Winston Smith, il protagonista del romanzo 1984 di George Orwell, trascorre le sue giornate al ministero della verità modificando i documenti per adattarli ai bisogni mutevoli del regime del Grande fratello. “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”, scriveva Orwell tracciando un legame tra la capacità di un governo d’influenzare quello che l’opinione pubblica considera vero e la sopravvivenza politica dello stesso governo.
Anche se era vicino alla sinistra, Orwell diffidava della tirannia che andava delineandosi nell’Unione Sovietica e che piegava la realtà ai propri bisogni. Iosif Stalin, per esempio, aveva l’abitudine di manipolare le foto cancellando le persone di cui si era sbarazzato. E voleva avere il controllo delle statistiche ufficiali. Il dittatore sovietico fece arrestare i burocrati responsabili del censimento del 1937 perché le loro rilevazioni lo avevano infastidito: il risultato iniziale dell’indagine, infatti, suggeriva che negli anni precedenti la popolazione sovietica non era cresciuta come previsto, soprattutto a causa della carestia del 1932 e 1933 provocata dalla collettivizzazione dell’agricoltura.
Motivi per essere scettici
I governi di qualsiasi orientamento politico si preoccupano ancora di questo tipo di statistiche e spesso cedono alla tentazione di truccare i numeri. In un discorso del dicembre 2022, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che il prodotto interno lordo (pil) della Cina avrebbe superato nell’anno in corso i 120mila miliardi di yuan (17mila miliardi di dollari, circa seimila miliardi in meno rispetto al pil degli Stati Uniti).
Se confermata, la cifra implicherebbe una crescita annuale di circa il 4,4 per cento, molto superiore al 3,3 per cento preannunciato dagli organismi indipendenti. Inoltre confermerebbe che l’economia cinese si sta avvicinano a quella statunitense, almeno in termini assoluti, e che potrebbe superarla in un decennio. Un risultato simile sarebbe il culmine di quello che è già uno dei più grandi successi economici della storia moderna, aumentando ulteriormente il peso geopolitico della Cina.
Ma ci sono ottimi motivi per diffidare della portata dei successi economici di Pechino. Il governo cinese, come quelli di altri regimi autoritari, tende a gonfiare le statistiche che misurano la sua efficacia. Naturalmente anche i leader dei paesi democratici provano ad aggiustare i numeri in modo cinico e spesso ingannevole, ma le loro dichiarazioni sono quantomeno sottoposte a esami e smentite. I dittatori, invece, mentono con molta più libertà.
La mia ricerca, che analizza la distribuzione dell’illuminazione notturna per valutare in modo più accurato l’attività economica, conferma che i governi autoritari sovrastimano regolarmente i loro successi. La verità è che la crescita del pil cinese è meno sostenuta di quello che dicono i leader del paese, e che il gigante asiatico è più lontano dagli Stati Uniti di quanto comunemente si pensi. Le statistiche della Cina hanno sempre suscitato dubbi. Da anni gli studiosi si chiedono se ci si possa fidare dei dati diffusi da Pechino in campi molto diversi tra loro, dall’inquinamento alla sicurezza sul lavoro. La decisione del governo cinese di accantonare improvvisamente la politica di tolleranza zero sul covid alla fine del 2022, per esempio, ha alimentato enormi sospetti sull’attendibilità dei numeri ufficiali della mortalità da covid-19, che sono rimasti incredibilmente bassi.
La mia ricerca sull’illuminazione notturna conferma che i regimi autoritari sovrastimano regolarmente i loro successi economici
Quando si tratta di cifre relative al pil ci sono ottime ragioni per essere scettici. In Cina i funzionari locali raccolgono i dati, che poi incidono molto sulle decisioni delle autorità locali di promuoverli o meno a incarichi più importanti. La natura inestricabilmente politicizzata dei dati sulla crescita del pil ha spinto molti politici a prenderli con le molle. L’inattendibilità di diverse statistiche economiche ufficiali della Cina è un segreto di Pulcinella tra gli alti funzionari, come ha dimostrato l’ex primo ministro cinese Li Keqiang, che nel 2007 ammise che il volume delle merci trasportate sulla rete ferroviaria, il consumo di elettricità o la cifra complessiva dei prestiti elargiti erano indicatori economici più credibili dei dati ufficiali sul pil.
Differenze importanti
L’impulso ad alterare i numeri ufficiali per presentare un quadro positivo non è un’esclusiva dei governi autoritari. All’inizio degli anni duemila diversi paesi dell’Unione europea si affidarono alla contabilità creativa per adeguarsi artificialmente alle regole fiscali internazionali.
Intorno al 2010, in Argentina, l’inflazione misurata attraverso i prezzi online risultava tre volte superiore rispetto alle stime ufficiali, una discrepanza che non era rilevata negli altri paesi dell’America Latina. In Colombia, nel 2004, il capo dell’Istituto nazionale di statistica si dimise quando circolò la voce che avesse subìto le pressioni del presidente di destra Álvaro Uribe per non pubblicare i risultati di un sondaggio sulla percezione del livello di sicurezza, un tema delicato per un governo che aveva basato la sua campagna elettorale sul mantenimento dell’ordine pubblico.
Ci sono tuttavia differenze importanti tra le distorsioni che avvengono nelle democrazie e quelle che emergono nei regimi autoritari. Nelle democrazie di solito i funzionari pubblici possono rivelare le macchinazioni del governo senza avere paura di rappresaglie, e in generale è possibile creare un ambiente favorevole ai controlli. Sia nelle democrazie sia nei regimi autoritari i funzionari possono essere incentivati a gonfiare i risultati del governo, ma nelle democrazie per i leader è più difficile sfuggire alle proprie responsabilità. Un equilibrato sistema di verifiche e contropoteri consente agli oppositori politici, alla magistratura, ai mezzi d’informazione e all’opinione pubblica di esaminare le statistiche ufficiali. Inoltre la garanzia delle libertà civili facilita la denuncia dei rapporti inaccurati.
Questi vincoli istituzionali mancano nei regimi autoritari, dove si può esercitare un maggiore controllo e manipolare di più le informazioni. Nel loro saggio Spin dictators, uscito nel 2022, l’economista Sergei Guriev e il politologo Daniel Treisman spiegano che il desiderio e la capacità di alterare l’informazione sono una caratteristica dei dittatori moderni. Per esempio nel 1986 il governo sovietico inizialmente negò che a Černobyl fosse in atto una catastrofe nucleare, per poi ammettere la gravità della situazione soltanto quando i livelli di radioattività si erano impennati in altri paesi.
In tempi più recenti, il presidente venezuelano Nicolás Maduro e il suo omologo turco Recep Tayyip Erdoğan hanno imposto un controllo totale sui mezzi d’informazione. Il governo del presidente russo Vladimir Putin ha messo in piedi una colossale campagna di disinformazione a proposito dell’invasione dell’Ucraina.
Ho provato a verificare in uno studio pubblicato di recente se i regimi autoritari tendono a ingigantire la crescita economica rispetto ai governi democratici. E a incrociare i dati ufficiali sul pil con l’illuminazione notturna registrata dai satelliti.
Oggi gli esperti usano spesso la diffusione delle luci artificiali come misura dell’attività economica di un paese. La crescita economica, infatti, porta inevitabilmente all’espansione delle infrastrutture pubbliche e private – più case, fabbriche, strade – e a un consumo più elevato di elettricità. Tutti questi fattori producono un aumento delle luci notturne, che il programma di satelliti meteorologici dell’aeronautica militare statunitense rileva con estrema precisione e raccoglie in dati consultabili liberamente. Questo modo di analizzare i dati ha dei vantaggi nello studio dell’attività economica: copre gran parte del pianeta, permette un confronto rapido tra luoghi e momenti diversi e può consentire di raccogliere insieme varie unità di osservazione come villaggi, province e interi paesi. Soprattutto, a differenza delle statistiche ufficiali sulla crescita del pil, le luci notturne non possono essere manipolate.
Ho analizzato i dati disponibili sulle luci notturne in 184 paesi raccolti tra il 1992 e il 2013, confrontando i cambiamenti nella luminosità relativa di un paese con le sue statistiche ufficiali sul pil. A parità di aumento della luminosità, i regimi autoritari riferivano una crescita del pil maggiore rispetto alle democrazie, sovrastimandola per un fattore di 1,35. Questo significa per esempio che quando il tasso di crescita reale era dell’1 per cento, i regimi autoritari lo portavano all’1,35 per cento.
Queste esagerazioni della crescita del pil non sono costanti nel tempo e nello spazio. Non ho riscontrato un divario tra l’illuminazione notturna e il pil nei paesi in via di sviluppo durante gli anni in cui hanno beneficiato dei prestiti e dei finanziamenti dell’associazione per lo sviluppo internazionale della Banca mondiale. Tuttavia, quando il prodotto interno lordo superava la soglia limite per beneficiare del programma, i governi hanno immediatamente cominciato a gonfiare le statistiche. Si tratta di un meccanismo comprensibile: gli stati che ricavano una quota relativamente alta delle loro entrate dal fatto di essere poveri hanno meno incentivi a sovrastimare la loro crescita economica. Ma quando superano questa condizione si consolano alterando i numeri.
Cifre ottimistiche
I governi gonfiano di più i dati sul pil quando la loro economia ottiene risultati inferiori rispetto al resto del mondo. Il 2022 è stato innegabilmente difficile per la Cina, anche a causa delle restrizioni molto rigide imposte negli anni precedenti. Potrebbe essere una coincidenza, ma resta il fatto che nell’ottobre 2022, quando l’élite politica cinese si è riunita a Pechino per il ventesimo congresso del Partito comunista, l’istituto nazionale di statistica ha annunciato un insolito ritardo nella pubblicazione dei dati ufficiali sul pil. Nel suo discorso di dicembre, il presidente Xi ha annunciato il già citato 4,4 per cento di crescita. Se riduciamo la cifra usando il fattore di 1,35 emerso dalla mia ricerca, la crescita reale dell’economia cinese è del 3,3 per cento, il tasso previsto dagli analisti indipendenti.
Se prendiamo come riferimento i dati ufficiali, sembra che i regimi autoritari crescano più rapidamente rispetto alle democrazie. Tra il 1992 e il 2013 nei paesi classificati come “non liberi” dall’ong statunitense Freedom house l’economia è avanzata in media di un 85 per cento complessivo, mentre in quelli definiti “liberi” la percentuale non ha superato il 61 per cento. Nove dei quattordici stati con il più alto aumento del pil sono classificati come “non liberi”. Tuttavia questi dati sul lungo periodo cambiano se li adattiamo ai risultati del mio studio sulle luci notturne: nei paesi non liberi la crescita sarebbe stata del 55 per cento, mentre in quelli liberi avrebbe raggiunto il 56 per cento. Questo suggerisce che la tendenza dei regimi non democratici a sovrastimare l’aumento del pil – e non il reale sviluppo dell’economia – è all’origine di gran parte della differenza nella crescita ufficiale tra le democrazie e i regimi autoritari emersa negli ultimi decenni.
Queste conclusioni si legano alla domanda che impegna molti analisti: in quale momento il pil cinese supererà quello degli Stati Uniti, rendendo la Cina la prima economia del mondo? Le stime recenti indicano che Pechino potrebbe raggiungere lo storico traguardo nel 2035. Ma, nonostante la crescita senza precedenti registrata dal paese negli ultimi quarant’anni, la mia ricerca indica che molte valutazioni attuali sono esageratamente ottimistiche, perché non tengono conto dell’abituale tendenza dei governi autoritari a gonfiare la crescita del pil.
Il miracolo economico della Cina è indiscutibile e l’economia asiatica sembra sulla buona strada per superare quella statunitense, ma è probabile che i leader di Pechino cercheranno in ogni modo di accelerare questo traguardo, facendo affidamento su cifre gonfiate e conti molto ottimistici. ◆ as
Luis R. Martínez insegna alla Harris school of public policy dell’università di Chicago, negli Stati Uniti. Gran parte della sua ricerca si concentra sui regimi autoritari e su come manipolano le informazioni.
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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati