Le ultime elezioni presidenziali in Russia sono state le più truccate della storia. Secondo i dati della commissione elettorale l’87,3 per cento degli elettori ha votato per Vladimir Putin, e nei territori ucraini annessi dalla Russia nel 2022 il consenso avrebbe superato quasi ovunque il 90 per cento. In queste regioni, tuttavia, tira aria di protesta, e negli ultimi mesi è nato un movimento locale di resistenza: tutte cose di cui ovviamente le autorità russe non parlano. Tra le organizzazioni più note c’è il gruppo partigiano femminile Zla mavka (Mavka crudele). La parola mavka deriva dal folclore ucraino: le mavki sono fanciulle che vivono in foreste, grotte, montagne o laghi e attirano gli uomini con la loro bellezza per poi ucciderli. Nato a Melitopol un anno dopo l’inizio della guerra, questo gruppo di resistenza organizza azioni nell principali città ucraine occupate. Abbiamo raccolto la testimonianza di una delle sue fondatrici, che per motivi di sicurezza ha chiesto di restare anonima.

All’inizio dell’occupazione russa, a Melitopol si usciva in massa a protestare. Pensavamo che così saremmo riusciti a scacciare gli occupanti. Anche quando hanno cominciato a disperdere le manifestazioni e a rapire le persone abbiamo continuato a credere che l’occupazione non sarebbe durata a lungo. Quando è stata liberata Cherson, nel novembre 2022, pensavamo che presto sarebbe toccato anche a noi. Molti hanno cercato di ribellarsi: ovunque sventolavano bandiere dell’Ucraina e circolavano volantini filoucraini e sui muri si leggeva “Gloria all’Ucraina!”. Poi c’è stato il giro di vite: i russi hanno cominciato a controllare le persone per strada, ad arrestarle e a farle sparire, a perquisire le abitazioni e a ricorrere alla tortura per estorcere confessioni. Era più o meno intorno al primo anniversario dell’occupazione (Melitopol è stata invasa il 25 febbraio 2022). In quei giorni abbiamo capito che le cose non sarebbero cambiate rapidamente. Così la protesta è diventata clandestina.

Soldati russi a Melitopol, Ucraina, 14 luglio 2022 (NNN, Magnum/Contrasto)

Gli occupanti hanno costretto quasi tutti a prendere il passaporto russo. Non si può fare altrimenti: è praticamente impossibile sopravvivere senza. Faccio un esempio: senza passaporto russo non si può chiamare un’ambulanza né comprare medicine. Poi sono cominciate delle strane manovre nel settore immobiliare. Per esempio, se un appartamento restava vuoto per un certo tempo, i russi se ne appropriavano. Magari i proprietari avevano risparmiato tutta la vita per comprarlo e non avevano nient’altro. Per poterlo vendere e recuperare i soldi bisognava avere i documenti russi. Chi ha accettato di farli oggi teme di essere arrestato quando Melitopol tornerà ucraina. Io e le mie amiche abbiamo cercato di spiegare che nessuno finirà in carcere se non ha collaborato con gli occupanti.

Vivere sotto occupazione è difficile per tutti, ma per le donne lo è doppiamente. I soldati russi si comportano da padroni: fanno quello che vogliono. Bevono molto, afferrano letteralmente le ragazze per strada e se le portano via. Ricordo che una volta un’auto con dei militari a bordo ha frenato bruscamente e i soldati – tutti armati – hanno cominciato a gridare a una ragazza che stava passando: “Vieni qui, piccola”. Lei non aveva scelta. Nessuna di noi ha scelta. È impossibile sapere come reagiranno delle persone armate di fronte a un rifiuto. Così la ragazza si è avvicinata, sperando di riuscire a scamparla. Non so cosa le sia successo. Se fossi rimasta a guardare, avrei potuto destare sospetti. E attirare l’attenzione dei soldati fa paura.

Quando escono di casa, le abitanti di Melitopol cercano di essere meno appariscenti possibile. Ho già dimenticato cosa significhi vestirsi bene e truccarsi: non voglio attirare l’attenzione dei soldati. Non riesco nemmeno a ricordare l’ultima volta che ho indossato un vestito e ho fatto una passeggiata in città.

Contro gli orchi

Sembra buffo, ma il nostro movimento è nato in cucina. Alla vigilia del primo anniversario dell’invasione, nel febbraio 2023, io e altre amiche ci siamo riunite e abbiamo parlato della nostra vita. Eravamo tutte molto arrabbiate. La situazione era intollerabile. Abbiamo cominciato a pensare che sarebbe stato grandioso organizzare un movimento di resistenza femminile. In quel momento gli occupanti non se lo aspettavano di certo: i controlli erano concentrati sugli uomini. E noi ragazze potevamo muoverci abbastanza liberamente.

L’8 marzo si stava avvicinando, eravamo sicure che i soldati sarebbero andati in giro per Melitopol a regalare tulipani alle donne, come vuole la tradizione russa. Allora abbiamo ideato un volantino con la scritta: “Non vogliamo fiori, ridateci l’Ucraina!”. Volevamo trovare un’immagine mitologica femminile che desse forza alla nostra azione e all’intero movimento. E ci è venuta in mente la mavka ucraina. “Mavki contro orchi” (come gli ucraini chiamano i soldati russi): suonava bene, sembrava un videogioco! È stata un’artista a disegnare la mavka che con un mazzo di fiori colpisce un soldato. Abbiamo affisso i volantini in tutta la città. L’8 marzo, come prevedevamo, i soldati se ne sono andati in giro a distribuire tulipani. Quando un uomo con un mitra si avvicina e ti porge un fiore, non puoi dire: “Brutto schifoso, non lo voglio!”. Di fronte hai un uomo armato che può fare quello che vuole: ucciderti o violentarti. Quindi prendi il fiore e ringrazi. Ma quel giorno sapevamo di aver trovato il modo per far sentire la nostra voce.

Con il passare del tempo il regime di occupazione si è fatto sempre più duro. I russi hanno cominciato a intercettare le telefonate, installato telecamere di sorveglianza e creato un sistema di informatori. Così abbiamo smesso di fidarci gli uni degli altri: qualcuno poteva essersi venduto, qualcun altro forse era stato minacciato. Chi è stato portato “in cantina”, cioè torturato, non lo dirà a nessuno finché non sarà fuori dalla zona di occupazione. Se dici una parola di troppo per strada, il giorno dopo possono venire a prenderti.

È per questo che abbiamo deciso che dovevamo combattere in sicurezza. Non posso dire nulla di specifico sulle nostre azioni, ma diamo sempre indicazioni su come usare il telefono in modo sicuro e setacciamo la città per individuare gli angoli ciechi delle telecamere.

Il nucleo che ha dato vita al movimento è composto da ragazze di Melitopol. Non sappiamo chi siano le altre che si sono unite in seguito. In questo modo siamo più sicure, noi e loro. Siamo molte attive sui social per diffondere la nostra lotta anche nelle altre città occupate. Chi vuole fare qualcosa contro gli occupanti ci scrive in forma anonima o usando un bot e noi gli mandiamo volantini, esempi di azioni a cui ispirarsi. In risposta, le ragazze ci inviano le foto delle loro iniziative.

Quando in giro c’erano meno telecamere attaccavamo parecchi volantini. Ora dobbiamo trovare metodi alternativi di protesta. Per esempio stampiamo rubli falsi. L’idea è questa: i rubli sono facili da distribuire e il denaro fa gola anche agli occupanti. Una nostra artista ha creato una banconota da cinquanta rubli che da lontano ha un aspetto perfettamente normale. I russi la trovano per terra, la raccolgono e vedono che sopra c’è disegnata una mavka con un tridente in mano e la scritta: “Qui non siete in Russia, ma in Ucraina”. Vogliamo che gli occupanti non dimentichino neanche per un minuto dove si trovano e che non sono i benvenuti.

Le banconote si possono lasciare in giro facilmente, su una panchina al parco, per strada o nei negozi. È molto più sicuro e più facile che attaccare un volantino. Devo dire che è questa la mia azione preferita. Per curiosità all’inizio visitavo le chat russe per capire se l’iniziativa suscitava reazioni. E spesso trovavo commenti che mi facevano morire dal ridere: ci avevano preso sul serio, ci davano degli stupidi perché le nostre banconote non sarebbero mai potute entrare nel sistema bancario russo! Ma noi non abbiamo mai pensato che dovessero essere usate per comprare qualcosa.

Per il decimo anniversario dell’occupazione della Crimea, a febbraio, abbiamo disegnato una banconota da 200 rubli con l’immagine della penisola: su un lato c’era scritto “La Crimea è Ucraina”, sull’altro c’era l’immagine di una nave russa che affonda. Molte ragazze hanno inviato foto da diverse città della Crimea con le banconote che avevano distribuito.

Bandiere bruciate

A Melitopol accedere alle notizie è quasi impossibile. I più giovani consultano i canali Telegram e le testate ucraine, ma gli anziani sono in balia della tv, vedono gli stessi canali che si vedono in Russia. Stanno subendo un vero lavaggio del cervello. Gli occupanti cercano di far credere alle persone che rimarranno per sempre sotto il controllo della Russia. Per noi invece è importante far capire che è una bugia. Per questo abbiamo avuto l’idea di pubblicare un settimanale sotto forma di volantino.

Raccogliamo notizie da fonti ucraine, riassumiamo le cose più importanti ed esponiamo a grandi linee quello che succede davvero. Scegliamo appositamente buone notizie, che sostengano psicologicamente le persone, aiutandole a capire cosa c’è dietro il “muro” (cioè oltre il confine dei territori occupati) e ricordandogli che nessuno ci ha dimenticati, che i soldati ucraini stanno combattendo per noi. Mettiamo i volantini-rivista nelle cassette delle lettere, sotto le porte, li lasciamo negli ingressi dei palazzi e li avvolgiamo nei giornali russi per lasciarli sulle panchine.

Volantini e banconote sono strumenti importanti, ma organizziamo anche azioni più mirate. Per esempio a volte portiamo dei prodotti cucinati da noi ai soldati russi. Abbiamo una bravissima collaboratrice che fa la peggior vodka fatta in casa che si possa immaginare, e ci aggiunge anche dosi da cavallo di lassativo. È una sua ricetta personale. A volte prepariamo anche panini con salsicce con lo stesso ingrediente segreto. E poi li distribuiamo ai soldati russi come forma di ringraziamento degli abitanti della città.

“State attenti! Quante volte vi abbiamo detto di non accettare da mangiare dalla gente del posto!”, scrivono dopo le nostre azioni i blogger militari vicini al Cremlino. È tutto molto divertente.

Volantino del gruppo di resistenza femminile ucraino Zla mavka. “Le mavki incendiano. Vieni con noi”.

Spesso ci viene chiesto perché non uccidiamo i soldati russi. In primo luogo, perché questo è compito dell’esercito ucraino. Poi, perché crediamo che i lassativi siano esattamente ciò che meritano i soldati russi. Abbiamo perfino ideato uno slogan: “Mavka farà cacare sotto gli invasori!”.

Melitopol è piena di frasi di Putin, cartelloni pubblicitari sulla famiglia tradizionale e così via. Le “Z”, simbolo della propaganda bellica russa, sono poche, ma il tricolore russo sventola ovunque. Queste bandiere ci fanno davvero infuriare, così abbiamo cominciato a bruciarle, in un’operazione chiamata Catarsi. Prendiamo la bandiera, la portiamo in un luogo poco riconoscibile e la riprendiamo mentre brucia. E pubblichiamo tutto sul nostro sito. Hanno cominciato a mandarci video di bandiere russe bruciate anche da altre città. Purtroppo non sono azioni di massa, perché le città sono sorvegliatissime, e impadronirsi di una bandiera è difficile. Ma quando ci si riesce è il massimo!

La strategia della finzione

Inizialmente gli occupanti fingevano che non esistessimo. Ammettere di combattere contro un movimento di resistenza significherebbe ammettere che esiste un malcontento. I nostri graffiti e i volantini venivano distrutti alla velocità della luce.

Poi i russi hanno lanciato la loro “lotta contro i fake” sui social. Fotografavano un nostro volantino e scrivevano che si trovava a Kiev, spiegando che nelle zone sotto il loro controllo non c’erano proteste di nessun tipo. Per tutta risposta gli ucraini hanno cominciato a scrivere nei commenti che quelle invece erano proprio le strade di Melitopol. Fingere che la resistenza non esistesse non aveva più senso. Quindi hanno cominciato a invitare chi avvistava una donna dall’aria sospetta a fotografarla e a denunciarla.

Volantino del gruppo di resistenza femminile ucraino Zla mavka. “Non voglio fiori, voglio la mia Ucraina”.

I russi cercano costantemente di attaccarci online: ci sono stati tentativi di hackerare gli account, d’interferire con il lavoro del bot. Ci minacciano e ci offendono, ci ordinano di andarcene. Ma perché mai dovremmo lasciare la nostra casa?

Organizzano detenzioni dimostrative: arrestano diversi attivisti e poi diffondono notizie false, affermando che erano in possesso di armi, di letteratura nazista, di granate, di bandiere statunitensi. È ridicolo, ma l’intimidazione funziona. Così molti si rifiutano di agire.

Non gli daremo la soddisfazione di pensare che abbiamo paura. E poi anche noi li teniamo d’occhio. Chiediamo alle ragazze delle altre città di fornirci tutte le informazioni possibili sulle azioni degli occupanti. Conoscendo i loro movimenti, siamo in grado di avvertire le persone.

Se, per esempio, mettono un nuovo posto di blocco, noi lo facciamo sapere a tutti. Gli invasori si stabiliscono dove ci sono civili, per esempio in edifici residenziali o scuole, per un motivo preciso: evitare di essere colpiti dall’esercito ucraino. In questi casi avvertiamo i residenti della presenza di russi nei loro palazzi, e rendiamo noti gli indirizzi, in modo che i soldati ucraini sappiano della presenza dei civili. Inoltre raccogliamo informazioni per documentare i crimini di guerra russi: sarà utile dopo la liberazione.

Volantino del gruppo di resistenza femminile ucraino Zla mavka. “Occupanti! È ora di squagliarsela dall’Ucraina”.

Il voto fasullo

Vista da lontano, Melitopol dà l’idea di una città in cui la vita è pacifica. A vivere normalmente, però, sono solo gli abitanti portati qui dalla Russia. Non hanno niente da temere, vanno al bar e ai concerti. Ma è solo un’impressione. Le persone continuano a scomparire, le torture continuano. Gli occupanti non fermano più le persone per strada, ma la sorveglianza è decisamente aumentata. Molti continuano ad andarsene (prima dell’inizio della guerra a Melitopol vivevano più di 150mila persone, sei mesi dopo ne erano rimaste 70mila. Dall’inizio dell’occupazione sono arrivati quasi centomila russi).

A volte ho la sensazione che il mondo continui a vivere, mentre è come se noi fossimo stati messi in una macchina del tempo e rispediti in Unione Sovietica: tutti i prodotti importati dalla Russia sono scadenti e costosi, i vestiti si comprano in mercatini improvvisati, i negozi vendono solo generi di prima necessità. E poi la propaganda è ovunque, la gente ha paura, la libertà d’espressione è scomparsa. La vita in città è in mano agli occupanti. Il tempo libero lo trascorro in casa, come la maggior parte dei residenti di Melitopol. Esco solo quando è necessario.

A marzo ci sono state le “elezioni” per la presidenza russa, una vera buffonata. È stata una grande orgia elettorale: tutte le strade erano tappezzate di messaggi per spingere i cittadini ad andare a votare, e sono stati invitati anche cantanti famosi come Julija Čičerina e Nikita Džigurda per fare campagna elettorale. Noi mavki abbiamo invitato le persone a non andare a votare, ma molte non avevano scelta.

I russi si sono presentati direttamente a casa della gente: quando una ragazza ti bussa alla porta con in mano l’urna elettorale e tutti i documenti, e con lei c’è un soldato che imbraccia un mitra, come fai a non votare? Ci sono state anche urne improvvisate per strada: un’auto russa si fermava, qualcuno tirava fuori una scatola e la appoggiava sul cofano. Tu magari stavi camminando per i fatti tuoi, quando degli uomini armati ti fermavano e ti portavano davanti alla scatola.

Io sono riuscita a non votare. Mi hanno detto che i seggi erano vuoti, ma alcune persone sono state portate ai seggi in autobus e riprese dalla tv per far sembrare che ci fosse una folla di votanti. Per le elezioni il nostro gruppo ha realizzato un Mavka exit poll, una specie di facsimile di una scheda elettorale con i candidati, la data del voto e un sacco di righe bianche in cui scrivere. Abbiamo sparso questi fogli per la città. Purtroppo non siamo riuscite a raccoglierne molti, perché la maggior parte è andata distrutta, ma i dati raccolti mostrano comunque che alla gente l’occupazione non piace.

Ultime notizie

◆ Mentre le forze russe si preparano ad aprire un nuovo fronte nella regione di Sumy, non si ferma l’offensiva contro Charkiv. Il 25 maggio un bombardamento contro un magazzino di ferramenta della città ha causato diciotto morti e decine di feriti. Due giorni prima sette persone erano state uccise nell’attacco a una tipografia, sempre a Charkiv. Intanto fanno discutere le parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che ha invitato i paesi dell’alleanza a rimuovere il divieto imposto a Kiev di usare gli armamenti forniti dall’occidente per colpire obiettivi militari in territorio russo in funzione difensiva. La richiesta era già stata avanzata dal presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj con l’obiettivo di fermare l’offensiva russa e difendere le città ucraine. Kiev ha anche chiesto che gli aerei della Nato possano abbattere missili e droni lanciati contro l’Ucraina operando nello spazio aereo dei paesi dell’alleanza, in particolare Polonia o Romania. Dmitrij Medvedev, vicepresidente del consiglio di sicurezza di Mosca, ha risposto alle dichiarazioni di Stoltenberg affermando che, se gli Stati Uniti colpiranno obiettivi russi, la conseguenza sarà la “guerra mondiale”. Per quanto riguarda invece il sostegno a Kiev, il 28 maggio i ministri degli esteri dei 27 paesi dell’Unione europea non sono riusciti a sbloccare l’invio di aiuti militari per il valore di 6,5 miliardi di euro. A impedire l’accordo è stato il veto dell’Ungheria del premier Viktor Orbán, su posizioni esplicitamente filorusse. Reuters, The Kyiv Independent


Dietro il muro

Poco tempo fa il nostro movimento ha compiuto un anno di età. Le ragazze impegnate in azioni “sul campo” sono più di cento, ma il gruppo nel suo insieme è molto più grande. Per tante non si tratta solo di lottare, ma anche della possibilità di esprimersi: se qualcuno ha paura di attaccare un volantino, può scriverci per il progetto Šodenniki mavok (Diari delle mavki), dove raccogliamo storie anonime di ragazze sull’occupazione.

Il nostro movimento sta crescendo. Quest’inverno, come fiori sotto la neve, sono cominciate a spuntare attiviste anche a Luhansk e a Donetsk, senza che praticamente avessimo mai comunicato con loro. La più grande scoperta per me è stata la resistenza in Crimea. Eravamo sicure che tanti anni di occupazione l’avessero ormai resa impossibile. E invece molte ragazze ci hanno scritto da lì! Mi sembra che non abbiano più paura di niente, che siano pronte a combattere fino alla fine.

Le nostre armi contro gli occupanti sono la rabbia e l’ironia: l’umorismo rende tutto più sopportabile. Chi vive nei territori occupati ne ha davvero bisogno.

Quando ci avranno liberato, usciremo allo scoperto, ci toglieremo le maschere. E tutti rimarranno sconvolti. Nessuno potrebbe mai pensare che una donna qualunque sia in grado di trafugare bandiere russe e bruciarle nel suo cortile.

Ora voglio salutare tutti quelli che sono “dietro il muro” e dirgli: ehi, noi siamo qui e continuiamo a combattere! ◆ ab

Važnye Istorii (Storie importanti) è un sito di giornalismo investigativo russo in esilio in Lettonia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati