Qualche mese fa Dido Harding, responsabile del sistema britannico di test e tracciamento del coronavirus, ha affermato che nessuno avrebbe potuto prevedere la comparsa delle nuove varianti del sars-cov-2, il virus del covid-19. In realtà le varianti erano state previste, e anche se alcuni hanno contestato la dichiarazione di Harding, molti sembrano ancora sorpresi del fatto che il virus continui a mutare.
Con le nuove varianti del covid-19 abbiamo adottato un sistema prevalentemente reattivo. Appena se ne manifesta una valutiamo le mutazioni del genoma e cerchiamo di stabilire se rappresenta una minaccia per la salute. Ma invece di limitarci alle mutazioni genetiche, dovremmo cominciare a prendere in considerazione l’evoluzione del virus, anche in considerazione della revoca delle ultime restrizioni nel Regno Unito, che rischia di portare a centomila i contagi giornalieri accelerando la comparsa di nuove varianti.
Negli organismi longevi come noi umani, singole mutazioni genetiche non hanno grandi conseguenze, ma tra i virus anche una sola può incidere drasticamente sulla capacità di adattarsi alla specie ospite. È per questo che un virus che si evolve rapidamente come quello dell’influenza è sempre un passo avanti a noi, nonostante i nostri sforzi per contrastarlo.
Il gambetto fenotipico
Il legame tra il patrimonio genetico di un organismo e l’ambiente circostante è alla base della sintesi moderna della biologia evolutiva. Secondo questa teoria, i cambiamenti casuali del genoma che aumentano la capacità di adattamento a un dato ambiente diventano inevitabilmente prevalenti. La teoria evolutiva moderna ha un approccio simile. Nell’ecologia comportamentale, per esempio, i ricercatori hanno adottato il cosiddetto gambetto fenotipico, che prende il nome dalla pratica degli scacchi di sacrificare un pezzo per motivi tattici. Allo stesso modo diamo per scontato che i cambiamenti fenotipici – cioè di tratti misurabili come il colore degli occhi o dei capelli – sono governati dalla mutazione genetica. Ma quando ci occupiamo del successo di un certo genotipo sacrifichiamo la conoscenza della mutazione genetica specifica per concentrarci solo sui tratti osservabili.
Invece di usare la teoria evolutiva per prevedere il comportamento del sars-cov-2, molti ricercatori si sono concentrati solo sulla mutazione genetica. Limitandosi a monitorare i cambiamenti nella struttura del virus, hanno fatto un sacrificio che potremmo chiamare gambetto genotipico. Nel caso delle varianti, il sacrificio consiste nel rinunciare a prevederne la comparsa e l’eventuale maggiore trasmissibilità tra gli esseri umani. Anche se non siamo in grado di prevedere le mutazioni genetiche con precisione, o almeno non ancora, possiamo ipotizzare che ci saranno e agire di conseguenza.
Il gambetto genotipico ci tiene sulla difensiva. Per i teorici dell’evoluzione, per esempio, non sarà stata una sorpresa che l’epidemia di covid-19 tra i visoni della Danimarca abbia causato mutazioni specifiche. Sono mutazioni importanti in sé, ma più che altro sono una sorta di descrizioni di comportamenti, riscritte nella lingua della genetica, a cui potremmo e dovremmo prepararci.
La revoca delle restrizioni nel Regno Unito causerà probabilmente la comparsa di nuove varianti più adattabili che, secondo alcuni, permetteranno al virus di aggirare i vaccini. I dati genomici possono spiegarci con esattezza come avviene, ma non sono necessari per formulare una previsione evolutiva globale.
Negli Stati Uniti, per esempio, l’intervallo tra la prima e la seconda dose dei vaccini a mRna è di tre settimane, contro le dodici previste inizialmente nel Regno Unito. È per questo che negli Stati Uniti la variante delta si è diffusa più lentamente, come prevede la teoria evolutiva.
Siamo ancora lontani dal mettere sotto controllo il covid-19. A dettare il calendario delle campagne vaccinali e dei lockdown dovrebbero essere i dati sulle mutazioni genetiche, in una logica evolutiva darwiniana. Se invece continueremo a giocare al gambetto genotipico, il virus ci batterà ancora. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1419 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati