All’ospedale Sominé Dolo di Mopti, nel Mali centrale, sono le sette di sera del 17 maggio 2024. È buio: le luci sono spente a causa delle interruzioni di energia elettrica ormai costanti. Si sente il richiamo alla preghiera della grande moschea della vicina Sevaré, ma all’ospedale – il principale centro sanitario della zona – nessuno sembra pensare al raccoglimento e alla devozione. Da ventiquattr’ore l’azienda pubblica Énergie du Mali (Edm) non fornisce elettricità. Negli ultimi mesi è successo spesso. L’oscurità completa non impedisce gli andirivieni dei parenti dei pazienti, che usano le torce dei cellulari per muoversi. Al momento le persone ricoverate sono numerose.
Anche l’obitorio è pieno. Uno dei custodi racconta che tra marzo e maggio di quest’anno la cella frigorifera ha accolto duecento cadaveri, un numero insolitamente alto. “Il caldo intenso e le interruzioni di corrente hanno accelerato la morte di molti pazienti. E la situazione non è cambiata”. Tra i ricoverati all’ospedale ci sono dei feriti di guerra, sia civili sia militari. “Alla fine di aprile diversi civili che assistevo sono morti per mancanza di cure adeguate, in particolare perché non c’erano elettricità e ossigeno”, racconta l’infermiere Mamadou Traoré, che incontriamo nei corridoi bui.
Prima dei colpi di stato l’elettricità in Mali era prodotta in parte dalle centrali idroelettriche, che sono state trascurate dal nuovo governo
Circa seicento chilometri a sud, nella capitale Bamako, i principali ospedali – tra cui il centro universitario Gabriel Touré e il Point G – sono in ginocchio. Al Gabriel Touré il gruppo elettrogeno che dovrebbe entrare in funzione durante i blackout ha smesso di funzionare tra marzo e aprile, provocando diverse morti. “Non c’è carburante”, spiegano dalla direzione. Qui come in altre strutture sanitarie il governo fatica ad assicurare il diesel per i generatori e il bilancio dello stato è praticamente a zero.
“Jihadisti e terroristi non ci fanno più paura”, racconta Moussa Dienta, detto Malcolm, che incontriamo in centro, in uno dei capannelli di uomini fermi a discutere i fatti del giorno. Le violenze non sono più limitate all’interno del paese, dove i jihadisti si scontrano con i militari maliani affiancati dai mercenari russi della compagnia privata Wagner, che oggi si chiama Africa corps. “Ora nemmeno Bamako è al sicuro”, spiega Dienta. Si lamenta delle aggressioni che avvengono di notte e dice di essere stato lui stesso una vittima della crisi economica e dei blackout: l’azienda metallurgica dove lavorava come ingegnere è una delle tante che di recente hanno dovuto chiudere. Altre persone nel capannello annuiscono perché hanno subìto la stessa sorte.
“La cooperazione con i russi è deludente”, conclude Malcolm. “Da ogni punto di vista. Ormai pensiamo solo a come arrivare alla fine della giornata”.
I militari guidati dal colonnello Assimi Goita, che ha preso il potere con un colpo di stato nel 2021, invece sembrano soddisfatti della cooperazione con Mosca e appaiono determinati a restare al potere ancora a lungo. Com’è emerso dal dialogo intermaliano di inizio maggio, la giunta vuole prolungare la propria permanenza al potere e non ci sono elezioni all’orizzonte. Meno chiara è la sua linea di governo: l’attività principale sembra quella di attaccare tutto ciò che resta dell’ex potenza coloniale, la Francia, con discorsi duri e pieni di odio, in cui ricorrono le parole “bianco” e “colonizzatore”. Anche i russi sono bianchi, ma non sono descritti come colonizzatori.
Eppure le tracce della presenza francese in Mali non sono state cancellate né con l’espulsione delle forze dell’operazione militare Barkhane nel giugno 2022, di poco preceduta dall’arrivo dei mercenari della Wagner, né dai nuovi contratti con la Russia per la costruzione di una raffineria d’oro o dagli accordi di cooperazione, sempre con Mosca, per la produzione di petrolio, gas, uranio e litio. L’economia maliana gira ancora intorno a multinazionali francesi come la Total (energia), la Orange (telecomunicazioni) e la Satom (costruzioni), che continuano a spartirsi importanti fette di mercato.
A oggi l’unico strappo con Parigi ad avere conseguenze economiche è stato il divieto ai finanziamenti francesi per lo sviluppo locale. Da allora l’agenzia francese che se ne occupa, l’Adf, ha sospeso le attività e ritirato il personale. La Francia ha dovuto inoltre interrompere il sostegno finanziario e logistico a centinaia di scuole dato dal ministero degli esteri e della cooperazione internazionale attraverso l’ambasciata a Bamako.
Alcuni studiosi maliani ritengono che la Francia sia la principale responsabile del deterioramento delle sue relazioni con i paesi del Sahel. “La sua influenza eccessiva sulle ex colonie e gli abusi di potere finalizzati allo sfruttamento hanno portato paesi come il Mali nella situazione attuale”, afferma Georges Diawara, ricercatore e storico dell’università di Bamako. “Ha provocato profonde fratture e i sentimenti antifrancesi sono poi sfociati in una rivolta”.
Malgoverno e corruzione hanno sempre caratterizzato le amministrazioni postcoloniali maliane, favorevoli alla Francia. In quei sistemi clientelari la concessione di contratti e favori agli amici è sempre stata più importante delle mense scolastiche o delle cure mediche. Ma la situazione oggi non è migliorata.
I cavalli del colonnello
Se agli occhi della popolazione maliana i benefici della nuova collaborazione con i russi oggi sono quasi invisibili, diventano più evidenti quando si percorre la strada che conduce a Kati, una città di guarnigione. Di recente qui sono spuntate come funghi case per i colonnelli ed è pieno di nuovi cantieri. “È uno scandalo”, dichiara un residente. “Il ministro della difesa Sadio Camara alleva cavalli in cortile e possiede perfino due scuderie. Mentre noi lottiamo per sopravvivere!”.
Alcuni documenti interni della Banca maliana di solidarietà (Bms) mostrano che i conti correnti di persone al potere sono stati trasformati in conti deposito. Secondo alcuni impiegati della banca, servirebbero a ricevere denaro o altri dividendi legati a contratti pubblici. Un rapporto dell’ente di regolamentazione degli appalti e delle deleghe dei servizi pubblici mostra che il numero di contratti attribuiti con bandi regolari è diminuito del 32 per cento tra il 2021 e il 2022. Nello stesso periodo i contratti pubblici assegnati senza bando sono diventati il 20 per cento del totale, molto più della soglia del 5 per cento stabilita dall’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa).
Il sospetto è che una parte di questi contratti serva a comprare armi. Secondo un rapporto dello Stockholm international peace research institute (Sipri) del 2023, le importazioni di armi provenienti dalla Russia sono aumentate in modo considerevole dopo i colpi di stato a Bamako del 2020 e del 2021. Tignougou Sanogo, ex docente di diritto internazionale nella capitale maliana, sostiene che l’acquisto di armi e di equipaggiamenti militari è diventato più semplice dopo la cancellazione di alcune restrizioni amministrative imposte in passato da Unione europea e Stati Uniti.
Mentre la popolazione fatica a tirare avanti, i componenti del consiglio nazionale di transizione (Cnt), che dopo il colpo di stato ha assunto le funzioni del parlamento, preparano un nuovo progetto di legge che gli accorderà gli stessi privilegi e indennizzi riconosciuti ai vecchi parlamentari, nonostante il Cnt non sia stato eletto.
La rete delle associazioni maliane per la lotta alla corruzione e alla criminalità finanziaria (Ramlcdf) ha fatto appello contro questa proposta alla corte suprema, chiedendo alla ragioneria di stato di aprire un’indagine sui privilegi e gli indennizzi accordati al Cnt, ma non ha avuto risposta. Nel frattempo, però, il presidente della rete, Moussa Touré, è stato minacciato, rapito, incarcerato, interrogato e picchiato.
Sempre nel 2024 la presidenza della giunta ha aumentato il suo bilancio di esercizio da 13 a 16 miliardi di franchi cfa (da 20 a 24 milioni di euro). Un ulteriore privilegio è la protezione garantita al presidente dalle guardie del corpo russe. “Questa prossimità garantisce a Mosca una comprensione e un’influenza duratura all’interno del processo decisionale maliano”, sottolinea un rapporto dell’istituto di ricerca britannico Rusi.
L’economia in difficoltà e le pressioni sul bilancio dello stato sarebbero la causa delle tenebre in cui è immerso il paese. Negli ultimi tre anni l’azienda fornitrice di energia elettrica Edm ha accumulato debiti per più di 300 milioni di euro, provocando una penuria di diesel per le sue centrali termiche. “Solo quest’anno l’Edm ha dovuto importare 500 milioni di litri di diesel per un totale di 309 miliardi di franchi cfa (470 milioni di euro)”, dice preoccupato l’ex ministro maliano dell’energia Hamed Sow. Prima dei colpi di stato l’elettricità in Mali era prodotta in parte dalle centrali idroelettriche, che però secondo gli esperti sono state trascurate dal nuovo governo, più propenso a firmare contratti per l’importazione di diesel.
Lo stato maliano inoltre non paga una buona parte dei piccoli fornitori. I timori per questa situazione si leggono sul viso rugoso e inquieto di Aldiouma Sylla, commerciante e fornitore di materiali da ufficio di Bamako. Da più di un anno, racconta, cerca di farsi pagare 48 milioni di franchi cfa (75mila euro) di fatture arretrate.
“I fornitori della pubblica amministrazione aspettano ancora i pagamenti del 2021, figuriamoci quelli del 2024”, afferma con altrettanta preoccupazione Maridié Niaré, un consulente di settant’anni. Un tempo dipendente della tesoreria di stato, prima del golpe del 2020 si era messo in proprio. Oggi però le sue aziende sono in difficoltà perché le banche non hanno più disponibilità di contante. “Da mesi non riesco a ritirare i sei milioni di franchi cfa distribuiti periodicamente agli azionisti della mia società”.
“La situazione economica è disastrosa. Per ricostruirla servono tempo e idee”, dichiara l’economista Modibo Mao Makalou. “Quando uno stato va avanti solo per pagare gli stipendi dei funzionari (che sono solo il 5 per cento della popolazione in Mali), la situazione diventa molto preoccupante”, conferma Mamadou Diamoutene, ricercatore e docente universitario.
Scuole deserte
Nonostante l’arrivo dei militari al potere, la sicurezza in Mali si è talmente deteriorata che nella regione a nord della capitale i genitori hanno paura di mandare i figli e le figlie a scuola. “Non serve a niente mandarli al macello. Le poche scuole del quartiere sono deserte. Lo stato non garantisce la sicurezza nei villaggi che si trovano tra Douentza e Timbuctù. La popolazione è costantemente minacciata. Nemmeno gli insegnanti sono al sicuro”, afferma un consigliere del centro di assistenza allo studio Goudam, rammaricandosi del fatto che molti sono andati via perché non si sentivano al sicuro.
A pochi chilometri da Mopti gli abitanti dei villaggi e i viaggiatori che percorrono la strada nazionale sono nervosi. I campi profughi si estendono a perdita d’occhio. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e altre organizzazioni umanitarie si affannano a distribuire viveri e vestiti agli sfollati. Abbiamo cercato di intervistare profughi oppure operatori umanitari, ma nessuno ha risposto alle nostre domande. Secondo le stime del progetto Armed conflict location and event data (Acled), il gruppo Wagner – i maliani continuano a chiamarlo così anche dopo la morte del fondatore Evgenij Prigožin – è presente nel 90 per cento delle operazioni militari nel centro del Mali.
Man mano che ci inoltravamo nelle zone rurali, ci è stato spiegato che a Bandiagara e Sofara, due località a sud e sudest di Mopti, si trovano unità militari russe, mentre il versante nord di Sofara è assediato dai jihadisti. In questi villaggi i russi conducono la loro guerra contro il terrorismo al motto di: “O sei un terrorista o sei complice dei terroristi”.
A poche centinaia di chilometri a nord incontriamo dei sopravvissuti agli attacchi russi. “Su dieci persone uccise, otto erano innocenti e conosciute da tutti nel villaggio”, testimonia un abitante di Bambara Maoundé, un piccolo centro che di recente è stato attaccato due volte dall’esercito maliano e dai suoi alleati russi. L’ultima volta, circa sei mesi fa, i feriti e i morti tra i civili sono stati numerosi. Una donna che si presenta come la presidente di un’associazione femminile afferma che quelle operazioni non contribuiscono ad accrescere le simpatie della popolazione verso lo stato e i suoi alleati. “I jihadisti almeno ci danno soldi”, dice indignata. “Ci hanno protetto durante i combattimenti. L’esercito e i russi, invece, ci hanno bombardato più volte. Non li perdoneremo”.
In altre località, alcuni parenti delle vittime altrettanto avviliti parlano di uno stato che sta uccidendo i suoi figli. “Non siamo al sicuro. Ci attaccano, anche se non siamo terroristi né islamisti”, dichiara Alpha Maiga di Hombori, un villaggio tra Mopti e Gao dove qualche mese fa l’esercito ha ucciso in un solo giorno una cinquantina di civili. Maiga dichiara che gli arresti e le aggressioni nella zona del mercato, dove si radunano i commercianti e gli abitanti del villaggio, sono ormai all’ordine del giorno. Alcuni componenti della giunta militare originari del nord si sono dimessi in segno di protesta contro i crimini commessi ai danni dei civili. Tra loro c’è Sidi Mohamed Ould Alhousseini, del Coordinamento dei movimenti per l’Azawad (Cma, dominato dai separatisti tuareg), che si è dimesso il 1 novembre 2023.
Nel frattempo la società civile nelle città del Mali tace per paura di rappresaglie. Anche gli attivisti per i diritti umani sono rimasti quasi tutti in silenzio. Gli uffici di Amnesty international a Bamako sono chiusi dal 2023. Abbiamo chiesto un commento ai portavoce del governo, ma non hanno risposto. ◆ gim
Malick Sadibou Coulibaly è lo pseudonimo di un giornalista maliano che ha collaborato con il sito olandese Zam Magazine all’inchiesta “Hôtel Kremlin” sulla situazione in Niger, Mali e Burkina Faso, dopo che i rispettivi governi hanno rotto i rapporti con la Francia e altri paesi occidentali, e stretto accordi di collaborazione con la Russia. Il nome del giornalista è stato cambiato per ragioni di sicurezza.
◆ Secondo il rapporto Blood gold, del dicembre 2023, l’azienda privata russa Wagner, oggi Africa corps, è presente in Mali dal dicembre 2021 e riceve 10,8 milioni di dollari al mese per un migliaio di mercenari. Questi combattenti partecipano alle operazioni dell’esercito maliano contro i gruppi jihadisti attivi nel nord del paese, e sono stati più volte accusati di gravi crimini contro i civili maliani.
◆All’inizio di agosto del 2024 la giunta di Bamako ha rotto i rapporti con l’Ucraina, accusando Kiev di aver favorito un vasto attacco, compiuto tra il 22 e il 27 luglio nell’area di Tinzawaten da combattenti separatisti tuareg e jihadisti ai danni delle forze governative. I ribelli affermano di aver ucciso 47 soldati maliani e 84 mercenari russi, un bilancio non verificato. L’azienda privata russa ha comunque ammesso “pesanti perdite”. Bbc, Al Jazeera
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Questo articolo è uscito sul numero 1577 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati