I leader indiani non perdono occasione di celebrare le tante peculiarità del paese, dal fatto di essere la più grande democrazia del mondo all’essere diventata la quinta economia nella classifica globale, dopo aver superato il Regno Unito, l’ex potenza coloniale. Perfino la presidenza di turno del G20 è esibita come l’annuncio dell’ingresso dell’India sul palcoscenico mondiale.

Ora un altro traguardo è stato raggiunto, ma senza troppo clamore dei funzionari di New Delhi. Secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, alla fine di aprile la popolazione indiana ha superato quella cinese. Alle dimensioni – più di 1,4 miliardi di abitanti – si dovrebbero accompagnare il potere geopolitico, economico e culturale che l’India cerca di ottenere da tempo. E alla crescita dovrebbe corrispondere la prospettiva di un “dividendo demografico” (un ulteriore miglioramento che si può avere quando la popolazione in età da lavoro è superiore a quella inattiva). La sua manodopera è giovane e in aumento, mentre quella della maggior parte dei paesi industrializzati, Cina inclusa, sta invecchiando e in alcuni casi si sta contraendo.

Tuttavia, le dimensioni e la crescita costante dell’India evidenziano anche le enormi sfide che ha davanti e richiamano un interrogativo perenne ma ancora scomodo: quando riuscirà a tener fede alle sue promesse, diventando una potenza paragonabile alla Cina o agli Stati Uniti?

“La popolazione giovane potrebbe essere un grande vantaggio per l’economia”, dice Poonam Muttreja, direttrice esecutiva della Population foundation of India. “Ma il paese deve fare investimenti, oltre che nell’istruzione, anche nella sanità, nella sicurezza alimentare e nella formazione professionale”.

Servono anche posti di lavoro. Questa è una vecchia carenza di un’economia sbilanciata, e in alcuni casi bloccata, che per mantenere stabile il tasso di occupazione dovrà creare novanta milioni di posti di lavoro fuori dal settore agricolo entro il 2030. Anche negli anni immediatamente precedenti alla pandemia, l’India non riusciva a tenere il passo.

In Cina la diminuzione e l’invecchiamento della popolazione renderà più difficile sostenere l’economia e soddisfare l’ambizione di superare gli Stati Uniti. Nei decenni passati, però, quand’era ancora in espansione, la Cina ha trovato la sua strada per crescere e trasformarsi, puntando sulla manifattura orientata all’esportazione, come avevano già fatto altri paesi più piccoli dell’Asia orientale. L’India non è ancora riuscita a replicare quella formula né a proporne un’altra per poter raggiungere obiettivi diversi da un progresso conquistato un po’ alla volta.

Oggi l’economia cinese è più o meno cinque volte quella indiana

Le infrastrutture indiane, anche se molto migliorate rispetto a pochi decenni fa, sono ancora arretrate se paragonate a quelle cinesi, e questo è un ostacolo agli investimenti stranieri, che infatti negli ultimi anni non sono cresciuti.

Un altro problema rilevante è che solo una donna su cinque in India fa parte della forza lavoro formale, una percentuale tra le più basse al mondo e che è perfino diminuita man mano che il paese diventava più ricco. Oltre a essere frustrante per centinaia di milioni di donne indiane, la loro esclusione dall’occupazione formale è un gravissimo freno per l’economia. “Se prendiamo l’istruzione, l’impiego, l’accesso alla tecnologia digitale e altri parametri, le ragazze e le donne non hanno le stesse opportunità che hanno i maschi per migliorare la propria vita”, spiega Muttreja. “Se l’India vuole davvero approfittare del dividendo demografico, questa situazione deve cambiare”.

Sviluppo disomogeneo

Per una generazione l’economia indiana è cresciuta molto più in fretta della popolazione, e il numero di persone in estrema povertà è crollato. Eppure la maggioranza degli indiani continua a essere povera secondo gli standard globali. Per rientrare nel 10 per cento della popolazione con il reddito più alto, a un indiano basta guadagnare 300 dollari al mese. Le carestie appartengono al passato, ma più di un terzo dei bambini indiani sono malnutriti. Con l’allargarsi del divario tra sogni e realtà, le carenze in campo economico, che scatenano una feroce competizione anche per i lavori più umili e alimentano l’insofferenza dell’ambiziosa classe media, mettono a rischio la stabilità del paese.

Il tasso di sviluppo è ancora molto disomogeneo: alcuni stati indiani sono paragonabili a paesi a medio reddito, altri fanno fatica a fornire i servizi di prima necessità. La distribuzione delle risorse sta diventando una questione politica che genera tensione e mette a dura prova il sistema federale. Quando quest’anno Gayathri Rajmurali, una politica locale dello stato meridionale del Tamil Nadu, è andata per la prima volta nell’India del nord, è rimasta sconvolta. “Lì sono indietro di dieci o quindici anni”, ha detto facendo riferimento a indicatori come le infrastrutture di base e il reddito medio.

E poi c’è la tensione creata dal nazionalismo indù del partito di Modi, la cui base ha accelerato una campagna secolare per ridefinire la tradizione democratica pluralista dell’India e relegare i musulmani e le altre minoranze a cittadini di serie b. I dati demografici rientrano nel gioco delle provocazioni: i leader di destra affermano spesso che la comunità musulmana (circa 200 milioni di persone) sta crescendo a un ritmo molto più elevato rispetto a quella indù, e chiedono a questa di fare più figli.

Sempre più in alto

Modi e i suoi fedelissimi sostengono che l’India sta andando in un’unica direzione: verso l’alto. A testimoniarlo indicano le innegabili conquiste di un paese che nel giro di una generazione ha quadruplicato le dimensioni della sua economia.

Tra le economie più importanti, si prevede che quella indiana quest’anno avrà la crescita più rapida. Dopo la grave crisi nella prima fase della pandemia, la Banca mondiale stima che nel nuovo anno fiscale crescerà del 6,3 per cento. Grazie all’aumento degli investimenti pubblici, le arretrate infrastrutture del paese stanno migliorando. L’India vanta numerose e brillanti startup e una classe media tecnologicamente esperta, e il suo sistema di pagamenti digitali sta migliorando le condizioni di vita di chi vive ai margini. La sua cultura, dai film popolari a una ricca tradizione musicale, diventerà sempre più influente mentre raggiunge un pubblico più ampio.

E ora il paese ha un invidiabile profilo demografico, con numeri enormi soprattutto nella fascia più produttiva. Mentre in Cina la politica del figlio unico ha portato a un declino della popolazione che potrebbe mettere a dura prova l’economia, in India misure paragonabili, come le campagne di sterilizzazione di massa, hanno avuto vita breve. Il paese ha affrontato i rischi della sovrappopolazione e ha cercato di abbassare le nascite in modo più organico e graduale, anche con seri sforzi per promuovere la contraccezione e la scelta di creare famiglie meno numerose. Con la diffusione dell’istruzione per tutti, soprattutto tra le bambine e le donne, il tasso di fecondità è crollato fino a raggiungere un livello appena più alto di quello necessario per mantenere la popolazione ai livelli attuali. E l’India sta cercando di sfruttare le difficoltà economiche e diplomatiche della Cina per proporsi come un’alternativa nel campo della manifattura di fascia più alta – oggi produce una piccola quantità di iPhone per la Apple – oltre che come partner e contrappeso in campo geopolitico. “Il tempo dell’India è arrivato”, ha dichiarato Modi di recente.

Kota, India, 24 marzo 2023 (Deepti Ashtana)

Mentre l’India supera la Cina per numero di abitanti, i rapporti tra i due paesi sono freddi, in parte a causa di una serie di scontri sul confine himalayano. Ma fino a poco tempo fa Modi considerava la Cina molto simile all’India, un paese che cercava di recuperare la sua gloria perduta e un posto più giusto nel nuovo ordine mondiale, con lezioni da offrire su come raggiungere il benessere.

Da governatore del Gujarat prima e da capo di stato poi, Modi ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping almeno diciotto volte. Al di là della sua predilezione per un modello di potere basato su una leadership forte, tipica del sistema di governo a partito unico cinese, secondo gli analisti il leader indiano guardava a Pechino per trovare qualcosa di più concreto: soluzioni ai problemi posti da una popolazione numerosa.

I due paesi condividono molti parallelismi storici. L’ultima volta che si sono scambiati di posto in campo demografico, nel settecento o anche prima, in India governavano i Moghul, e la dinastia Qing stava ampliando i confini della Cina. Si trattava probabilmente degli imperi più ricchi mai esistiti sulla Terra. Quando però le potenze occidentali cominciarono a colonizzare gran parte del pianeta e a industrializzarsi, i popoli di India e Cina diventarono tra i più poveri del mondo. Ancora nel 1990 i due paesi si trovavano più o meno allo stesso livello, con un reddito pro capite simile. Poi però la Cina ha sorpreso tutti creando un volume di ricchezza superiore a qualsiasi altro paese nella storia. Anche se nei trent’anni successivi alla liberalizzazione della sua economia l’India si è ripresa, in diversi indicatori di base resta molto indietro.

Oggi l’economia cinese è grande più o meno cinque volte quella indiana. Il pil pro capite in Cina è di circa 13mila dollari all’anno mentre quello indiano non arriva a 2.500 dollari. Gli indicatori di sviluppo umano mostrano un contrasto ancora maggiore: l’India ha tassi di mortalità infantile molto più alti, un’aspettativa di vita più bassa e un accesso più limitato ai servizi igienico-sanitari. Secondo gli analisti, alla base di questa differenza ci sono alcune caratteristiche della Cina: il consolidamento centrale del potere politico, l’aver realizzato una seria riforma agraria, l’apertura dell’economia di mercato avvenuta già alla fine degli anni settanta, e l’orientamento verso una crescita trainata dalle esportazioni. La Cina ha approfittato del suo ruolo da apripista e poi ha rafforzato la sua posizione perseguendo in modo implacabile i suoi piani. L’India ha cominciato ad aprire la sua economia quasi socialista con dieci anni di ritardo. E l’ha fatto in modo frammentario, a causa di una complicata politica di coalizione e degli interessi contrastanti di industriali, sindacati, agricoltori e di altre fazioni.

“La Cina è naturalmente un modello, non dal punto di vista politico ma per la sua efficienza”, afferma Jabin Jacob, docente di relazioni internazionali e governance alla Shiv Nadar university di New Delhi. Oggi la struttura del potere nel mondo è radicalmente diversa rispetto al 1990. La Cina è già diventata la fabbrica del mondo, sbarrando all’India qualsiasi possibilità di dominio nel settore della manifattura orientata all’esportazione. La campagna “Make in India” (producete in India), inaugurata da Modi nel 2014, non è mai decollata. Il costo del lavoro è più basso in India che in Cina, ma gran parte della forza lavoro è poco istruita e il paese non è riuscito ad attirare investimenti privati a causa delle sue leggi sul lavoro restrittive e di altri ostacoli alle imprese, non ultimo un persistente protezionismo. Secondo gli economisti, per diventare ricca come la Cina l’India deve trasformare radicalmente il suo modello di sviluppo, cercando di diventare un centro dell’industria leggera globalizzata. In alternativa, dovrà tracciare un percorso mai tentato prima da altri paesi.

Disoccupazione
Non c’è lavoro per i giovani
Tasso di disoccupazione in India, per fascia d’età, dicembre 2022 (Fonte: Cmie/Financial times)

L’India ha registrato dei successi nella fascia più alta di servizi. Aziende come la Tata Consultancy Services sono diventate leader a livello mondiale e molte multinazionali come la Goldman Sachs hanno più personale in India che in qualsiasi altro paese. Il settore dei servizi, però, non può fare più di tanto per cogliere i frutti del dividendo demografico o per alleviare il rischio di una crisi dell’occupazione. Centinaia di milioni di persone non riescono a trovare un impiego o fanno lavori pagati troppo poco. Nello stato dell’Andhra Pradesh, per esempio, si stima che il 35 per cento dei laureati sia sottoccupato e non riesca a trovare un lavoro all’altezza delle sue competenze.

La competizione per il lavoro emerge in tutta la sua durezza nei centri di formazione in cui i giovani indiani prendono lezioni private in vista degli esami per essere assunti nelle agenzie governative. Questi posti di lavoro sono ancora molto ambiti, perché gli impieghi nel settore privato sono più limitati e meno stabili. Secondo le stime di Dhananjay Kumar, che gestisce un centro di formazione nel Bihar (lo stato più povero e quello con la popolazione più giovane, con un’età media di 22 anni), quest’anno 650mila studenti si candideranno per circa settecento posti nel servizio civile nazionale. Il servizio civile rappresenta una parte piccola ma prestigiosa della forza lavoro, perché offre impieghi garantiti a vita. Quasi tutti i candidati ci investono anni e una fetta importante dei risparmi dei loro genitori, e comunque non ce la fanno. I genitori di Kumar lavoravano in una fattoria e non hanno mai imparato a leggere e scrivere. Dopo aver frequentato la scuola con risultati eccellenti, Kumar ha preso lezioni private per prepararsi agli esami per il servizio civile, ma alla fine è andato a lavorare all’estero, nel Regno Unito, dopo essere diventato programmatore. Sa bene che è paradossale preparare gli altri a un percorso che per lui non ha funzionato. “Qui non ci sono aziende”, spiega Kumar, “e i ragazzi si chiedono: ‘E ora cosa faccio?’”.

Aspirazioni autoritarie

Le lezioni che Modi sta imparando dalla Cina sono evidenti soprattutto nella spinta allo sviluppo delle infrastrutture, con grandi investimenti nelle autostrade, nelle ferrovie e negli aeroporti. Nei suoi nove anni al governo, l’India ha quintuplicato la spesa annuale per le strade e le ferrovie. Secondo analisti e critici, tuttavia, Modi guarda a Pechino anche per la sua aspirazione a qualcosa che si avvicina a un potere autoritario. Lo stretto controllo del primo ministro sui pilastri democratici del paese a spese dell’opposizione – evidenziato dalla recente espulsione dal parlamento del suo più famoso avversario, Rahul Gandhi – ha spinto il paese verso un sistema a partito unico. Mentre Modi limitava il raggio d’azione dei suoi oppositori, imbavagliava la stampa e reprimeva il dissenso, il suo governo respingeva le preoccupazioni espresse all’estero, descrivendole come la prova di un complotto coloniale per indebolire l’India o dell’incapacità di comprendere il metodo “civilizzatore” indiano. Sono due argomenti che da tempo i diplomatici sentono ripetere dalla Cina.

Nel frattempo l’attivismo dei nazionalisti indù, che aumenta mentre le forze dello stato arretrano e lasciano carta bianca a chi si macchia di violenze, acuisce gli scontri religiosi che minacciano di pregiudicare l’ascesa dell’India. Il perenne rischio di un’esplosione del conflitto è emerso nelle ultime settimane, quando a causa della coincidenza tra il Ramadan e i festeggiamenti per il compleanno della divinità indù Rama, ci sono state le violenze in diversi stati.

Davanti all’erosione della democrazia indiana, le potenze occidentali sono rimaste in larga misura in silenzio, dando priorità ad accordi commerciali e corteggiando New Delhi nel campo della sicurezza. I diplomatici però registrano un disagio crescente, e questo potrebbe rappresentare un problema per l’India, la cui forza come alternativa alla Cina è in parte il riflesso del suo status di democrazia più grande del mondo.

Non sappiamo se questo momento porterà a una nuova attenzione verso l’India che possa accrescere le opportunità per la sua vasta manodopera. Mentre cerca di adeguare la sua capacità tecnologica ed economica per approfittare delle tensioni tra l’occidente e la Cina, New Delhi è determinata a restare fedele alla sua neutralità e ad agire da elemento di equilibrio tra Stati Uniti e Russia. C’è anche da chiedersi se l’allontanamento dell’occidente dalla Cina, fulcro dell’economia globale, sia temporaneo o più sostanziale. Shyam Saran, ex ministro degli esteri indiano, intravede comunque un’enorme opportunità: “La Cina ha approfittato di un momento geopolitico favorevole per trasformarsi avendo accesso alla tecnologia, al capitale e ai mercati guidati dagli Stati Uniti. Ne ha approfittato per rafforzarsi”, spiega. “Ora anche per l’India potrebbe essere arrivato quel momento”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati