Nel bel mezzo di un’area verde nella zona sudorientale di Berlino un gigantesco cannone verniciato di grigio punta la sua lunga canna verso il cielo. Possibile? “A prima vista sembra un cannone”, conferma Joseph Hoppe, direttore del Centro berlinese per il patrimonio industriale (Bzi), “in realtà è un telescopio”. È il telescopio rifrattore mobile più lungo del mondo, costruito nel 1896 per l’Esposizione industriale di Berlino. All’epoca arrivarono sette milioni di persone per ammirare le innovazioni dell’industria tedesca. Alle porte di Berlino, dove oggi si trova il parco di Treptow, furono allestiti più di 3.700 stand. L’azienda Siemens & Halske esponeva una dinamo gigante e la Zeiss i suoi apparecchi ottici. Wilhelm Conrad Röntgen, invece, illustrava come i suoi raggi X potessero essere usati in medicina. Di tutto questo oggi resta in piedi solo l’enorme telescopio dell’osservatorio Archenhold. Il telescopio è orientabile a 360 gradi e poggia su un’imponente struttura in acciaio ospitata all’interno dell’edificio dove Albert Einstein, nel 1915, tenne la prima conferenza sulla teoria della relatività.

Tutto questo si può ammirare lungo i sei percorsi ciclabili che seguono le tracce del patrimonio industriale berlinese. Tra questi “Luce calda e birra fresca”, “Produzione e munizioni”, “Innovazione ed eleganza”. La maggior parte degli itinerari comincia dal Museo tedesco della tecnica, nel quartiere di Kreuzberg, per poi prendere direzioni diverse. Si possono seguire le mappe fornite dal museo, con foto e testi informativi, oppure scaricare quelle digitali. Gli addetti agli itinerari stanno ancora lavorando per installare una segnaletica che copra tutti i percorsi, che sarà completata nei prossimi anni. In ogni caso c’è molto da vedere.

Traversata in battello

Nell’ottocento Berlino diventò un importante polo industriale dove lasciarono un’impronta inventori come Werner von Siemens e August Borsig, fondatore dell’omonima azienda meccanica. Furono determinanti anche le tante piccole aziende cresciute all’ombra dei grandi nomi. Grazie a uomini come Emil Rathenau, fondatore della Aeg, Berlino diventò un centro dell’emergente industria elettrica. E nel giro di poco tempo, spiega Hoppe, si trasformò nella “più moderna delle metropoli europee”.

Hoppe è stato a lungo vicedirettore del Museo tedesco della tecnica e ha scritto numerosi libri sulla storia del patrimonio industriale tedesco. Adesso dirige il Bzi, che ha il compito di rendere fruibile questo patrimonio. È anche un appassionato ciclista e sono state queste due passioni a spingerlo anni fa a ideare, insieme ad altre persone, i percorsi in bici.

Percorriamo con Hoppe l’itinerario “Acqua ed elettricità”, che ci porta verso la zona sudest della città. Per prima cosa attraversiamo il parco di Treptow, una delle tante oasi verdi della capitale. Qui il caos della città è lontano e non c’è traffico. Inoltre durante la settimana c’è poca gente. Pedaliamo tranquilli e rilassati, il sole splende e soffia una brezza gradevole. Il percorso è piacevolissimo. Costeggiamo la Sprea fino al quartiere Oberschöneweide, il fiume luccica, gli uccelli cinguettano e Berlino mostra la parte migliore di sé. Nell’acqua si riflette l’ex stazione della radio di stato della Germania Est, una tappa del nostro itinerario. Per arrivare sull’altra sponda prendiamo la linea F11, un piccolo traghetto del trasporto pubblico. L’itinerario è stato pensato per includere la traversata in battello, spiega Hoppe, offrendo così ai ciclisti un’esperienza aggiuntiva.

Verso la fine dell’ottocento il centro di Berlino era diventato insufficiente per le varie industrie, così la Borsig si espanse verso nord e la Siemens verso ovest. Nel 1895 il fondatore della Aeg fece costruire la prima centrale elettrica ad alimentazione trifase a sudest della città. Proprio lì accanto nacque una fabbrica di cavi, modernissima per l’epoca. “Dalla presa di corrente alla grande centrale elettrica”, spiega Hoppe, “qualsiasi cosa avesse anche solo lontanamente a che fare con l’elettricità veniva dall’Aeg”.

Perciò il quartiere di Oberschöneweide diventò una zona modello: enormi impianti industriali vicino a zone residenziali e a un’area verde dedicata allo svago, il parco pubblico Wuhlheide.

Dentro al parco

Per trasportare le materie prime e i prodotti finiti furono costruite nuove strade, la Sprea si riempì di chiatte e intorno alle nuove strutture portuali aumentarono le gru. Su un tracciato ferroviario soprannominato “Bullenbahn”, treno dei buoi, vagoni stracarichi andavano da una fabbrica all’altra. I resti di quel periodo si possono osservare ancora oggi.

Tra i vari edifici in mattoni spicca l’ex fabbrica di trasformatori e la grande insegna Aeg. Di fronte, invece, c’è l’ex fabbrica di lampade Frister, costruita anch’essa in arenaria gialla che, spiega Hoppe, contrariamente ai mattoni rossi provenienti dai dintorni di Berlino arrivava dal land Sassonia-Anhalt.

Ogni itinerario si estende per una ventina di chilometri, attraversa parchi o costeggia corsi d’acqua. Ogni tanto, però, è necessario attraversare grandi strade o superare tratti stretti e pericolosi. Uscendo dall’area verde di Wuhlheide, per esempio, si passa all’improvviso da un bel quartiere tranquillo, che ospita principalmente gli ex appartamenti aziendali dell’Aeg, a una strada a più corsie. Dobbiamo aspettare diversi minuti prima che tra le auto che sfrecciano si apra un varco per attraversare la strada.

Nelle mappe delle piste ciclabili questi passaggi pericolosi sono stati segnalati, spiega Hoppe, che è in contatto con l’amministrazione comunale per cercare di risolvere il problema. Ma Berlino è una metropoli in cui per decenni la politica della mobilità si è concentrata soprattutto sulle auto e spesso quando una strada viene chiusa al traffico i cittadini protestano, come è successo recentemente con la Friedrichstrasse, nel quartiere Mitte, poi riaperta alle auto.

L’azienda Aeg aveva come riferimento estetico il Palais des Beaux Arts di Parigi

L’itinerario prosegue fino agli ex capannoni della fabbrica di cavi di Oberspree dove nel 2009 si è trasferita l’università per la tecnologia e l’economia. L’area è accessibile al pubblico ed è piena di studenti seduti a chiacchierare e scherzare sotto il sole di mezzogiorno. Sulla riva della Sprea, invece, le panchine invitano a fermarsi per una breve sosta. Sulle pareti di uno dei vecchi capannoni alcuni murales che raccontano la storia del luogo.

Una vetrina

Non sempre, però, è possibile entrare negli edifici storici o nelle aree circostanti. Molte strutture sono private e sono state affittate o trasformate in appartamenti. Altre, invece, come la centrale elettrica di Klingenberg, costruita nel 1927, sono ancora in funzione. Ma seguendo l’itinerario “Ferrovia e pista d’atterraggio”, che attraversa il quartiere di Schöneberg, nascosto in un cortile pieno di auto usate si può vedere l’antico padiglione della Opel, costruito nel 1918. È una testimonianza del peso che ebbe l’industria automobilistica. In passato il padiglione di Schöneberg era una sorta di showroom e di centro assistenza.

Questi percorsi rendono evidente l’importanza che in passato l’architettura ha avuto per le aziende. Ci fermiamo a pranzo sulla terrazza del ristorante Sonnendeck, nei locali dell’ex fabbrica di lampade Frister. La vista spazia sulla Sprea fino alla sponda opposta, dove c’è un altro monumento del patrimonio industriale: l’ex birrificio Bärenquell, circondato da alte mura in mattoni coronate da merli, a quanto pare è abbandonato all’incuria, dato che dal tetto spuntano rami di betulla. L’edificio spicca comunque rispetto a quelli vicini costruiti da poco: un negozio di mobili, uno di rivestimenti per pavimenti, la filiale di un fornitore di articoli sportivi a basso costo. Uno accanto all’altro, con i loro tetti piatti, sembrano scatole di scarpe allineate. E allora chiediamo allo storico perché cent’anni fa l’architettura industriale fosse così diversa da quella di adesso, e soprattutto decisamente più bella.

All’epoca questi stabilimenti erano delle vetrine, che servivano ai fondatori delle aziende e ai loro discendenti per “mostrare la propria importanza al livello mondiale”, spiega Hoppe. Quando la Aeg nel 1897 costruì a Oberspree la prima centrale elettrica ad alimentazione trifase d’Europa aveva come riferimento estetico il Palais des Beaux Arts di Parigi, che come la centrale elettrica era stato costruito in arenaria gialla, con decorazioni in stucco e archi a tutto sesto sulla facciata. Inoltre, spiega Hoppe, le maggiori aziende dell’epoca avevano i propri architetti che sviluppavano spesso uno stile inconfondibile che non si limitava solo all’architettura delle fabbriche e agli interni degli uffici.

Peter Behrens, un architetto molto noto, lavorò a lungo per la Aeg progettando edifici e anche alcuni prodotti. Fu il responsabile delle scelte pubblicitarie e ridisegnò il logo dando all’azienda uno stile uniforme. “Behrens è considerato l’inventore del corporate design”, conclude Hoppe.

Il suo stile si può ammirare qualche chilometro dopo, nel punto più a sud del nostro itinerario. L’imponente torre del Peter-Behrens-Bau si vede da lontano. Le ali laterali ospitavano la fabbrica in cui dal 1917 una società controllata dalla Aeg costruiva auto. Ai piani superiori si realizzavano le carrozzerie e i diversi livelli della struttura erano collegati da diciotto montacarichi. Al centro c’è ancora oggi il cortile a lucernario circondato da un porticato che i fan della serie televisiva Baby­lon Berlin conoscono come la clinica dello psichiatra Schmidt.

Purtroppo il cortile non è accessibile al pubblico perché, finita l’epoca delle auto, l’edificio è passato all’azienda Telefunken, che qui produceva trasmettitori e valvole radiofoniche. Nel 1945 la Telefunken fu statalizzata dalla Germania Est e cominciò a rifornire di componenti e apparecchiature televisive buona parte del blocco orientale.

Adesso l’intero complesso, compreso il Peter-Behrens-Bau, classificato monumento storico, appartiene a una società immobiliare che vorrebbe aprirci nuove attività produttive.

Lavori forzati

“Per noi è importantissimo che, nonostante i tanti successi imprenditoriali, il lato oscuro della storia dell’industria tedesca non sia dimenticato”, spiega Hoppe. Per questo nel percorso “Acqua ed elettricità” è stata inserita anche una piccola deviazione sull’altra sponda della Sprea, a Niederschöneweide. Qui alla fine del 1943, circondato da alti edifici residenziali, fu collocato un campo di concentramento per i lavori forzati.

“Durante la guerra le fabbriche poterono continuare a produrre importanti materiali bellici solo grazie agli internati ridotti in schiavitù”, racconta Hoppe. Degli oltre tremila lager costruiti a Berlino quello della Britzer Straße è l’unico a essere rimasto quasi completamente intatto. “Dalla grande impresa alla piccola azienda artigianale”, aggiunge, “tutti approfittarono di questa forza lavoro a basso costo”.

Dal 2006 in una parte delle ex baracche è stato allestito un centro di documentazione sul lavoro forzato in epoca nazista, che comprende anche un centro d’incontro per giovani. Quello che molti non sanno è che tra gli internati del lager di Schöneweide c’erano anche più di quattrocento italiani. Infatti dopo che l’Italia ruppe l’alleanza con la Germania nazista nel settembre 1943, l’esercito tedesco fece prigionieri centinaia di migliaia di soldati italiani, migliaia di ebrei e di antifascisti e li deportò in Germania per destinarli ai lavori forzati.

Visite come questa fanno riflettere e colpiscono emotivamente. Le mappe forniscono spiegazioni su ognuno dei vari percorsi. Sul sito del Bzi si possono approfondire gli argomenti. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati