Il 3 giugno 1991 il monte Unzen, un vulcano attivo vicino a Nagasaki in Giappone, eruttò scatenando un’ondata piroclastica mortale di gas caldo e cenere giù per la montagna. Lì, con le loro telecamere in funzione, c’erano Katia e Maurice Krafft, una vulcanologa e un regista francesi, moglie e marito, celebri per le loro incredibili riprese ravvicinate delle eruzioni vulcaniche. I due rimasero uccisi, insieme ad altre 41 persone.
La carriera e la relazione dei Krafft, personale e professionale, sono al centro di Fire of love, un documentario che a gennaio è stato presentato in anteprima negli Stati Uniti al Sundance film festival, nello Utah, poi a marzo al festival Cph:Dox di Copenaghen, in Danimarca, e all’inizio di aprile al festival svizzero Visions du réel di Nyon, dove ha vinto il premio assegnato dal pubblico.
Diretto da Sara Dosa e narrato dall’attrice e regista Miranda July, entrambe statunitensi, il film esplora i parallelismi tra l’amore che i Krafft avevano l’uno per l’altra e la loro determinazione nel riuscire a immortalare la furia della Terra sulla pellicola.
Dosa offre una visione romantica del lavoro dei Krafft. Li mostra intenti a catturare immagini mozzafiato di eruzioni, o a raccogliere dati dal bordo dei vulcani, del tutto consapevoli (almeno così sembra) dei pericoli che corrono per stare così vicini all’azione.
Per Dosa, la relazione personale era la chiave del loro successo professionale. Nei filmati d’archivio, ciascuno dei due ammette apertamente di non poter funzionare senza l’altro. Katia esamina meticolosamente le rocce e prende dei campioni con occhio attento, mentre la natura audace di Maurice li spinge a cercare immagini più grandiose e migliori, avvicinandosi sempre più all’azione.
La minaccia costantemente presente della lava fusa sembra non smorzare in nessun modo il loro entusiasmo. Nel corso del documentario, le riprese rivelano la meraviglia e la fascinazione, dolcemente innocente, della coppia per i loro soggetti. In una scena vediamo Katia senza protezioni sul bordo di un vulcano, mentre la lava sgorga. Sta in piedi, guardando verso l’alto con stupore, incurante della roccia fusa che le piove intorno. Anche se tutto questo potrebbe far pensare a persone drogate d’adrenalina o comunque in cerca di emozioni, il film descrive i Krafft non come avventati o sconsiderati, ma come una coppia d’innamorati consumati da una reciproca curiosità e dalla passione per l’avventura.
All’ombra dei vulcani
Ma il documentario non è improntato solo a romanticismo ed eccitazione. Brevi segmenti animati sulla storia dei vulcani danno a Fire of love un tono più didattico, grazie al quale impariamo a conoscere i vulcani e le devastanti conseguenze delle loro eruzioni.
Ci sono due esempi notevoli. Uno è l’eruzione del monte Saint Helens, nello stato di Washington, Stati Uniti, che nel 1980 uccise 57 persone, tra cui il vulcanologo David Johnston, amico dei Krafft. L’altro è l’eruzione del 1985 del Nevado del Ruiz vicino ad Armero, in Colombia, che uccise almeno 23mila persone.
Attraverso questi esempi scopriamo che l’eredità del lavoro dei Krafft non si limita a una serie d’immagini emozionanti. Le loro riprese sono state fondamentali per spiegare i pericoli che le eruzioni rappresentano per chi vive ai piedi dei vulcani, e per convincere le autorità a organizzare piani di evacuazione efficaci.
◆ Il documentario di Sara Dosa sarà presentato in anteprima italiana al Trento film festival, una manifestazione dedicata ai temi della montagna, dell’avventura e dell’esplorazione, arrivata alla settantesima edizione. Quest’anno il festival si svolgerà dal 29 aprile all’8 maggio. Tra i documentari in concorso al festival Into the ice, una coproduzione danese e tedesca in cui il regista Lars Ostenfeld accompagna tre glaciologi, Dorthe Dahl-Jensen, Jason Box e Alun Hubbard, all’interno della calotta glaciale della Groenlandia. Nel francese La panthère des nieges di Marie Amiguet e Vincent Munier, il fotografo naturalista Munier e lo scrittore Sylvain Tesson viaggiano sugli altipiani tibetani alla ricerca del leopardo delle nevi. Sempre in Tibet, Dark red forest del cinese Jin Huaqing racconta la vita quotidiana di una comunità di circa ventimila monache durante i cento giorni più freddi dell’anno. The taking di Alexandre O. Philippe è una lezione di cinema sulla celebre Monument valley e una riflessione sul turismo di massa che rischia di cancellarne la storia. Lassù di Bartolomeo Pampaloni racconta la parabola di Nino, un muratore di Palermo che ha mollato lavoro e famiglia per ritirarsi su una montagna e trasformare un osservatorio abbandonato in un eremo. Al festival saranno presentati, fuori concorso, anche film di fiction, come Altri cannibali di Francesco Sossai, la storia di due uomini che, intrappolati in una valle delle Dolomiti, riflettono sulla possibilità di cambiare vita.
Per approfondire il tema dei vulcani si può vedere il documentario del 2016 Dentro l’inferno di Werner Herzog e del vulcanologo Clive Oppenheimer, disponibile su Netflix, in cui compaiono anche Katia e Maurice Krafft.
Le strazianti riprese della distruzione ad Armero, in particolare, mostrano cosa può succedere quando gli avvertimenti dei vulcanologi non sono presi sul serio e di conseguenza non si agisce rapidamente per mettere al sicuro la popolazione locale.
Più di tutto, però, questo è un film che celebra la storia d’amore di due persone coraggiose, la cui dedizione ha cambiato la nostra comprensione dei vulcani, ma a loro è costata la vita.
Attraverso foto e filmati splendidamente montati da Erin Casper e Jocelyn Chaput, possiamo condividere l’esperienza dei Krafft con le eruzioni, osservando la potenza della Terra con un’intimità che può raggiungere solo chi si trova sul bordo di un cratere.
Una colonna sonora nostalgica dà un tono stravagante ai filmati e presenta la loro vita come un momento unico nel tempo: un racconto, accattivante e che ispira tenerezza, di due spiriti affini che volevano capire il mondo e condividere la loro passione con gli altri. ◆ ff
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati