Durante la prima settimana della presidenza ungherese di turno del Consiglio dell’Unione europea, il primo ministro Viktor Orbán ha lasciato sconcertati tutti i partner europei. Che potesse abusare del suo ruolo per cercare di sgretolare l’unità europea contro il Cremlino era prevedibile. Ma pochi si aspettavano che si arrogasse il diritto di parlare a nome dell’Unione.

Allarmata dal crescente peso della destra nazionalista, l’Unione europea è paralizzata in attesa della definizione del nuovo panorama politico nato dalle elezioni europee del 9 giugno. E Orbán sta usando questa situazione per portare avanti il suo programma, per la verità un po’ troppo simile a quello di Mosca: indebolire l’Europa come attore geopolitico, ridurre il sostegno all’Ucraina e logorare i valori fondanti dell’Unione.

Di fronte alle iniziative del premier ungherese molti leader europei nascondono la testa sotto la sabbia. Nessuno è riuscito a isolarlo nei suoi quattordici anni al potere. Al contrario, Orbán è diventato il punto di riferimento dei populisti e dei nazionalisti, con cui ha appena creato Patrioti per l’Europa, il terzo gruppo più numeroso al parlamento di Strasburgo.

Bruxelles ha gli strumenti per limitare lo spazio di manovra ungherese nel suo semestre di presidenza, ma per farlo serve la volontà politica della maggior parte dei paesi dell’Unione

Arriva l’egopolitica

Come prima cosa il 2 luglio Orbán ha visitato Kiev, secondo alcuni analisti per tentare un riavvicinamento con il presidente Volodymyr Zelenskyj. Dall’inizio dell’invasione russa il premier ungherese ha cercato di bloccare ogni sostegno all’Ucraina, e ha sostenuto un modello di pace molto simile a quello immaginato dal Cremlino. Subito dopo Orbán ha incontrato a Mosca il leader russo Vladimir Putin. Il viaggio, il primo di un leader europeo dall’aprile 2022, ha messo in allarme i vertici comunitari, spaventati dal fatto che Orbán potesse presentarsi come portavoce dell’Unione e prospettare a Mosca un cambiamento della posizione dei ventisette sull’Ucraina. Esattamente quello che è successo. Per tutta risposta, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha twittato che Orbán non rappresenta l’Unione, e Josep Borrell, alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza, ha ripetuto che solo Michel può parlare a nome di Bruxelles nei forum internazionali.

In una lettera inviata da Mosca a Michel, Orbán si è detto consapevole di non poter rappresentare l’Unione, ma ha comunque elencato tutti i tipici argomenti della Russia e di Putin su una possibile soluzione pacifica del conflitto: una posizione in netto contrasto con quella europea, che sostiene invece il piano di pace in dieci punti messo a punto da Kiev.

Sulla strada del ritorno da Mosca il premier ungherese ha inoltre partecipato a un incontro di paesi turcofoni organizzato dall’Azerbaigian a Shusha, in Nagorno Karabakh, territorio sottratto agli armeni da Baku nel settembre 2023. Orbán sedeva allo stesso tavolo di Ersin Tatar, il presidente della Repubblica turca di Cipro Nord, non riconosciuta al livello internazionale. Di nuovo ha parlato a nome dell’Unione europea, e di nuovo è stato smentito. Poi è stata la volta della terza tappa della sua “missione di pace” segreta: Pechino. La dichiarazione diffusa da Orbán sulla sua pagina Facebook fa pensare che abbia discusso un piano di pace per l’Ucraina a nome dell’Unione europea con il presidente cinese Xi Jinping.

In seguito, al vertice della Nato a Washing­ton ha praticamente ignorato il presidente Joe Biden, organizzando invece una visita a Donald Trump, che il leader ungherese sostiene in vista delle elezioni di novembre e considera suo alleato.

Tutte queste iniziative hanno reso evidente che Orbán userà la presidenza di turno per i propri obiettivi. L’“ego­politica” di Orbán – come l’ha chiamata il settimanale ungherese indipendente Hvg – è stata discussa dagli ambasciatori degli stati dell’Unione il 10 luglio a Bruxelles, su richiesta della Polonia. Alla fine è stato deciso che, oltre alle dichiarazioni di condanna, i governi europei boicotteranno gli incontri che la presidenza ungherese organizzerà nei prossimi mesi o al massimo invieranno funzionari di basso rango.

Secondo Daniel Hegedus, analista ungherese del centro studi German Marshall fund, Orbán ha trovato il modo per provocare e minare l’autorità dell’Unione, che considera un “impero” in piena crisi: “Con il suo comportamento”, sostiene Hegedus, “dimostra, ancora una volta, che chi viola le norme europee e chi rema contro le posizioni comuni non è mai sanzionato. È ridicolo. Si potrebbe discutere a lungo su quali problemi possono creare agli altri stati gli atteggiamenti dell’Ungheria”. Secondo l’analista, Orbán è pericoloso proprio perché dimostra che chi si comporta come l’Ungheria, la fa sempre franca e che su certi temi l’Europa non riesce a trovare posizioni unitarie. I paesi dell’Unione, sostiene, dovrebbero abbreviare la presidenza ungherese e anticipare quella della Polonia, facendola cominciare già a settembre. In base all’articolo 236 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea basterebbe una decisione presa a maggioranza qualificata.

Allo stesso tempo, continua Hegedus, ai sensi dell’articolo 7, si potrebbe anche adottare una risoluzione per accusare l’Ungheria di violazione dei valori comunitari. Tutto questo, però, dev’essere fatto prima delle elezioni austriache di settembre e di quelle ceche del 2025, finché al governo in questi paesi ci sono partiti non alleati di Orbán.

Il problema è che per un passo del genere i leader europei devono avere il coraggio di entrare in conflitto con un paese dell’Unione. Politici ormai indeboliti come il francese Emmanuel Macron o il tedesco Olaf Scholz non sembrano in grado di farlo. Altri temono che una procedura simile possa ritorcerglisi contro. Putin lo sa bene. E trae vantaggio dalle “iniziative di pace” del premier ungherese.

L’analisi di Orbán della situazione dell’Unione europea è corretta: si dibatte tra problemi interni e minacce esterne, come l’attacco russo all’Ucraina e il possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca. L’Unione non riesce a tradurre la sua forza politica ed economica in azioni concrete. Se consentirà a Orbán di continuare con le provocazioni per i prossimi cinque mesi, sarà difficile essere ottimisti sul suo futuro. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati