E se esistesse il gioco da tavolo perfetto? Una qualche combinazione di tabelloni, pezzi e regole – magari con qualche aggiunta ancora da inventare – che offra un’esperienza insuperabile, l’unico gioco da tavolo a cui chiunque vorrebbe giocare? È quello che pensano i fisici riguardo alla teoria del tutto, l’ipotetico quadro “finale” che spiegherebbe tutta la realtà in un colpo solo. L’obiettivo ultimo della fisica. Come ha scritto Stephen Hawking, trovarlo significherebbe conoscere “la mente di Dio”.
È una missione audace, tanto che alcuni la considerano utopistica. Ormai non c’è dubbio che scomporre la realtà in parti sempre più elementari non ha funzionato. Ma i potenziali vantaggi di una teoria definitiva sono così enormi che alcuni fisici rifiutano di arrendersi, e ora si stanno orientando verso un approccio radicalmente nuovo.
Dato che una teoria del tutto dovrebbe spiegare tutte le componenti della realtà, compresi lo spazio e il tempo, l’idea è che si debba partire da una premessa ancora più basilare. Per questo un’ondata di nuove teorie potenzialmente definitive non si fonda sulla fisica, ma sulla geometria astratta. E se la verità scientifica definitiva risiedesse nella matematica di un gioiello metafisico che calcola l’universo, o in uno scintillante arazzo di triangoli e tetraedri? Può sembrare stravagante, ma secondo Peter Woit, un matematico della Columbia university di New York, è del tutto sensato: “Le nostre migliori teorie sono già profondamente geometriche”, afferma. A onor del vero, la fisica ci ha già portato parecchio lontano. Se esaminiamo questa disciplina oggi, possiamo vedere una manciata di grandiose teorie che coprono una generosa fetta di realtà. La relatività generale di Albert Einstein spiega come gli oggetti massicci generano la gravità deformando lo spaziotempo. La teoria quantistica descrive in modo impeccabile il comportamento delle particelle più piccole. La cosmologia moderna offre un resoconto sull’origine dell’universo e sulla sua evoluzione. La termodinamica spiega come funzionano il calore, il lavoro e l’energia. Eppure sono tutti pilastri separati, ognuno dei quali si occupa di un solo aspetto della realtà. Sono i Monopoli e gli Scarabeo della fisica: ognuno di essi è meraviglioso in sé, ma non è il gioco perfetto.
Tanto per cominciare, una teoria del tutto raccoglierebbe quello che questi pilastri descrivono in un unico quadro coerente, e forse usando una sola equazione. Dovrebbe anche offrire spiegazioni sui problemi ancora aperti della fisica, come la materia oscura e l’energia oscura, due ingredienti che si pensa debbano esistere nell’universo, ma che dobbiamo ancora smascherare.
Riduzionismo o unificazione
Si potrebbe dire che la ricerca di una teoria simile sia cominciata 2.600 anni fa, quando il filosofo greco Talete di Mileto affermò che l’acqua è l’origine di tutto. Questo fu l’inizio di una tendenza che oggi chiamiamo riduzionismo e che mira a scoprire gli elementi basilari della realtà.
Abbiamo esplorato molecole, atomi, protoni e neutroni e alla fine abbiamo trovato i quark, i fantomatici componenti dei nuclei atomici. Tutto questo ha dato origine al “modello standard” della fisica delle particelle, la migliore, anche se incompleta, spiegazione della realtà, confermata nei decenni successivi da prove sperimentali. Forse, allora, per trovare una teoria del tutto bisognerebbe insistere con il riduzionismo.
In alternativa, forse la struttura definitiva della realtà può essere descritta solo grazie a un approccio chiamato unificazione. Lo sviluppo della fisica moderna può essere visto come una serie di casi in cui due fenomeni considerati diversi e separati si sono rivelati la stessa cosa. Magnetismo ed elettricità non sono cose diverse: sono entrambi spiegati dall’elettromagnetismo, come suggerì James Maxwell negli anni sessanta dell’ottocento. Nella nostra vita quotidiana, spazio e tempo sembrano separati, ma la grande svolta di Einstein è stata dimostrare che sono indissolubilmente legati nello spaziotempo, il tabellone su cui si gioca la realtà. Se portassimo l’unificazione alla sua logica conclusione, forse otterremmo la cosiddetta “teoria della grande unificazione”, che potrebbe non essere proprio una teoria del tutto – nel senso che forse non spiegherebbe alcune incognite come l’energia oscura – ma potrebbe avvicinarcisi.
Il problema della teoria delle stringhe è che non arriva a una descrizione unica dell’universo, bensì a 10500 possibilità diverse
A volte i due approcci possono combinarsi. La teoria delle stringhe, insieme alla sua progenitrice, la teoria M, è la candidata più nota al titolo di teoria finale. Forse è il massimo del riduzionismo, in quanto postula che la componente fondamentale della realtà non siano i quark, ma le stringhe unidimensionali.
Uno dei motivi per cui ha suscitato entusiasmo è che promette anche di condurci più avanti sulla strada verso l’unificazione. All’inizio del novecento i teorici delle stringhe scoprirono che le loro ipotesi portavano a una particella che sembrava creare una versione quantistica della gravità, suggerendo un modo per conciliare la relatività generale e la meccanica quantistica.
Ma la teoria delle stringhe non ha avuto il successo sperato. Il problema principale è che non arriva a una descrizione unica dell’universo, bensì a 10500 possibilità diverse: più opzioni di quanti atomi ci sono nell’universo. “Forse può essere una teoria del tutto, ma probabilmente è una teoria del troppo”, afferma il teorico delle stringhe David Berman della Queen Mary university di Londra.
Oggi i fisici credono di dover affrontare l’impresa in modo diverso. E poiché una teoria finale deve spiegare le componenti fondamentali della realtà, inclusi lo spazio, il tempo e tutto ciò che contengono, oltre al modo in cui si relazionano tra loro, alcuni ritengono che sarebbe naturale cominciare da un punto ancora più basilare: la geometria.
La geometria, dopotutto, è lo studio delle relazioni tra linee, superfici e angoli. Le loro relazioni non devono necessariamente esistere in uno spazio fisico. Possono essere del tutto astratte. Se stiamo cercando il punto di partenza più semplice possibile per spiegare tutto, questo è un buon candidato.
Un’esplorazione della geometria astratta che potrebbe condurci a una teoria finale ha la forma di un oggetto matematico sbalorditivo noto come amplituedro, che sembra descrivere una parte considerevole della fisica delle particelle fondamentali. Immaginatelo come una pietra preziosa dalle molte sfaccettature. Nel caso di un vero gioiello, la luce bianca entra e la geometria della sorgente luminosa, della struttura cristallina e dell’osservatore si combinano per dare vita a colori, riflessi e scintillii. Nell’amplituedro, immaginate che la luce entri sotto forma della matematica che descrive una particella. Quello che emerge è la matematica che descrive le cose che succederebbero a quella particella, per esempio se dovesse scontrarsi con un altro oggetto. “La teoria dell’amplituedro riformula le leggi fondamentali della natura usando un linguaggio geometrico”, spiega Jaroslav Trnka dell’università della California a Davis, che ha proposto l’idea circa dieci anni fa con Nima Arkani-Hamed all’Institute of advanced study del New Jersey.
Quello che hanno scoperto è che usare la geometria permette di saltare gli estenuanti calcoli matematici della teoria quantistica dei campi, o Qft, che usa una serie di astrazioni matematiche per prevedere quali particelle fondamentali esistono e come si comportano. A volte i calcoli sono troppo complessi anche per i supercomputer a disposizione dei migliori fisici del mondo. L’amplituedro aggira il problema perché si comporta come un computer: la sua geometria implica che ciò che entra viene elaborato come le informazioni all’interno di un calcolatore.
L’amplituedro non è una teoria del tutto: descrive solo una parte della fisica delle particelle già conosciuta. Ma è forte la tentazione di chiedersi se potrebbe condurci a qualcosa di più profondo. L’adozione di nuovi strumenti matematici è stata spesso fondamentale per arrivare a nuove intuizioni nel campo della fisica, dal calcolo che permise a Isaac Newton di descrivere i movimenti dei pianeti all’uso dei “gruppi di Lie” che hanno permesso a Murray Gell-Mann di predire l’esistenza dei quark. Trnka ritiene che l’approccio dell’amplituedro potrebbe portarci ancora oltre. “Si può ipotizzare che qualunque sia la teoria corretta del tutto, sarebbe naturalmente descritta nel linguaggio dell’amplituedro”.
Partire dalla geometria
Tuttavia anche l’amplituedro potrebbe non essere così fondamentale come sembra. È costruito a partire da diversi ingredienti geometrici, uno dei quali è chiamato twistor e guarda caso compare anche in un altro concorrente per la teoria del tutto.
Il twistor è stato ipotizzato per la prima volta alla fine degli anni sessanta dal matematico Roger Penrose, secondo cui avrebbe potuto aiutare a unificare la meccanica quantistica con la gravità. La sua teoria punta a codificare gli eventi dell’universo – una collisione di particelle, per esempio – come twistor, le cui interazioni producono la fisica che osserviamo. Ma i twistor possono essere scomposti in oggetti chiamati spinori, che sono di due tipi: destri e sinistri.
Woit sta usando gli spinori e i twistor per gettare quelle che spera siano le basi di una teoria del tutto. Descrive lo spazio e il tempo usando i vettori, cioè le istruzioni matematiche per spostarsi tra due punti nello spazio e nel tempo, che sono il prodotto di due spinori. “Convenzionalmente si pensa che i vettori spaziotemporali siano il prodotto di uno spinore destro e uno sinistro”, dice Woit. Ma ora sostiene di aver capito come creare lo spaziotempo da due copie di spinori destri.
La bellezza di questo, dice Woit, è che lo “ spaziotempo destro” lascia gli spinori sinistri liberi di creare la fisica delle particelle. Nella teoria quantistica dei campi, gli spinori sono usati per descrivere i fermioni, le particelle della materia comune. Quindi le intuizioni di Woit potrebbero portare a formulare leggi che descrivono la sacra trinità costituita da spazio, tempo e materia.
L’idea ha entusiasmato Woit. Ha passato la maggior parte della sua carriera a inseguire altre ipotesi, rimanendo sempre deluso. “Ma più la esaminavo, più la teoria dei twistor stava in piedi”, dice. Non è che Woit creda di aver necessariamente trovato tutte le risposte. Ma, dice, è bello sapere che dopo tutti questi anni di ricerca possono ancora aprirsi nuove possibilità. E secondo lui deve esserci una teoria migliore, se non perfetta, che affronti certi punti critici come quello della materia oscura.
Berman ritiene che la teoria delle stringhe sia ancora la candidata migliore. Ma aggiunge che c’è spazio per altre teorie e che dovremmo incoraggiarle: “Non dobbiamo certo ostacolarci a vicenda”.
Parte del problema è che queste idee sono così complesse che per gli altri – anche per chi lavora su teorie del tutto alternative – è difficile apprezzarne le potenzialità. È difficile anche testarle. Inoltre, ci si chiede se sia ragionevole pensare che l’universo possa essere spiegato con un unico principio o addirittura con un unico insieme di equazioni. “La teoria del tutto è solo un’idea”, afferma Renate Loll della Radboud university, nei Paesi Bassi. “Potrebbe non essere il modo giusto di pensare alle teorie fisiche. Può darsi che non siamo in grado di trovare una formula magica da cui consegue tutto il resto”.
Nonostante questo, Loll ritiene che valga la pena cercare modi nuovi e ambiziosi per descrivere l’universo. Il suo approccio, anch’esso basato sulla geometria, è chiamato triangolazione dinamica causale, o Cdt, e parte da forme semplici. Proprio come pentagoni ed esagoni possono essere uniti insieme per formare un pallone da calcio, Loll collega triangoli e tetraedri per creare una superficie con una curvatura che imita lo spaziotempo di Einstein. La integra con uno schema matematico che attribuisce una chiara struttura di causa-effetto agli eventi che si verificano nel suo spaziotempo per riflettere la causalità che vediamo all’opera nel nostro universo. Si potrebbe dire che è un altro modo per realizzare il tabellone e il libretto di istruzioni del gioco della realtà.
La struttura di Loll può diventare molto più sofisticata. Usando un insieme di molti strati di spaziotempo invece di uno solo, può ricreare alcune caratteristiche della teoria quantistica, il che è incoraggiante. E, anche se l’idea è appena sbocciata, Loll ritiene che ci sarà modo di metterla alla prova con esperimenti reali legati alle radiazioni residue del big bang.
Segnali promettenti
Questa verificabilità è importante, afferma il matematico danese Jesper Moller Grimstrup. Il suo approccio a una teoria finale, sviluppato con Johannes Aastrup dell’università di Hannover, in Germania, è chiamato diffeomorfismo di olonomia quantistica (Qhd).
Mentre altri sono partiti da forme più o meno elaborate, Grimstrup e Aastrup partono nel modo più astratto possibile, dall’algebra pura. Il Qhd codifica alcune caratteristiche di base dello spazio vuoto ordinario in un insieme di operazioni matematiche. Grimstrup e Aastrup deducono quindi dall’algebra uno “spazio di configurazione”. Questo spazio, che ha un numero infinito di dimensioni, contiene tutti i diversi modi in cui un oggetto – Grimstrup lo chiama “roba” – può essere spostato nello spazio. Gli spazi di configurazione non sono un’idea nuova, rientrano negli standard nella teoria quantistica dei campi. “La novità del nostro approccio consiste nel modo in cui consideriamo la geometria”, afferma Grimstrup.
I due sono partiti da un loro spazio di configurazione, che è una descrizione dello spaziotempo. Ma mentre ne analizzavano la matematica, hanno trovato le tracce dei fermioni codificate all’interno della geometria. “Semplicemente considerando la geometria di quello spazio, otteniamo gli elementi costitutivi sia della relatività generale sia della teoria quantistica dei campi”, spiega Grimstrup.
Forse ancora più affascinante è il fatto che emerge anche qualcosa di simile alla visione della gravità di Einstein. “La gravità non svolge alcun ruolo nella nostra costruzione, ma emerge da essa”, afferma Grimstrup. Non è ancora chiaro se questa sia effettivamente la relatività generale. “Vediamo segnali promettenti, ma dobbiamo verificare alcune cose”.
In sostanza, i due partono dalla matematica dello spazio vuoto e vedono emergere gli elementi costitutivi di due pilastri della fisica, la teoria quantistica dei campi e la relatività generale. Il loro schema non è una teoria definitiva, ma almeno ha le caratteristiche necessarie.
La possibilità di testare queste idee è ancora molto lontana, dice Grimstrup, ma non inconcepibile. Uno dei motivi del suo ottimismo è che la geometria Qhd dà origine a un fenomeno chiamato regolarizzazione ultravioletta dinamica. Questo si manifesta come qualcosa che, in condizioni di energia molto alta come quelle nei buchi neri, lavora contro la gravità. Questa forza simile a un’antigravità può spiegare l’energia oscura che sta accelerando l’espansione dell’universo? “Non abbiamo ancora indagato, ma non posso fare a meno di chiedermelo”, dice Grimstrup.
Siamo ancora alla speculazione. Ma se Woit, che è da tempo considerato un ipercinico, ha ritrovato l’entusiasmo, forse tutto può succedere. “Ho passato gran parte della mia vita a dire che non avevo un’idea convincente e che non conoscevo nessuno che ce l’avesse”, dice. “Ma ora sto mandando email alla gente dicendo ‘Ho avuto una grande idea’”.
Woit riconosce una certa arroganza nel pensare che forse, dopo tanti millenni, potremmo finalmente aver risolto i misteri dell’universo: “Forse sono solo diventato vecchio e ho perso la testa”. ◆ bt
◆ Un gruppo di scienziati ha messo a punto una tecnica per misurare la gravità degli oggetti microscopici. Sospendendo magneticamente una particella di 0,43 milligrammi a una temperatura appena superiore alla zero assoluto, sono riusciti a rilevare un’attrazione di trenta attonewton, il dato più basso mai registrato. Nei prossimi esperimenti cercheranno di applicare questa tecnica a particelle ancora più piccole. Secondo i ricercatori osservare il comportamento della gravità, che obbedisce alla relatività generale, alla scala microscopica influenzata dalla meccanica quantistica potrebbe aprire la strada all’unificazione delle due teorie. Lo studio è stato pubblicato su Science Advances.
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati