A volte mi chiedo perché abbiamo un gatto. L’ultima volta è stata poco tempo fa, quando Peggy è saltata su un comò e ha fatto cadere un vaso di ceramica riducendolo in mille pezzi. Quando leggerete quest’articolo, avrà già combinato qualche altro guaio che mi avrà fatto mettere in discussione la mia scelta di avere un gatto come animale domestico. A differenza dei cani, che dipendono da noi per tutto, compreso il loro benessere emotivo, i gatti sembrano dei sociopatici. La maggior parte dei padroni di gatti (sempre che “padroni” sia la parola giusta) ha il sospetto che, se non fossimo più capaci di aprire le loro scatolette di carne o le buste di croccantini, ci abbandonerebbero. Ogni tanto Peggy si avvicina per farsi coccolare, ma forse cerca solo un po’ di calore. Anche se i gatti vivono tra le persone da millenni, non sappiamo se questo sia servito in qualche modo ad addomesticarli.

Ma forse ci siamo fatti solo un’idea sbagliata. Rispetto ai cani, i gatti si esprimono in modo più ambiguo, quindi spesso non capiamo il loro comportamento. Ma, stando ad alcuni esperimenti, potrebbero essere socialmente più capaci di quanto pensiamo e più in sintonia con gli esseri umani che gli sono familiari. Inoltre, dalle indagini genetiche sta cominciando a emergere quanto sono realmente addomesticati. I risultati potrebbero farvi vedere il vostro micio sotto una luce del tutto nuova.

Ranst, Belgio, 28 marzo 2020 (Nick Hannes, Panos/Parallelozero)

Cani e gatti sono gli animali domestici più popolari al mondo, eppure si comportano con noi in modo molto diverso. Quando torniamo a casa, i cani si precipitano entusiasti alla porta d’ingresso, mentre i gatti appaiono distaccati e indifferenti. La storia di come queste specie sono arrivate a vivere insieme agli esseri umani suggerisce alcune risposte sui motivi di una simile differenza.

Tanto per cominciare gli antenati selvatici dei gatti erano abbastanza solitari, mentre i cani discendono dai lupi, che sono creature molto sociali. I felini sembrano aver cominciato il percorso verso l’addomesticamento circa diecimila anni fa nel Mediterraneo orientale, il cosiddetto Vicino oriente. Tra le testimonianze archeologiche ce n’è una segnalata in un rapporto del 2004 secondo cui sull’isola di Cipro, in una tomba risalente a 9.500 anni fa, un gatto era stato sepolto insieme a una persona. Quest’antico legame tra il felino e l’essere umano è supportato da prove genetiche sempre più numerose. Leslie A. Lyons dell’università del Missouri, negli Stati Uniti, raccoglie dna dei gatti da una trentina d’anni e ha scoperto una serie di marcatori genetici utili a capire la loro evoluzione. “Alla fine la storia è sempre la stessa”, dice Lyons. Nel 2008 i suoi collaboratori hanno studiato i campioni di dna di 1.100 gatti provenienti dai cinque continenti. “La diversità più alta tende a essere nel Vicino oriente”, questo significa che la popolazione viene da lì, afferma Lyons. Anche in uno studio condotto lo scorso novembre, la studiosa e i suoi colleghi hanno raccolto il dna di altri mille gatti e hanno scoperto che il Mediterraneo orientale è stato il luogo del loro addomesticamento.

Le orecchie e le code dei gatti si muovevano in modo diverso quando sentivano le registrazioni dei padroni che dicevano il loro nome

Il momento in cui è avvenuto è significativo. I gatti hanno cominciato a frequentare gli umani nel periodo in cui gli abitanti del Mediterraneo orientale hanno cominciato a coltivare, invece di cacciare e raccogliere. Il cambiamento nello stile di vita fece accumulare riserve di cereali come il grano. “E queste attirarono roditori e altri parassiti”, dice Danijela Popović dell’università di Varsavia, in Polonia. “L’aumento di roditori a sua volta attirò i gatti”. In altre parole, non c’è motivo di supporre che gli essere umani li abbiano intenzionalmente addomesticati. “I gatti scoprirono che si stava bene vicino alle persone perché lì c’era da mangiare”, dice Popović. “E le persone scoprirono che gli piaceva avere gatti intorno”. Semmai, i gatti si addomesticarono da soli.

Nel 2014 un gruppo in cui c’era anche Lyons ha descritto la prima sequenza completa del genoma di un felino domestico, ricavata da un gatto abissino chiamato Cinnamon (cannella). Rispetto a quelle dei gatti selvatici, diverse sezioni di questo genoma hanno dimostrato di essersi evolute per selezione naturale. Hanno mantenuto i geni coinvolti nel condizionamento della paura – la capacità di sviluppare reazioni a stimoli precedentemente considerati innocui – e il meccanismo della ricompensa. La transizione chiave sembra essere avvenuta quando alcuni gatti sono diventati più tolleranti nei confronti delle persone, forse perché erano più coraggiosi o meno spaventati. Quei gatti crescevano bene mangiando i topi, così l’evoluzione favorì i felini che avevano meno paura degli umani.

Voci e stereotipi

Con il passare del tempo il rapporto tra esseri umani e gatti è diventato più stretto. Nell’antico Egitto spesso i gatti venivano mummificati. Lyons e i suoi colleghi hanno usato il dna raccolto per dimostrare che erano già domestici, non selvatici. Più tardi, durante l’Impero romano, i gatti domestici si sparsero ovunque. In uno studio pubblicato a novembre del 2022, Popović e i suoi colleghi hanno trovato prove del fatto che ottomila anni fa i gatti selvatici africani potrebbero effettivamente essere arrivati fino in Polonia o forse essersi incrociati con i gatti eurasiatici, che di conseguenza hanno conservato parte del loro dna. Così si spiegherebbero i risultati di uno studio del 2018, secondo cui duemila anni prima dei romani i gatti dell’Europa centrale portavano già alcuni marcatori genetici trovati nei gatti domestici.

Gli antenati di questi erano gatti selvatici che qualcuno chiama africani e qualcun altro del Vicino oriente. La confusione nasce dal fatto che le varie specie e sottospecie di gatti selvatici in certa misura si incrociarono tutte. Questa libertà nell’accoppiamento è continuata fino ai nostri giorni. Solo negli ultimi duecento anni gli esseri umani hanno cominciato a fare allevamenti selettivi, di solito per riprodurre certi aspetti particolari, non per scopi pratici. Ma la maggior parte dei gatti si accoppia a suo piacimento, a differenza dei cani, che per secoli sono stati allevati selettivamente per scopi che vanno dalla caccia alla possibilità di portarli in una borsetta. A differenza dei cani, la maggior parte dei gatti esce ancora di casa e ha comportamenti naturali come andare a caccia. I gatti hanno un controllo notevole sulla loro routine quotidiana rispetto ad altri animali domestici. “Per questo diciamo che sono semiaddomesticati”, afferma Lyons. “Se li liberassimo, probabilmente se la caverebbero abbastanza bene, dando la caccia a uccelli, topi, ratti e lucertole”. Non hanno bisogno di essere in sintonia con gli umani.

Nonostante questo non resistiamo alla tentazione di antropomorfizzarli. Vi siete mai chiesti se siete i soli a parlare con il gatto con la stessa vocina acuta e gioiosa che usate per rivolgervi ai bambini piccoli? I padroni di cani parlano così con i loro animali domestici. In uno studio pubblicato nel 2022 Charlotte de Mouzon, dell’università di Parigi Nanterre, e i suoi colleghi hanno dimostrato che anche i proprietari di gatti lo fanno: “Abbiamo registrato gli esseri umani che parlavano con i loro gatti e lo facevano tutti”.

Akimasa Harada, Getty

Il legame con i gatti è un’illusione? Forse no. Uno studio approfondito del loro comportamento rivela che sono più in sintonia con noi di quanto pensiamo, e non solo per interesse. “Ci sono molti stereotipi a proposito del comportamento dei gatti”, afferma Kristyn Vitale dello Unity college nel Maine, negli Stati Uniti. “Ma molte ipotesi non sono confermate dalla scienza”. I gatti, per esempio, sanno quando stiamo parlando con loro. In uno studio dell’ottobre 2022 de Mouzon e i suoi colleghi hanno registrato i proprietari che parlavano ai gatti con una vocina acuta e poi in tono normale. Poi hanno registrato degli estranei che dicevano le stesse cose. Quando i gatti sentivano parlare i loro padroni, cambiavano comportamento: si guardavano intorno, si fermavano o muovevano le orecchie e la coda. Non reagivano nello stesso modo quando a parlare erano degli estranei. “Non considerano uguali tutti gli esseri umani”, dice de Mouzon. “Provano una sensazione speciale quando il padrone si rivolge a loro”.

Di recente un gruppo di ricercatori giapponesi ha fatto una serie di scoperte sorprendenti. Nel 2019, da una ricerca condotta da Atsuko Saito dell’università di Tokyo, in Giappone, è emerso che i gatti domestici riconoscono i loro nomi. Le orecchie e le code si muovevano in modo diverso quando sentivano le registrazioni dei padroni che pronunciavano il loro nome rispetto ad altre parole con un suono simile. Ma è probabile che il nostro animale domestico continuerà a ignorarci quando lo chiamiamo. “I gatti non si sono evoluti per rispondere ai segnali umani”, dice Saito. “Comunicano con le persone solo quando vogliono”.

Attaccamento emotivo

Altri studi hanno rivelato che i gatti sono in sintonia con i loro padroni in modi diversi. Nel 2021 un gruppo di ricerca giapponese, questa volta guidato da Saho Takagi dell’università di Kyoto, ha dimostrato che i gatti possono “mappare” mentalmente dove si trovano i loro padroni nella stanza solo ascoltandone la voce. Quando le voci registrate erano riprodotte da diversi altoparlanti, dando la sensazione che la persona si fosse teletrasportata da un lato all’altro della stanza, i gatti muovevano le orecchie e si guardavano intorno, all’apparenza sorpresi.

Da sapere
Perché i gatti amano le scatole

◆ Perché i felini, anche quelli grandi come le tigri, amano infilarsi nelle scatole? “È perfettamente sensato se si pensa al comportamento dei gatti”, dice Gabriella Smith del Messerli research institute di Vienna, in Austria. La scatola esercita una leggera pressione sui fianchi del gatto, simile forse alla sensazione che provava stringendosi con i compagni di cucciolata quando era piccolo. “Inoltre i gatti sono predatori che usano il metodo dell’imboscata”, dice. “Forse sono attratti dalle scatole perché ci si possono nascondere e saltar fuori all’improvviso per attaccare la preda”. Fino a qui, tutto torna. Ma perché ai gatti piace anche sedersi su pezzi di carta o superfici piane che sembrano delle scatole? È stato documentato su Twitter nel 2017, quando molti proprietari di gatti hanno tracciato dei quadrati sul pavimento e hanno visto i loro animali andare subito a sedercisi dentro. Quattro anni dopo, Smith e i suoi colleghi hanno pubblicato un esperimento confermando che i gatti si siedono anche in un quadrato di Kanizsa, costruito con quattro cerchi a ognuno dei quali è stato tolto un quarto e disposti in modo da creare l’illusione ottica che si tratti davvero di un quadrato. Non si sa perché. Secondo Charlotte de Mouzon, dell’università di Parigi Nanterre, potrebbe esserci una spiegazione prosaica: “Se c’è qualcosa di nuovo in casa, i gatti hanno bisogno di lasciarci il loro odore per marcare il territorio”, dice. Questo li aiuta a sentirsi sicuri nel loro ambiente. New Scientist


In un altro studio pubblicato online lo scorso settembre, de Mouzon e il suo collega Gérard Leboucher, dell’università di Parigi Nanterre, hanno scoperto che i gatti si avvicinavano più rapidamente se i ricercatori pronunciavano i loro nomi e gli tendevano la mano, rispetto a una sola di queste modalità di comunicazione. Una dimostrazione che sapevano integrare più segnali contemporaneamente. Inoltre Takagi e i suoi colleghi hanno scoperto che i gatti provano gelosia. Lo hanno verificato confrontando la reazione di un gatto quando il suo padrone accarezzava un gioco a forma di gatto ma con un aspetto realistico (un potenziale rivale) o un cuscino peloso.

Forse la prova più eclatante è quella di Vitale. In uno studio del 2017, lei e i suoi colleghi hanno presentato ai gatti una scelta tra quattro stimoli: cibo, giocattolo, profumo o interazione con un essere umano. Nella maggior parte dei casi gli animali preferivano le persone e mettevano il cibo al secondo posto.

Nel 2019 Vitale ha condotto un altro studio in cui ha esplorato l’attaccamento emotivo dei gatti ai loro proprietari. Si è servita di un test che, con alcune modifiche, è usato anche sui bambini appena nati. Settanta gattini di età compresa fra i tre e gli otto mesi erano portati uno alla volta dai loro proprietari in una stanza sconosciuta. Dopo due minuti, il padrone se ne andava e il gattino veniva lasciato solo per altri due minuti. Poi il padrone tornava e la maggior parte dei cuccioli – il 64 per cento – dava segni di attaccamento emotivo. Quando i proprietari rientravano, i gattini interagivano subito con loro e sembravano contenti di vederli. Poi, rassicurati, ricominciavano a esplorare la stanza. Il comportamento rispecchia quello dei neonati che hanno un rapporto solido con i genitori o con chi li assiste. “I gatti vedono chi si occupa di loro come una fonte di conforto e sicurezza”, afferma Vitale. “Lo studio dimostra che possono stringere legami forti con gli esseri umani”.

A quanto sembra, abbiamo frainteso i nostri gatti. L’equivoco è in parte dovuto al fatto che non vediamo grandi gesti dimostrativi come quelli dei cani: “Sono animali molto più riservati”, spiega de Mouzon. Non hanno i muscoli per alzare le sopracciglia e fare gli occhi dolci, per esempio. Ma le prove accumulate negli ultimi dieci anni dimostrano che, nonostante le apparenze, i gatti hanno sviluppato molte abilità sociali per potersi muovere in un mondo incentrato sull’essere umano.

Mi chiedo se i gatti stiano cambiando. Visto che trascorrono più tempo in case di città e meno ore all’aperto forse stanno diventando gradualmente più addomesticati. Purtroppo al momento non c’è modo di stabilirlo. Nel medioevo (secondo una recente analisi dei manoscritti dell’epoca, i gatti in quegli anni avevano un ruolo centrale nella vita quotidiana) nessuno conduceva test comportamentali su questi animali. E non abbiamo ancora una serie temporale di dna di esemplari vissuti in secoli diversi per capire se sono ancora in evoluzione. Ma è chiaro che i gatti, come la mia Peggy, sono affezionati ai loro padroni umani. Mentre butto i cocci del vaso che ha rotto, saperlo mi conforta.◆ bt

Esperimenti
Alcuni test da fare con i gatti

Il gatto conosce il suo nome? Chiamatelo e confrontate la sua reazione rispetto a quando dite un’altra parola con lo stesso tono di voce. Se il gatto conosce il suo nome, dovrebbe muovere le orecchie, la testa o la coda più frequentemente o emettere un suono anche lui.

Sa leggere il vostro sguardo? Mettete qualcosa da mangiare in una di due ciotole che sono in luoghi diversi. Attirate l’attenzione del gatto chiamandolo, quindi volgete lo sguardo verso la ciotola piena. Negli esperimenti, i gatti hanno seguito lo sguardo fino alla ciotola corretta il 70 per cento delle volte.

Si lascia ingannare da un’illusione ottica? Create l’illusione di un quadrato (nota come illusione di Kanizsa) tagliando via un quarto di quattro dischi neri e disponendoli a forma di quadrato. Molti gatti abboccano al trucco e vanno a sedersi sul quadrato illusorio.

New Scientist


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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati