffè di Vienna, che dal 2011 è nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità dell’Unesco. Se ci fosse un premio per il ballo preferito dalla gente, questo lo vincerebbe di sicuro. Moltissimi ospiti, nessuno dei quali è un torrefattore, mi hanno detto che è il più bello della stagione.
Nel sontuoso palazzo Hofburg, dove si tiene il ballo, l’atmosfera è quella di un night club. I partecipanti vanno dai diciotto agli ottant’anni: c’è chi viene da Monaco di Baviera per festeggiare un quarantesimo compleanno, chi da Dubai per il glamour, chi dalla Carinzia, nel sud dell’Austria, per assistere all’esibizione del balletto di stato di Vienna, chi dal nord dell’Austria per vedere una band di disco music. E vengono anche per vedere l’Hofburg, l’ex palazzo imperiale che dà un fascino e un’eleganza particolari a ogni evento.
Soprattutto, però, gli ospiti sono qui per ballare: la polka, la quadriglia, la polonaise e il valzer viennese, con il suo complicatissimo “giro rovescio”, in cui le coppie eseguono una doppia rotazione girando sul loro asse e roteando simultaneamente per la sala come pianeti in orbita attorno al Sole. Le danze si riversano dalla sala principale agli appartamenti dorati che attraversano il palazzo. Così finalmente arrivo in un vicolo cieco in corrispondenza delle sale della Redoute, che l’imperatrice Maria Teresa, appassionata di ballo, fece ristrutturare nel 1748 per ospitare valzer e feste in maschera. Stasera ci sono luci al neon, un bar e un dj di musica techno.
Per secoli i balli hanno rappresentato il braccio di ferro tra democrazia e controllo aristocratico in Europa. Dal cinquecento al settecento a Vienna la monarchia fece di tutto per regolamentare o vietare le feste in maschera e le danze pubbliche nelle settimane prima della quaresima. Il divieto fu imposto per motivi di ordine pubblico (spesso, dietro l’anonimato delle maschere di carnevale, venivano commessi degli omicidi) e per timore di rivolte popolari.
Nel frattempo la nobiltà aveva cominciato a organizzare le sue feste in maschera in sale da ballo private come quelle della Redoute. Nel 1772, quando l’imperatore Giuseppe II aprì le sale al pubblico non titolato, i nobili si ritirarono in spazi più esclusivi, dove potevano controllare meglio la lista degli invitati (e, per estensione, il mercato dei matrimoni). Poi ogni professione cominciò a organizzare i propri eventi.
I balli di oggi sono sempre più internazionali e interculturali. “Vent’anni fa”, mi dice un viennese di quarant’anni, “non si vedevano tutti questi partecipanti dall’estero”. Quest’anno ha portato due amici da Parigi. Durante la serata incontro anche una giornalista di moda svizzera, un inviato dalla Corea del Sud e un corrispondente da Monaco di Baviera. In uno dei molti bar dorati del palazzo, un fotoreporter locale sta immortalando due modelle, una in smoking nero e l’altra in un vaporoso abito rosa. Quando gli chiedo cosa vuole pubblicizzare con i suoi scatti, mi risponde divertito: “Vienna!”. Le foto in posa saranno pubblicate su una rivista internazionale di viaggi.
Per i paesi europei, il passato del continente è facilmente monetizzabile grazie al turismo internazionale. In città come Barcellona e Amsterdam, il numero totale di visitatori all’anno supera di dieci volte quello degli abitanti, e alcune amministrazioni hanno cominciato a scoraggiarne l’arrivo. Oggi, il turismo rappresenta quasi il 10 per cento dell’economia austriaca, la stessa percentuale dell’eurozona, che complessivamente accoglie più del 60 per cento dei viaggi turistici internazionali.
Ci sono molti buoni motivi per visitare il continente: Vienna, per esempio, è spesso in cima alla lista delle città più vivibili del mondo. Tra gli europei, però, eventi più recenti come la pandemia, il cambiamento climatico e la vicinanza geografica alla guerra in Ucraina hanno cominciato ad alimentare la percezione di un declino. Un’ex debuttante riflette sulla sua esperienza con un nichilismo contagioso: “L’Europa è perduta”, dice. “C’è la guerra in Ucraina e non c’è più una lira. Sostanzialmente è andato tutto a puttane. Quindi tanto vale spassarsela!”. Non è certo il miglior messaggio da mettere su una rivista di viaggi.
Nonostante il loro disincanto, Norbert Kettner sostiene che i giovani come l’ex debuttante hanno salvato i balli. Le discoteche e i codici di abbigliamento sempre meno rigorosi fanno parte di uno sforzo concertato per attirare le nuove generazioni.
La strategia ha funzionato: nelle migliori scuole di danza della città i corsi per debuttanti sotto i trent’anni sono sempre pieni. Lo sforzo di mantenere la stagione dei balli fa parte della sfida complessiva europea: come tutelare tradizioni culturali gloriose tenendole al passo con i tempi.
Il ballo ufficiale di stato, il “ballo dei balli”, il più bello, più decadente e più esclusivo di tutta l’Austria, ha debuttato nel 1935. È un evento di raccolta fondi per l’opera di stato di Vienna, che accoglie le danze all’interno del suo teatro. Nel 2019 ha raccolto più di un milione di euro, devoluti al finanziamento dell’opera e del balletto nazionale.
Negli ultimi anni, però, il ballo dell’Opera si è distinto anche per le pacchianate dei vip. Per questo bisogna ringraziare soprattutto l’imprenditore austriaco Richard Lugner, star dei reality televisivi: ogni anno, l’annuncio della sua accompagnatrice al ballo è un momento imperdibile per i tabloid. Nel 2005 si è presentato al fianco della ex Spice Girl Geri Halliwell che, come hanno sottolineato i titoli dei giornali, si è rifiutata di ballare con lui. Tra le sue precedenti accompagnatrici ci sono Pamela Anderson, Kim Kardashian e Grace Jones. Quest’anno è stata Priscilla Presley. La diretta in streaming dell’evento è seguitissima: lo scorso inverno l’hanno vista più di 1,6 milioni di austriaci e un milione di tedeschi.
Il ballo dell’Opera, con la sua enorme risonanza mediatica, attira anche i contestatori. La manifestazione di protesta che dalla fine degli anni ottanta si svolge lo stesso giorno del ballo è diventata ormai parte della tradizione come il valzer stesso. Quest’anno, circa cinquecento persone, mobilitate dalla Gioventù comunista d’Austria, hanno sfilato intonando lo slogan “Mangia il ricco”. Tra le richieste più specifiche dei manifestanti, una politica nazionale degli alloggi, la reintroduzione dell’imposta di successione e l’indicizzazione dei salari all’inflazione.
Il portavoce del gruppo, Johannes Lutz, spiega che le proteste sono contro “l’iniquità simboleggiata dal ballo dell’Opera” più che contro il ballo in sé. Il prezzo d’ingresso minimo di 395 euro (di cui 35 devoluti in beneficenza) è motivo di contestazione: i biglietti più economici per gli altri balli esclusivi della stagione non superano i 193 euro.
Yeganehfar è direttrice creativa del ballo dell’Opera dal 2023 e gestisce anche una nota società di produzione di eventi, riconosce che il ballo “ha il suo prezzo” e lo paragona a un grande evento sportivo: alcuni appassionati mettono i soldi da parte per essere presenti, molti altri lo seguono da casa (per fare un confronto, nel 2023 il prezzo medio di un biglietto per una partita di football della Nfl negli Stati Uniti era di 377 dollari, circa 350 euro). Proprio perché la gente comune “mette i soldi da parte per essere in questa sala”, dice Yeganehfar, è essenziale che il ballo sia un appuntamento memorabile. “È l’evento più bello del paese”, dice. “Dovremmo metterlo su un piedistallo”.
Il ballo coinvolge l’intero teatro dell’Opera – il palco, le ali, il seminterrato e i numerosi bar e caffè rifilati in oro – dando alla serata un senso di vertigine da “notte al museo”. Da un atrio traboccante di rose Pink Floyd, gli ospiti in arrivo sfilano lungo corridoi ricoperti di linoleum tra schiere di camerini solitamente riservati a cantanti e ballerine. Le danze si svolgono sul palco del teatro, esteso per l’occasione alla buca dell’orchestra. Debuttare al ballo dell’Opera, mi dice senza fiato una giovane debuttante, vuol dire calcare lo stesso palco dove si sono esibiti “i più grandi cantanti della storia”.
Un concetto che sento ripetere continuamente dagli ospiti è che il ballo dell’Opera è “una cosa che va vista almeno una volta nella vita”. Una coppia di coniugi di Berlino – una segretaria in pensione e un dirigente di un’azienda che commercia idrogeno – dicono di essere qui perché Vienna è “la città della musica”. Otto signore di mezza età del Kirghizistan si sono presentate in abiti abbinati color pastello dopo aver scoperto il ballo dell’Opera su internet. Due studenti austriaci di scienze dell’educazione e antropologia sociale, che con i loro capelli gelatinati e i vestiti completamente neri danno una nota punk al codice di abbigliamento, dicono che di solito partecipano alla manifestazione dei militanti di sinistra, ma quest’anno hanno risparmiato per partecipare al ballo: “Una sera al ballo dell’Opera, tutte le altre alla manifestazione!”.
In realtà stiamo tutti pensando la stessa cosa: senza bisogno di chiedere niente, sono loro a introdurre l’argomento. La consapevolezza del mondo esterno si riflette nel prezzo delle consumazioni: il 10 per cento degli incassi viene devoluto a un’iniziativa di beneficenza, oltre ai 38 euro già previsti sul prezzo del biglietto. Vedo tre ragazzi che si passano tra loro una bottiglia di liquore, un sistema comune per aggirare il prezzo esorbitante dei drink. Scendendo dal palco, schivo i camerieri che corrono verso i palchi riservati con vassoi di pasticcini e tartine.
È una questione di “tradizione”, spiegano gli ospiti. È prestigioso partecipare allo stesso ballo dei vip (più tardi scopro che c’è anche l’attore Franco Nero), “vedere e farsi vedere”. Ma soprattutto, ad attirare la gente è il senso del proibito, l’idea di essere in un luogo di sogno, dove non è permesso stare: dietro le quinte del teatro dell’Opera di Vienna, magari nell’ottocento.
Nell’atrio, le televisioni intervistano i vip in diretta. La sensazione di essere caduta dentro uno specchio diventa quasi opprimente quando scendo nel seminterrato, che è stato trasformato in un night club. Su un divano di velluto accanto alla pista affollata c’è una gonna di tulle con crinolina, prova del cambio di costume notturno di un’ospite.
Come se mi fossi svegliata da un incantesimo, esco per tornare a casa. Di nuovo nel mondo reale, mi suonano in testa le parole di Yeganehfar: “Perché il divertimento è sempre interpretato come decadenza?”.
Il tassista che mi fa salire davanti al teatro dell’Opera è originario della Polonia. Dopo un po’ la nostra conversazione si sposta sull’ascesa della destra nel suo paese. “La storia si sta ripetendo al contrario”, conclude, riferendosi all’affermazione del partito di estrema destra Diritto e giustizia in Polonia e al conseguente peggioramento delle relazioni con la Germania. L’osservazione rafforza la mia sensazione di muovermi su più linee temporali.
Quando arriviamo al mio ostello è l’alba. Scendo dal taxi e lascio di mancia tutto quello che ho in tasca. Barcollando sotto i primi raggi del sole su un paio di scarpe con i tacchi prese in prestito, mi domando se le critiche ai balli non siano tanto un segno di diffidenza verso il piacere, quanto quello di un profondo senso di dissonanza. In Europa c’è ancora una qualità della vita che fa invidia a gran parte del mondo, eppure i populisti sono riusciti a creare – e a diffondere – la narrazione di un continente prossimo al declino.
“Speriamo che il futuro sia migliore!”, mi ha detto il tassista congedandosi. Mi accorgo di avere un po’ troppa voglia di essere d’accordo con lui. ◆ fas
Jessi Jezewska Stevens è una scrittrice e giornalista. Vive a Ginevra, dove si occupa di cultura europea e del movimento per il clima. Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista culturale online The Dial e dal trimestrale Foreign Policy con il titolo Don’t stop the music.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati