Una guerra contro le donne
All’inizio di maggio, dopo la pubblicazione di una bozza della sentenza della corte suprema che ribaltava il precedente stabilito nella causa Roe contro Wade del 1973, negli Stati Uniti è riapparso uno slogan: “Non torneremo indietro”. È stato intonato durante le manifestazioni, in modo provocatorio ma anche un po’ ingenuo, visto che viviamo chiaramente in un’epoca di repressione e regressione, in cui quello all’aborto non è l’unico diritto che sta scomparendo.
Ora che la sentenza è arrivata, con la corte che ha annullato il diritto costituzionale a interrompere una gravidanza e ha dato il via libera a leggi restrittive in venti stati, lo slogan suona quasi scollegato dalla realtà. Un’indicazione, forse, di quanto sia diventato difficile cogliere il potere e l’estremismo di destra dell’attuale corte suprema. Il sostegno dell’opinione pubblica all’aborto non è mai stato così alto, con più di due terzi degli statunitensi contrari alla cancellazione della sentenza Roe. Nonostante questo, alcuni parlamentari repubblicani hanno fatto sapere che se il loro partito dovesse arrivare a controllare le due camere del congresso e la presidenza, cercheranno di far approvare una legge federale che proibisca l’aborto. Chi resterà incinta d’ora in poi dovrà accettare il fatto che metà del paese è nelle mani di politici convinti che le donne non sono persone a tutti gli effetti, non sono autonome. Che se sei incinta hai il dovere legale e morale di portare avanti la gravidanza e, con ogni probabilità, garantire una ventina d’anni o più di assistenza a tuo figlio, indipendentemente dalle conseguenze permanenti e potenzialmente devastanti che tutto questo avrà sul tuo corpo, il tuo cuore, la tua mente, la tua famiglia, la tua capacità di sfamarla, i tuoi progetti, le tue aspirazioni, la tua vita.
“Non torneremo indietro” è un grido di battaglia inadeguato, ma è vero per un aspetto: il futuro in cui ormai abitiamo non somiglierà al passato prima della sentenza Roe, quando le donne abortivano – e a volte morivano – clandestinamente. Il pericolo principale oggi risiede altrove ed è probabilmente più grave. Siamo entrati in un’era non solo di aborti rischiosi ma di sorveglianza diffusa e criminalizzazione da parte dello stato, sia delle donne incinte sia anche di medici, farmacisti e operatori delle cliniche, volontari, amici e familiari, di chiunque entri in contatto con una gravidanza che non si conclude con un parto. Chi è convinto che la sentenza non cambierà molto le cose – lo pensano persone di entrambi gli schieramenti politici – non si rende conto di come le crociate antiabortiste in singoli stati abbiano già trasformato la gravidanza in una punizione, e di quanto la situazione sia destinata a peggiorare.
Dati pericolosi
Negli stati in cui l’aborto è stato o sarà presto vietato, qualsiasi interruzione di gravidanza anticipata può essere ora considerata un reato. La cronologia delle ricerche su internet, i messaggi, i dati sulla posizione e sui pagamenti, le informazioni delle app di monitoraggio del ciclo: se pensano che l’interruzione di gravidanza sia stata deliberata, i procuratori possono accedere a queste informazioni. E anche se non si riuscirà a provare che c’è stato un aborto volontario, il solo fatto di subire un processo sarà una punizione per le persone indagate, che saranno considerate responsabili di qualunque cosa emerga dal procedimento.
Cinque anni fa Latice Fisher, madre nera di tre figli che guadagnava 11 dollari all’ora come operatrice radio della polizia in Mississippi, ha avuto un aborto spontaneo in casa, intorno alla trentaseiesima settimana di gestazione. Quando è stata interrogata, ha ammesso che non voleva più bambini e non sarebbe riuscita a prendersi cura di altri figli. Ha consegnato il suo telefono agli investigatori, che lo hanno setacciato e hanno trovato ricerche relative al mifepristone e al misoprostolo, le pillole per l’aborto farmacologico.
Questi farmaci sono uno dei motivi per cui non torneremo all’era delle grucce di metallo. Possono essere prescritti online e spediti per posta. Con una dose in più, la loro efficacia nell’interrompere una gravidanza fino all’undicesima settimana (il limite in cui avviene il 90 per cento degli aborti negli Stati Uniti) va dal 95 al 98 per cento. Già più della metà di tutti gli aborti del paese sono farmacologici. In diciannove stati i medici non possono prescrivere questi farmaci online, ma le donne possono chiedere aiuto a medici di altri stati o di altri paesi.
Non c’erano prove che Latice Fisher avesse preso una pillola abortiva. Ha detto di aver avuto un aborto spontaneo, un evento che negli Stati Uniti si verifica in una gravidanza su 160. Nonostante questo è stata accusata di omicidio di secondo grado e trattenuta per settimane con una cauzione fissata a centomila dollari. Alla fine è stata scagionata, ma il suo calvario è durato più di tre anni.
Negli stati proibizionisti ordinare le pillole abortive potrebbe diventare illegale (il Missouri sta pensando di equiparare la spedizione e la consegna di queste pillole al traffico di droga, mentre la Louisiana ha appena approvato una legge per criminalizzare il loro invio a chi risiede nello stato, con pene fino a sei mesi di reclusione). In molti casi, per evitare di violare la legge, una donna dovrebbe andare in uno stato dove l’aborto è legale, chiedere una consulenza online lì e poi ricevere le pillole in quello stato. In Texas molte donne hanno scelto un’opzione più rischiosa ma più semplice: andare in Messico e comprare le pillole in farmacie non autorizzate, dove potrebbero ricevere consigli sbagliati sul loro uso. Alcune donne che non hanno la libertà o i soldi per andare fuori dal loro stato, ordineranno i farmaci senza sapere esattamente quanto sono avanti nella gravidanza. Le pillole sono sicure ed efficaci, ma le pazienti devono poter essere seguite da un medico prima e dopo la loro assunzione. Le donne che vivono negli stati proibizionisti e vorranno rivolgersi a un medico dopo un aborto autogestito dovranno scegliere tra rischiare la libertà o la salute.
Negli Stati Uniti gli aborti procurati e quelli spontanei sono circa un milione all’anno, e spesso i due eventi sono clinicamente indistinguibili. Per questo gli stati con le leggi più restrittive hanno tutto l’interesse a distinguerli. Alcuni hanno già gettato le fondamenta per la creazione di database governativi di donne incinte che potrebbero cercare di abortire. Nel 2021 l’Arkansas ha approvato una legge che impone a chi vuole abortire di chiamare un numero verde statale e a chi pratica aborti d’inserire tutte le pazienti in un database con un numero identificativo univoco. Da allora altri sei stati hanno approvato o proposto leggi simili. I call center sono in genere gestiti da centri associati a organizzazioni cristiane, che spesso si spacciano per cliniche dove si può abortire, non forniscono assistenza sanitaria e consigliano appassionatamente alle donne di non interrompere la gravidanza. Negli Stati Uniti questi centri sono già tre volte più numerosi delle cliniche che praticano l’aborto e, a differenza degli ospedali, non sono tenuti a proteggere la privacy delle persone che si rivolgono a loro. Sono in grado di raccogliere dati – nomi, luoghi, dettagli sulla famiglia, informazioni sulla storia medica e sessuale – che possono usare contro chi li contatta in cerca di aiuto.
I prossimi bersagli
Se resti incinta, il tuo telefono generalmente lo sa prima di molti dei tuoi amici. L’intera economia di internet si basa sul meticoloso monitoraggio degli acquisti e dei termini di ricerca degli utenti. In futuro si diffonderanno leggi modellate su quella del Texas, che incoraggia i privati a denunciare chiunque faciliti un aborto, dando agli auto-proclamati vigilantes tutti gli strumenti per tracciare e identificare le persone sospette. Di recente una giornalista di Vice ha comprato per 160 dollari un insieme di dati sulle visite fatte in più di seicento cliniche di Planned parenthood, un’organizzazione per la pianificazione familiare che aiuta anche le donne a interrompere le gravidanze.
Alcuni intermediari vendono dati che consentono di tracciare i viaggi da e verso qualsiasi luogo, per esempio una clinica che pratica aborti in un altro stato. In Missouri un parlamentare ha proposto una norma che consentirebbe ai cittadini di denunciare chiunque aiuti una residente dello stato ad abortire oltre confine. Come nel caso della legge texana, chi denuncia con successo ha diritto a una ricompensa di diecimila dollari. Ricorda il Fugitive slave act del 1793, una legge che permetteva ai proprietari di denunciare gli stati dove si erano rifugiati gli schiavi fuggiti. Per ora l’obiettivo delle taglie sono le persone che praticano aborti, non chi abortisce, ma presto le cose potrebbero cambiare. Il Connecticut, uno stato con norme progressiste sul tema, ha approvato una legge che vieta alle agenzie locali di collaborare nei procedimenti giudiziari aperti in altri stati su casi di aborto e protegge le cartelle cliniche delle pazienti arrivate da oltreconfine. Altri stati progressisti seguiranno questo esempio. Se gli stati proibizionisti non possono citare in giudizio i medici che operano fuori del loro territorio, e se le pillole abortive inviate per posta rimarranno difficili da rintracciare, gli unici bersagli possibili saranno i sostenitori dell’aborto e le donne che cercano di interrompere una gravidanza.
The Stream, una pubblicazione cristiana conservatrice, ha recentemente proposto la custodia psichiatrica obbligatoria per le donne che abortiscono. A maggio in Louisiana è stata proposta una legge che consentirebbe a chi ha abortito di essere accusata di omicidio. La proposta è stata ritirata, ma la minaccia era chiara.
Il concetto teologico che considera il feto una persona è una delle dottrine fondanti del movimento antiabortista. Le ramificazioni legali di questa idea – compresa la possibilità che siano classificati come strumenti di omicidio la fecondazione in vitro, la spirale e la pillola del giorno dopo – sono sconfinate e molto più estreme di quelle che anche l’americano medio contrario alle interruzioni di gravidanza è disposto ad accettare. Tuttavia, il movimento antiabortista sta spingendo apertamente per fare in modo che questo concetto diventi il fondamento della legge sull’aborto negli Stati Uniti.
Alcune delle donne che moriranno a causa del divieto ora sono incinte
Nuovi reati
Se un feto è una persona, si può inventare un quadro giuridico che richiede a una donna che lo porta in grembo di fare tutto ciò che è in suo potere per proteggerlo, compreso accettare di morire. Non esiste un altro obbligo come questo nella società statunitense, che invece concede ai poliziotti la libertà di stare a guardare mentre dei bambini vengono uccisi dietro una porta chiusa a chiave (come è successo durante la strage di Uvalde, in Texas). Leggi che considerano il feto una persona sono state approvate in Georgia e Alabama e a questo punto è improbabile che siano considerate incostituzionali. Leggi simili giustificano la criminalizzazione su vasta scala della gravidanza, in base alla quale le donne possono essere arrestate, detenute e costrette a subire l’intervento dello stato per aver intrapreso azioni potenzialmente dannose per il feto.
Negli ultimi quarant’anni questa linea è stata sperimentata di continuo, in particolare sulle minoranze a basso reddito. La National advocates for pregnant women – l’organizzazione che ha offerto una difesa legale nella maggior parte dei casi citati in questo articolo – dal 1973 al 2020 ha documentato quasi 1.800 casi di procedimenti giudiziari o interventi forzati collegati a una gravidanza, ma probabilmente sono molti di più.
Finora la maggior parte dei procedimenti giudiziari collegati a una gravidanza ha ruotato intorno all’uso di sostanze stupefacenti. Le donne incinte che ne consumavano o cercavano terapie per le dipendenze sono state accusate di abuso di minore, negligenza, somministrazione di droghe a un minore, aggressione con un’arma letale, omicidio colposo e omicidio. Di recente c’è stata una serie di assurdi processi in Oklahoma, in cui donne che facevano uso di sostanze sono state accusate di omicidio colposo per aver avuto un aborto spontaneo prima della viabilità fetale (il momento a partire dal quale il feto può sopravvivere fuori dall’utero). In Wisconsin la legge statale consente già ai tribunali dei minori di prendere in custodia un feto, cioè una donna incinta, per proteggerlo, provocando ogni anno la detenzione e il trattamento forzato di quattrocento donne in base al sospetto che possano fare uso di sostanze vietate. Una proposta di legge del Wyoming creerebbe una categoria specifica di reati legati all’uso di stupefacenti durante la gravidanza.
Il movimento che si batte per la libertà di scelta delle donne ha in gran parte ignorato la crescente criminalizzazione della gravidanza. Molte persone che sostengono il diritto all’aborto hanno tacitamente accettato che negli stati conservatori le donne povere e appartenenti alle minoranze perdessero l’accesso all’aborto molto prima della decisione della corte suprema, nella speranza che le migliaia di donne che rischiavano l’arresto per una gravidanza, un aborto spontaneo, la nascita di un feto morto o perfino un parto normale fossero solo un’anomalia. Si sbagliavano. E, come ha notato di recente la giornalista Rebecca Traister, il divario tra la classe privilegiata e tutte le altre cresce ogni giorno.
◆ Il 24 giugno 2022 la corte suprema statunitense ha ribaltato la sentenza del 1973 Roe contro Wade, cancellando il diritto all’aborto a livello nazionale. In mancanza di una legge federale sul tema (è impossibile che sia approvata dall’attuale congresso), la decisione su come regolamentare le interruzioni di gravidanza spetterà interamente agli stati. Alcuni, come il Missouri e il Texas, hanno subito vietato l’aborto, altri molto probabilmente lo faranno presto. Entro la fine dell’anno l’interruzione volontaria di gravidanza potrebbe essere proibita in metà del paese. Alcuni stati dov’è consentita, come New York, California e Oregon, hanno annunciato che si organizzeranno per difendere questo diritto e aiutare le donne che vivono in zone del paese dove è negato. Attivisti e politici del Partito democratico temono che l’offensiva conservatrice che ha portato alla cancellazione della sentenza Roe non sia finita: gli stati conservatori potrebbero decidere di punire le donne che cercano di abortire in altri stati e le aziende che le aiutano offrendo assistenza sanitaria; potrebbero rendere più difficile l’accesso alla pillola abortiva, al momento abbastanza facile da ottenere; inoltre non è escluso che la corte suprema (formata da sei giudici conservatori e tre progressisti) decida di ribaltare altre sentenze, come quella che nel 2015 ha legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Dopo la decisione del 24 giugno decine di migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il paese per contestare la corte suprema e difendere il diritto all’aborto. Il presidente Joe Biden ha detto che la sentenza “mette in pericolo la salute e la vita delle donne”.
Responsabilità esclusiva
La gravidanza è almeno trenta volte più pericolosa dell’aborto. Uno studio ha stimato che un divieto nazionale porterebbe a un aumento del 21 per cento delle morti legate a una gravidanza. Alcune delle donne che moriranno a causa del divieto sono incinte in questo momento. La loro morte non sarà la conseguenza di procedure clandestine ma di una silenziosa negazione delle cure: interventi ritardati, desideri disattesi. Moriranno di infezioni, di preeclampsia, emorragia, perché saranno costrette a sottoporre il loro corpo a gravidanze che non hanno mai voluto, e non sarà difficile per il movimento antiabortista accettare queste morti come una tragica, perfino nobile, conseguenza dell’essere donne.
Nel frattempo i divieti danneggeranno e metteranno in pericolo molte donne che vogliono portare a termine la gravidanza ma che incontrano complicazioni. I medici degli stati proibizionisti hanno già cominciato a rifiutare di assistere le donne che hanno un aborto spontaneo, per paura che il trattamento possa essere classificato come aborto volontario. A una donna del Texas hanno detto che doveva guidare per quindici ore fino al New Mexico per intervenire su una gravidanza extrauterina, che per definizione non può essere portata avanti ed è sempre pericolosa per la madre. Il misoprostolo, una delle pillole abortive, è prescritto di routine per la gestione dell’aborto spontaneo, perché induce l’utero a espellere il tessuto rimanente. I farmacisti texani, temendo di dover affrontare conseguenze legali, già rifiutano di prescriverlo. Se un aborto spontaneo non viene portato a termine in modo sicuro, le donne rischiano – senza contare il danno emotivo – la perforazione dell’utero, danni ad altri organi, infezioni, infertilità e la morte.
La maggior parte degli aborti spontanei è causata da fattori al di fuori del controllo della madre: malattie, irregolarità della placenta o dell’utero, anomalie genetiche. Ma il trattamento riservato alle donne incinte in questo paese fa già sentire molte di loro direttamente ed esclusivamente responsabili della sopravvivenza del feto. Gli viene detto di evitare alcol, caffè, retinolo, tacchino, formaggi non pastorizzati, bagni caldi, esercizio fisico intenso, farmaci per cui non serve prescrizione o che prendono da anni. E si ignorano i fattori strutturali che aumentano la probabilità di un aborto spontaneo: la povertà, l’esposizione a sostanze chimiche, i turni di lavoro notturni.
Mezzo secolo fa il movimento contro l’aborto era dominato da cattolici progressisti, contrari alla guerra e favorevoli al welfare. Oggi il movimento è conservatore, evangelico e determinato, formato soprattutto da persone che non sono per niente interessate a chiedere un sostegno pubblico e strutturale alla vita umana una volta che ha lasciato l’utero. La studiosa Mary Ziegler ha recentemente osservato che gli antiabortisti di oggi considerano le “strategie dei decenni precedenti codarde e controproducenti”. Negli ultimi quattro anni undici stati hanno approvato divieti che non prevedono eccezioni per i casi di stupro o incesto, una posizione estrema che prima sarebbe stata impensabile.
In Texas bambine di nove, dieci e undici anni, che ancora non capiscono cosa sono il sesso e gli abusi, affrontano la gravidanza e il parto forzati dopo essere state violentate. Alle donne che si presentano al pronto soccorso durante un aborto spontaneo è negato il trattamento per la sepsi perché il cuore dei loro feti non si è ancora fermato. Persone di cui non sentirete mai parlare trascorreranno il resto della loro vita cercando, senza riuscirci, di garantire stabilità a un primo o a un quinto figlio del quale sapevano di non essere in grado di prendersi cura.
Di fronte a tutto questo c’è stato troppo pudore, anche nello schieramento di chi è favorevole alla libertà di scelta. In generale si considera l’aborto una sfortunata necessità, e spesso chi accetta la scelta non s’interessa dell’assistenza a chi abortisce, enfatizza i diritti riproduttivi invece della giustizia riproduttiva. Questo atteggiamento ci ha portato fin qui. Non stiamo tornando all’era precedente alla sentenza Roe, e non dovremmo voler tornare all’era successiva, che è stata meno triste di quella attuale ma non è mai stata abbastanza buona. Dovremmo chiedere di più e saremo costrette a farlo. Se vogliamo avere anche solo una possibilità di vivere un giorno in un posto migliore, dovremo difendere incondizionatamente l’aborto come prerequisito necessario per la giustizia e la parità di diritti. ◆ bt
Jia Tolentino è una giornalista e scrittrice statunitense. In Italia ha pubblicato Trick mirror: le illusioni in cui crediamo e quelle che ci raccontiamo (NR edizioni 2020).