Viene voglia di farsi largo nella foresta col machete, percorrere il fianco della montagna sugli strapiombi, come succede nei film d’avventura; seguire il sentiero scolpito dal vento nel granito finché non si spalanca su una vallata di felci e lavande giganti, plumbago, rosmarini, ginestre, allori giganti e poi proseguire, sfidando i serpenti, in un paesaggio giurassico – dove però il cellulare prende benissimo – fino al vertiginoso picco sul mare. E lì, davanti a un tramonto cinematografico, dominare dall’alto l’insenatura profonda con uno sguardo intrepido da pioniere alla scoperta di Sazan, questo tesoro d’isola che potrebbe piombare come un meteorite sulla campagna elettorale statunitense. Gli albanesi già la chiamano Ishulli i Trumpëve, l’isola dei Trump. Vorrei poter sfruttare appieno il privilegio d’esplorare Sazan prima che diventi il simbolo globale del privilegio, la mecca del turismo super-extra-lusso, riuscire a raccontare in lungo e in largo questo capolavoro sconosciuto uscito dalla natura e dalla storia del Mediterraneo mentre sta per finire nella collezione del genero di Trump, Jared Kushner, e di sua moglie Ivanka Trump. L’ha dichiarato con un velo di commozione lei stessa in un podcast: “Sto lavorando con mio marito, abbiamo questa meravigliosa isola di 560 ettari nel Mediterraneo e coinvolgiamo i migliori architetti, i migliori marchi… Sarà fantastico, Aman resorts gestirà gli hotel, ci saranno delle ville, lo chef newyorchese Mario Carbone curerà il . È incredibile per me poter tornare a flettere i muscoli nell’immobiliare, tornare a divertirmi”. Quando parlo al telefono con il consulente Jared Kushner, già senior advisor del presidente Donald Trump, dal tono entusiasta della voce capisco che Sazan è il tesoro che cercavano: “È il mio resort ideale, dove vorrei stare con la famiglia e gli amici. Stiamo progettando qualcosa di speciale in ogni dettaglio”.

Il giorno in cui mi trovo nell’isola penso a quanto sarebbe speciale inoltrarsi nei sessanta chilometri di sentieri, scalare i monti coperti da una foresta che sembra pluviale, perlustrare i quindici chilometri di scogliere e tuffarsi nella baia del Paradiso, nella gola dell’Inferno, nel golfo del Diavolo, stendersi sulla spiaggia dell’Ammiraglio, prima che arrivino i migliori marchi e si flettano i muscoli dell’ex first daughter, prima che “vado a Sazan” diventi l’ostentazione alla moda dei ricconi. Ma purtroppo non si può.

E non perché non ho un machete o perché temo di rovinare i mocassini nuovi: quella che, stando alle parole di Ivanka e Jared e alle fonti raccolte a Tirana, diventerà l’isola dei famosi Trump, è piena di cartelli con teschio e tibie che mettono in guardia dal “pericolo-mine”. E allora devo lavorare d’immaginazione, basandomi sulla natura stupefacente che attraverso lungo il sentiero oltre il quale il maggiore della marina albanese Arbër Celaj, mio accompagnatore in questa trasparente giornata di luglio, m’impedisce d’inoltrarmi per non avere storie coi superiori. La macchia mediterranea dalle forme smisurate sembra uscita dal computer di Spielberg e fa da sottobosco a una giungla di colossali frassini della manna, carpini, pini marittimi, lecci. Mi accontento d’osservare dal fitto della boscaglia squarci di sconvolgente bellezza, tappeti di felci rarissime, valli d’erba mai falciata che degradano sul turchese di un mare abissale. Come osservare un paesaggio appena creato nell’alba dei tempi. Anche Jared Kushner è rimasto a bocca aperta al suo primo sopralluogo nel 2021: “Non ho mai visto un’isola così incontaminata!”, ha esclamato. “Non potevo credere che qualcosa di così vergine potesse ancora esistere nel mezzo del Mediterraneo”, mi ha detto.

Le divinità del Mediterraneo l’hanno posta tra il mare Adriatico e lo Ionio, strategicamente posizionata all’ingresso della baia di Valona, nello stretto di Otranto che separa l’Italia dall’Albania, “ma il clima di Sazan non è mediterraneo, è subtropicale”, esclama il maggiore, “e si vede dalla vegetazione, una biodiversità pazzesca”.

I bunker contro il nemico

Va detto che la natura di Sazan deve molto al comunismo. Perché nello stato-gulag dell’Albania – definita “la Corea del Nord europea” – il posto significava isolamento estremo: una fortezza militare inaccessibile contro il “Nemico”, che nella paranoica follia del dittatore Enver Hoxha poteva essere sia la Nato sia il Patto di Varsavia. La Shqipëria (Albania in albanese), il paese delle aquile, temeva di finire negli artigli delle superpotenze. Per lunghi decenni a Sazan, come nel Deserto dei tartari di Dino Buzzati, s’è atteso l’attacco annunciato, sempre col dito sul grilletto, sempre a scrutare l’orizzonte, sempre con l’orecchio sui sonar per intercettare il sommergibile che prima o poi si sarebbe senz’altro presentato dai fondali adriatici. L’attesa è cessata solo con il crollo del regime nel 1990.

Sazan era la madre di tutti i bunker: dei 700mila sparsi nel paese, 3.600 sono sulla mappa dei sessanta chilometri quadrati dell’isola. Li vedi spuntare ovunque, come rovine d’una civiltà neolitica, funghi di cemento armato stritolati dalle radici, oppure a dominare i picchi, vedette contro fantomatiche portaerei statunitensi o fregate sovietiche. Jared Kushner, quando ci sentiamo al telefono, dice che alcuni bunker saranno conservati e integrati nel progetto. Proseguendo lungo il tracciato consentito c’imbattiamo in diversi imbocchi di gallerie antiatomiche e destinate allo stoccaggio di provviste e munizioni, ma anche attrezzate come tane in caso di guerriglia contro gli imperialisti invasori. Si parla di sedici chilometri di tunnel, confida il maggiore Celaj, oggi riparo per pipistrelli, vipere e conigli selvatici, che sono migliaia e sono il pasto preferito dai rapaci in perlustrazione come droni famelici. Magari con Mario Carbone diventeranno cantine per vini pregiati.

Rovine della guerra fredda, archeologia d’una dittatura spietata che ha “protetto” Sazan dalla contaminazione del mondo, nonostante la presenza della base militare, testimoniata dai ruderi di una cittadella di edifici adibiti ad alloggi, teatro, scuola, ospedale. Fino alla rottura di Enver Hoxha con l’Unione Sovietica di Nikita Chruščëv, che aveva rinnegato lo stalinismo, Sazan fu in mano ai sovietici, spina nel fianco dell’occidente, base di dodici sommergibili di classe Whiskey e d’impianti di armi chimiche-biologiche. Il maggiore mi dice che si trovano ancora molte maschere antigas sovietiche sparse nella boscaglia. Uscita dal Patto di Varsavia, l’Albania s’avvicinò a Pechino, ma nel 1968 il marxista-leninista ortodosso Hoxha chiuse l’Albania al mondo come una Siberia balcanica dove, su 2,5 milioni di persone, 321mila erano soldati. Sfrattati i sovietici, negli anni settanta sull’isola vivevano circa centocinquanta famiglie di militari dell’esercito della Repubblica popolare socialista d’Albania, senza alcun contatto con la terraferma. “Ma erano dei privilegiati, avevano da mangiare, indumenti, istruzione, elettrodomestici”, dice il maggiore. Chiedo dei cartelli. “In realtà non si tratta proprio di mine”, spiega, “qui è pieno di ordigni inesplosi, ci sono molte aree ancora da bonificare”, e indica un canalone sulla costa orientale, quella che guarda Valona, dove l’Affinity partners, la società di Jared Kushner, prevede di sviluppare una parte consistente del progetto immobiliare – pardon: eco-resort community – che sarà spalmato in varie forme sull’intera superficie dell’isola. “Sono un lascito degli anni novanta”, continua Celaj, “quando scoppiò il caos nel paese. La criminalità di Valona nel 1997 assaltò l’isola sotto lo sguardo dei militari, saccheggiò i depositi di armi e munizioni”.

Il nemico infine era arrivato, ma con piccole imbarcazioni artigianali e parlava la stessa lingua dei soldati. Sazan diventò la Tortuga dei trafficanti di droga e di esseri umani verso l’Italia. Ci volle una quasi guerra civile per restituire l’isola agli albanesi – sia pur con un’occupazione piratesca – dopo cinquant’anni in cui avevano osservata la sua misteriosa silhouette da Valona, a diciotto chilometri di distanza. Poi Sazan è tornata nelle mani delle forze armate, anche se a presidiare ci sono solo tre marinai che ciondolano a torso nudo tra i moli arrugginiti e fatiscenti del porto di San Nicola dove, stando a quel che mi ha detto Asher Abehsera, il braccio operativo di Kushner, sarà costruita la marina principale per gli yacht.

Il primo ministro albanese Edi Rama nel suo ufficio a Tirana, 20 maggio 2024 (Alessandro Cosmelli)

Intrecci d’affari

Il premier Edi Rama è l’artefice del “fenomeno Albania”, diventata negli ultimi anni una sorta di “tigre dei Balcani” e destinazione turistica celebrata nelle più prestigiose classifiche mondiali. Quando gli chiedo se non ha dei dubbi sulle complicazioni politiche del progetto della famiglia Trump, mi risponde che il suo paese “non può permettersi di non sfruttare un patrimonio come Sazan” e che ci hanno provato anche i governi precedenti. A un certo punto, nel 1999, si era fatto avanti pure Silvio Berlusconi, ma non aveva offerto sufficienti garanzie di salvaguardia dell’ambiente. “Se ora abbiamo interlocutori di questo livello è perché siamo un governo e un paese affidabili”, dice Rama. “Abbiamo bisogno di turismo di lusso come il deserto dell’acqua”. Sull’eventualità di polemiche negli Stati Uniti, visti i protagonisti dell’operazione, pare quasi augurarsele: “Ben vengano le polemiche se servono a creare attenzione, portare investimenti. Per noi ‘l’operazione Sazan’ significa posti di lavoro, sviluppo, richiamo per chi vuole investire nel turismo esclusivo, la nuova frontiera dell’Albania”.

Kushner mi conferma che i suoi interessi si sono incastrati perfettamente con quelli del governo albanese: “Ci credono così tanto che stanno perfino costruendo un aeroporto proprio a Valona. Rama è un ottimo partner, disposto a correre dei rischi. Ho molti amici che hanno provato a investire altrove nel Mediterraneo ed è stato un disastro, perché i governi fanno di tutto per ostacolare lo sviluppo. Con Rama, invece, si guarda lontano”.

Il fatto è che l’alleanza tra Rama e Kushner potrebbe avere conseguenze sgradevoli per la campagna elettorale di Donald Trump, risollevando i vecchi sospetti di conflitti d’interessi maturati nel clan familiare durante la sua amministrazione, intrecci tra affari di stato e privati, tra politica estera e speculazione immobiliare in giro per il mondo. Al centro dell’operazione Sazan c’è, come ho accennato, l’Affinity partners. La società d’investimento di Kushner, che ha sede a Miami, è finanziata per due terzi dal fondo sovrano saudita, guidato da Mohammed bin Salman, da cui ha ricevuto due miliardi di dollari. L’accordo – siglato nel 2021, appena sei mesi dopo l’uscita di Kushner dalla Casa Bianca – è finito sotto la lente del senato statunitense perché sospettato d’essere frutto del rapporto privilegiato tra il genero di Trump e Bin Salman. Come alto funzionario dell’amministrazione, Kushner era stato il grande difensore del principe, accusato dalla Cia di aver “autorizzato” l’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi.

“A presentare Rama a Kushner è stato proprio bin Salman, che qui ha molti interessi”, mi ha detto l’imam Arben Ramkaj davanti a un piatto di scampi crudi a Elbasan, una cittadina a quaranta chilometri da Tirana. “I sauditi stanno investendo nel turismo e nelle infrastrutture soprattutto al sud, nella zona di Valona. Proprio dove si trova l’isola”, ha aggiunto.

L’alleanza tra Rama e Kushner potrebbe avere conseguenze sgradevoli per Trump, risollevando i vecchi sospetti di conflitti d’interessi

Tra Belgrado, Pristina e Tirana

La piccola Sazan fa parte di una storia più grande. L’isola che “non ha uguali nell’universo”, come dice Asher Abehsera, è finita nella rete d’interessi discutibili e internazionali lungo l’asse Florida-Balcani. Non c’è infatti solo l’Albania del premier Edi Rama nel mirino di Kushner, ma anche la Serbia del presidente Aleksandar Vučić. Il “broker” d’affari della Affinity partners nella regione è l’ex ambasciatore Richard Grenell, che ai tempi dell’amministrazione Trump era inviato speciale per la “questione del Kosovo”, l’ex provincia serba a maggioranza albanese diventata uno stato indipendente dopo una sanguinosa guerra alla fine degli anni novanta. Secondo fonti serbe attendibili, Grenell ha usato il suo ruolo diplomatico a Belgrado per concludere un affare dai risvolti geopolitici e dai contorni eticamente opachi.

Nel centro della capitale stanno per partire le opere per trasformare in un gigantesco hotel (ovviamente di lusso) quello che fu il ministero della difesa serbo, semidistrutto nel 1999 dai bombardamenti della Nato per mettere fine al massacro degli albanesi del Kosovo. La ristrutturazione è un investimento della Affinity partners da mezzo miliardo di dollari. In quei giorni di raid ero in Serbia, e sono stato varie volte a Belgrado nei decenni successivi: so bene come quei ruderi sono serviti come un totem a tenere acceso il fuoco nazionalista, lasciati lì apposta a indicare un conto rimasto aperto con gli Stati Uniti. Invece, con la mediazione di Grenell, il conto lo paga lo stato serbo, concedendo all’americana Affinity partners per novantanove anni l’uso di un palazzo che occupa ben tre isolati.

Il camaleontico Vučić, 54 anni, attraverso Kushner e Grenell vuole assicurarsi una corsia preferenziale con Trump nel caso che l’ex presidente sia riletto e riscuotere eventualmente favori per aver aiutato la sua famiglia ad arricchirsi. Il presidente serbo, che si è fatto le ossa in politica facendo da megafono alla propaganda contro la Nato del vecchio leader serbo Slobodan Milošević durante la guerra in Bosnia e poi in Kosovo, gioca su più tavoli una partita spericolata e spregiudicata. Asseconda il tradizionale sentimento filorusso dei serbi, sfilandosi, unico europeo, dal fronte delle sanzioni contro Mosca; stende tappeti rossi per il presidente cinese Xi Jinping. Il quale, nella sua visita a Belgrado di maggio, l’ha ricambiato con un insolito slancio d’empatia, perché la Cina, oltre a costruire quasi tutte le nuove infrastrutture del paese, secondo i sondaggi è la superpotenza preferita dai serbi.

Vučić è amico del presidente francese Emmanuel Macron, firma accordi con la Germania per lo sfruttamento di un grande giacimento di litio nell’ovest del paese e da dodici anni sostiene di voler entrare nell’Unione europea. Ma non cede sulla condizione principale imposta da Bruxelles: il riconoscimento dei confini e dell’indipendenza del Kosovo. Anzi, cavalca le fibrillazioni etniche con l’ex provincia e minaccia mobilitazioni militari in difesa della minoranza serba per garantirsi l’appoggio ultranazionalista interno, senza il quale in Serbia non si governa neanche un condominio.

Ma il presidente è un uomo di vedute così aperte che frequenta addirittura Alex Soros, il filantropo a capo della fondazione Open society, creata dal padre George, bersaglio preferito del leader populista ungherese Viktor Orbán e di Donald Trump, i quali lo ritengono una sorta di satana del progressismo globale. Con la cessione agli statunitensi dell’edificio che ospitava il ministero della difesa, ormai monumento all’antiamericanismo serbo, Vučić ha compiuto il suo capolavoro.

Per Grenell, l’ambasciatore della famiglia Trump nei Balcani, quel palazzo era una missione: secondo il New York Times già nel 2013, tre anni prima di candidarsi alla Casa Bianca, Donald Trump aveva messo gli occhi su quelle rovine in pieno centro a Belgrado, pensando di farne un ennesimo super-hotel della Trump organization. Quando era inviato speciale, Grenell ha trattato i dettagli dell’operazione con lo stato serbo e ora è partner della società di Kushner. Sempre il New York Times sostiene che Grenell aspiri a diventare segretario di stato in caso di rielezione di Trump.

Jared Kushner mi dice che è stato proprio Grenell a suggerirgli per primo d’investire in Albania. Nel settembre 2021 erano insieme su uno yacht, c’erano anche Ivanka Trump e lo sceicco Nasser al Khalif, presidente della squadra di calcio del Paris Saint Germain. Rama mi racconta d’aver cenato con loro in quei giorni sullo yacht a Durazzo. Qualche mese dopo ha incontrato Kushner a Davos: “È stato allora che mi ha parlato per la prima volta del progetto Sazan. E alla fine ci siamo incontrati in Albania nel luglio 2023”. C’è una foto di Rama e sua moglie con Kushner, Ivanka Trump e Grenell davanti al museo di Tirana dedicato alle attività di sorveglianza dei servizi segreti albanesi durante il regime di Hoxha.

Una vecchia struttura militare a Sazan, 23 maggio 2024 (Alessandro Cosmelli)

Quando sollevo l’argomento del conflitto d’interessi nelle due operazioni immobiliari balcaniche, Kushner nega che ci sia. “Grenell mi ha messo in contatto con lo stato serbo dopo che aveva terminato il suo mandato”, afferma. “Non ho mai incontrato il premier Edi Rama quando ero nell’amministrazione. Ma anche se così non fosse, non ci sarebbe conflitto d’interessi. È normale che chi lavora per il governo, e per pochi soldi, coltivi relazioni, e che queste relazioni possano continuare dopo la scadenza del mandato. Quando l’ambasciatore Grenell ha lasciato l’incarico si è impegnato affinché le aziende statunitensi investissero nella regione. E devo dire che aveva ragione, perché oggi, dopo l’annuncio dei due progetti, il livello d’attenzione sulle potenzialità della zona è letteralmente esploso”.

Rama vuole tenere Grenell fuori dalla storia. E respinge ogni ricostruzione che associ il ruolo di Grenell come inviato speciale per i negoziati sul Kosovo alla cessione di Sazan alla Affinity partners, per un investimento stimato intorno al miliardo di dollari. Nel suo incarico politico, tra il 2019 e il 2021, Grenell ha privilegiato la posizione di Vučić: riconoscimento del Kosovo da parte di Belgrado in cambio di ampia autonomia per le aree a maggioranza serba. E ha fatto sponda con Tirana, che nella regione è la garante politica e morale dei “fratelli” albanesi dell’ex provincia serba. In Rama ha trovato un interlocutore dialogante. Forse anche troppo, secondo i nazionalisti kosovari e della stessa Albania, i quali temono che la “pax trumpiana”, sotto forma immobiliare, indebolisca la causa kosovara.

L’eccentrico Edi Rama

Ho parlato con Edi Rama dei suoi rapporti con Vučić nei vari incontri che abbiamo avuto a Tirana. Non ricordo chi in quei giorni li ha definiti i “dioscuri dei Balcani”: sulla carta uno è socialista e l’altro, il serbo, nazional-conservatore, ma di fatto entrambi sono guidati più dall’idea che hanno di sé che dall’ideologia. Sembra siano i due leader più alti del mondo, il serbo 198 centimetri, l’albanese più di due metri; il primo ha giocato a basket da dilettante, il secondo è stato professionista alla Dinamo di Tirana e in nazionale. “A vederli insieme fanno impressione, due guerrieri. Speri solo che non diventino nemici. Ma tra loro c’è chimica”, mi ha detto Gjergj Luca, uno dei più importanti (e discussi) imprenditori nel settore della pesca del Mediterraneo, amico fraterno di Rama dai tempi dell’accademia di belle arti a Tirana. “Una volta, dopo una cena sono rimasti a parlare, bere e cantare fino al mattino”.

Il primo ministro albanese è un seduttore, costruisce la sua politica sui rapporti personali che scavalcano ideologie e religioni

“Siamo d’accordo su quello su cui non siamo d’accordo. Questa è la base del rapporto con Vučić”, mi dice Rama nel suo ufficio al palazzo del governo, presidiato da due chiassosi pappagalli cinerini. “Nel 2014 sono stato il primo leader albanese ad andare a Belgrado dopo 68 anni; lui è venuto l’anno dopo: una visita storica, era la prima volta che si suonava l’inno serbo in Albania. Bisogna seguire l’esempio di Francia e Germania dopo la seconda guerra mondiale, guardare il passato con gli occhi del futuro”.

Quando gli chiedo se i due investimenti statunitensi hanno un significato geopolitico, risponde che si tratta di “puro business”, ma non nega che possano avere qualche ricaduta strategica: “Cercare di tenere la Serbia nel campo occidentale è cruciale. Svincolarla dal richiamo di Mosca. Ma si deve capire che dipende dal gas russo. Tanto che mi sono battuto per evitare le sanzioni di Bruxelles contro Belgrado”. Anche Grenell ha detto al Financial Times che investimenti come quello per la trasformazione dell’ex ministero della difesa servono ad avvicinare la Serbia agli Stati Uniti, come avvenne con il Giappone dopo il 1945. E ha assicurato che in un’eventuale nuova amministrazione Trump, Serbia e Albania saranno una priorità. “Bene. Purché non sia a scapito del Kosovo”, commenta Rama quando gli riferisco la dichiarazione di Grenell.

Rama è indubbiamente altra cosa da Vučić. Ha un innegabile carisma, e lo coltiva in modo ossessivo. Calza scarpe da ginnastica bianche di tela anche ai vertici Nato, indossa quasi sempre una tuta chic, un’ampia divisa nera che sullo sfondo dell’argento della barba curatissima gli conferisce un’aura da guru, rimarcando l’eccentricità d’artista. È così che vuole apparire: come un artista prestato alla politica, un post-politico dal talento creativo che guida il paese da una scrivania piena di gessetti, tempere, pennarelli colorati, che durante le interviste dipinge sulle agende degli appunti ed espone le sue opere in tutto il mondo.

È ormai leggenda il modo in cui, da sindaco di Tirana, dal duemila al 2011 ha cancellato la tetra fatiscenza comunista dei palazzi colorandone le facciate, la rivoluzione dei pennelli: “Avevo sei milioni di dollari di budget a disposizione”, ricorda. “In città funzionavano solo settanta lampioni, nel mio ufficio pioveva”. Demolì quasi cinquecento edifici abusivi e dove i clan mafiosi si opponevano con il kalashnikov si presentava lui stesso alla guida del caterpillar. Piantò sessantamila alberi. La Tirana di Rama è diventata un caso mondiale, una capitale effervescente, con una personalità eccentrica come quella del sindaco. Oggi anche l’Albania di Rama, premier dal 2013, è vista come un paese rampante, dinamico, stabile, con una crescita economica che viaggia verso il 4 per cento, che attira investimenti, trainato dal boom del turismo. Kushner mi dice che “grazie a Rama l’Albania ha imboccato una traiettoria virtuosa e gode di buona reputazione”.

Proteggere l’ambiente

Se Vučić non si può evitare d’incontrarlo, Rama è un personaggio di cui i leader diventano addirittura amici. A differenza del camaleontico serbo, è un seduttore, costruisce la sua politica sui rapporti personali che scavalcano ideologie e religioni, da Orbán a Biden, da Giorgia Meloni agli sceicchi arabi fino all’israeliano Bibi Netanyahu. L’ex primo ministro britannico Tony Blair e la moglie Cherie, Emmanuel e Brigitte Macron sono stati più volte ospiti nella sua residenza privata su una collina fuori Tirana. L’ha progettata insieme alla moglie Linda, un’economista, ed è composta da tre segmenti in cemento armato, praticamente senza muri interni. Sembra la trasposizione in calcestruzzo di un quadro cubista: “Quando con Linda abbiamo deciso di vivere insieme”, mi confida la sera in cui sono uno degli invitati a cena, “le ho detto che non avrei mai vissuto in una casa. Perché la mia casa sono io, come le lumache con il loro guscio. Questo edificio è stato il compromesso”.

Gli oppositori legati all’arcinemico di Rama, l’ex premier Sali Berisha, finito agli arresti domiciliari per corruzione nel dicembre 2023, accusano Rama di usare modi padronali, se non autocratici, nel negoziare e decidere, “come se l’Albania fosse roba sua”, mi dice una giornalista del canale News24. Com’è successo, per esempio, con l’assegnazione dei progetti immobiliari alle archistar internazionali che in meno di dieci anni hanno trasformato il panorama di Tirana, con decine di grattacieli (molti disabitati) costruiti in modo non sempre trasparente da imprenditori vicini al partito socialista e – secondo una recente inchiesta giornalistica della Rai – finanziati anche con denaro che potrebbe provenire dalla criminalità albanese legata al narcotraffico. Trattative “private”, com’è avvenuto in certi grandi progetti immobiliari lungo la costa o nel caso della costruzione di un hotspot a Shengjin per ospitare migranti, deciso dopo la firma dell’accordo con la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni. E soprattutto come nei negoziati con Kushner e Grenell, condotti in gran segreto, tanto che cittadini e parlamentari hanno saputo solo dai giornali che il bastione di Hoxha contro gli imperialisti sarebbe diventato Ishulli i Trumpëve, l’isola dei Trump. Mirela Kumbaro, ministra del turismo e dell’ambiente, difende il capo: “Non possiamo concorrere con Italia, Croazia o Grecia nell’industria del turismo di massa, non abbiamo sufficienti infrastrutture ed esperienza”, mi dice. “Dobbiamo puntare sulla qualità, sul valore più che sul volume. Più profitti e meno problemi”.

Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo l’Albania è la destinazione di punta in Europa: nel 2023 ha incassato 23 miliardi di dollari rispetto ai dodici del 2012. I numeri sono impressionanti: in un paese di 2,8 milioni di abitanti nel 2022 sono arrivati quasi otto milioni di turisti, nel 2023 più di dieci milioni e, secondo la ministra, nel 2024 la cifra potrebbe arrivare a quindici milioni: “Troppi per noi e troppo inquinamento. Sazan indica la rotta maestra per l’Albania. La ricetta ideale: natura e turismo di lusso”. Kumbaro è entusiasta del progetto, spiega che l’Affinity partners è assistita passo dopo passo dall’agenzia governativa Aida, che è incaricata degli “investimenti strategici”, cioè quelli che superano i quindici milioni di euro.

Piazza Scanderbeg a Tirana, 21 maggio 2024 (Alessandro Cosmelli)

La contropartita è sostanziosa: zero tasse nella fase di costruzione e lo stato che provvede a tutte le infrastrutture. Per Sazan questo significa portare l’acqua, la luce, le fognature: tutto il resto – il sole, il mare, la foca monaca e la giungla subtropicale – c’è già. Ed è proprio questo che preoccupa gli ambientalisti come Olsi Nika, biologo marino e direttore dell’ong EcoAlbania: “Stiamo parlando di un’area che rientra nel parco nazionale marittimo Sazan-Karaburun. Significa che le spiagge e le acque entro i due chilometri sono protette. Che impatto avranno le grandi opere pubbliche, la costruzione delle marine, il traffico degli yacht, gli scarichi fognari?”.

Kushner si fa trovare pronto quando gli parlo del problema: “Per me invece è l’opportunità più grande. Più l’ambiente è protetto, più il suo sviluppo turistico sarà naturale e spettacolare. Ovvio che quando parli di sviluppo tutti si preoccupano e si aspettano il peggio. Sono certo che il loro atteggiamento cambierà non appena vedranno il piano a cui stiamo lavorando. Ma, ripeto, quando si tratta di costruire non puoi accontentare tutti”.

In prima fila dovrebbe esserci la Kastrati group, la famiglia che ha in gestione l’aeroporto di Tirana, domina il mercato dei distributori di benzina e sta costruendo mezza costa. Shefqet Kastrati e il figlio Musa sono gli uomini di fiducia di Kushner e Grenell in Albania. E vicini di casa dei Trump a Miami, precisamente a Indian Creek, dove nel 2022 hanno comprato una villa per otto milioni di dollari e nel 2023 un hotel per 55.

Nel dicembre 2022 Musa Kastrati ha visitato Trump nella residenza di Mar-a-Lago insieme a Grenell. “Il Kastrati group ha grande esperienza, ma ci sarà una vera competizione”, garantisce Asher Abehsera, il developer dell’Affinity parters. “Vogliamo coinvolgere le imprese locali in modo trasparente. Per l’Albania questo progetto sarà un viaggio nel futuro, Sazan sarà la piattaforma della nuova Albania”. Il rendering che circola, dice il braccio destro di Kushner, è solo un vago abbozzo. Quindi l’Isola dei Trump me la presenta lui in anteprima quando lo incontro a Valona, ad agosto. “Non vogliamo essere arroganti, dire cose tipo: ‘Ecco, questo è il master plan di Sazan’, perché parliamo di una natura che si è modellata nel tempo”, mi dice tra un boccone e l’altro di branzino. “Quindi il primo lavoro da fare è ascoltare e capire l’isola, quello che sto facendo da almeno un anno; poi bisogna rispettare quello che hai ascoltato e capito. Non puoi prendere la matita e imporre un’idea, perché Sazan ti dice cosa vuole diventare quando respiri la sua brezza e percorri le sue valli. Per questo abbiamo messo in piedi una squadra con i migliori professionisti del mondo, architetti, designer, geologi, botanici e ingegneri. Chiunque può avere un design di lusso e una cucina eccezionale, ma noi vogliamo offrire un’esperienza che potrebbe essere uscita dall’immaginazione di un bambino. Mi spiego?”.

Una statua di Scanderbeg a Elbasan, Albania, maggio 2024 (Alessandro Cosmelli)

Le visioni del developer

Più ascolto Abehsera più mi sembra un alieno, proveniente da una realtà lontana anni luce. Mi pare d’avere quasi più affinità con il branzino. “Non saranno i tipici hotel di lusso, ma sarà come stare in un nido su un albero”, continua. “L’immersione nella natura sarà totale, ci si muoverà anche a cavallo. E poi conserveremo certi fabbricati, come il vecchio ospedale italiano, che diventerà il centro di una piazza mozzafiato. C’è un altopiano nella parte sud dove coltiveremo erbe aromatiche e verdure, per gli chef. Sarà il più bel posto del mondo dove passare l’estate, il tuo gioiello personale nel cuore del Mediterraneo. Sazan sarà la risposta a chi si chiede: cosa c’è che non ho ancora visto, cosa non ho ancora provato? Stiamo studiando come poter sfruttare sia l’alba sia il tramonto, le costruzioni saranno scolpite nell’ambiente, scavate nella roccia, come nelle antiche civiltà mediterranee o in Messico. Non si andrà oltre un piano, ovvio, al massimo due. Anche il concetto di hotel a Sazan sarà stravolto. Il tema principale ora sono le infrastrutture, quella cruda realtà che ti permette di creare arte. Stiamo trattando con il governo e lavorare con Edi Rama è fantastico, è come parlare con un artista! E poi è un grande narratore. Se l’Albania è la storia, lui è l’autore che la racconta in modo meraviglioso”.

“Ma in questo stupefacente concept è contemplata l’ipotesi che un comune mortale possa mettere il naso sulla vostra isola?”, chiedo.

“Ovvio”, risponde Abehsera, il fantasmagorico developer di Kushner e Ivanka. “Li ho visti anche oggi, gli escursionisti albanesi che si divertivano sulla spiaggia. Poi ho raccolto la loro spazzatura. Tutti potranno provare la magia dell’isola, gli hotel, i ristoranti, le spa”.

Kushner mi è sembrato assai più scettico: “Qui stiamo parlando di un livello molto, molto alto di ospitalità, uno dei punti di forza del progetto è proprio l’assoluta, totale privacy. Ma troveremo un modo di creare dei percorsi, delle aree apposite per questi visitatori”.

Penso al pomeriggio trascorso insieme al maggiore della marina Arbër Celaj. Mi aveva detto che fino a qualche anno fa capitava ogni tanto che un soldato di pattuglia segnalasse la presenza di un asinello grigio che appariva tra i fichi selvatici, in qualche radura o nella gola dell’Inferno e subito si dileguava. Chissà se è leggenda, chissà se l’asinello grigio è morto insieme al mistero di quest’isola, ultima fortezza della natura selvaggia nel Mediterraneo, infine conquistata senza un solo colpo di cannone. È bastato che Ivanka Trump scendesse dall’elicottero ed esclamasse: “Wow!”. ◆

Marzio G. Mian è un giornalista italiano. Il suo ultimo libro è Volga Blues. Viaggio nel cuore della Russia (Feltrinelli 2024).

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati