Per settimane siamo stati sicuri che l’esito delle elezioni legislative del 15 ottobre sarebbe stato deciso al photo finish. Oggi sappiamo che l’opposizione guidata da Donald Tusk (il suo partito, Coalizione civica, Ko, più la sinistra di Lewica e l’alleanza moderata di centrodestra Terza via) ha raccolto circa trenta seggi in più di un’eventuale coalizione tra gli ultraconservatori di Diritto e giustizia (Pis, al governo dal 2015) e l’estrema destra di Konfederacja. Il leader di questo partito, Sła­wo­mir Mentzen, ha riconosciuto la sconfitta, come ha fatto, a denti stretti, anche Jarosław Kaczyński, alla guida del Pis. Tuttavia il premier Mateusz Morawiecki ha annunciato che Diritto e giustizia cercherà comunque di formare un governo. Il presidente della repubblica, Andrzej Duda, anche lui del Pis, potrebbe infatti dare l’incarico a una figura indicata dalla leadership del suo partito, che – per quanto ridimensionato – è risultato il più votato. Kaczyński ha quattordici giorni dalla data del voto per mettere insieme una coalizione che abbia la maggioranza in parlamento. È evidente che non ce la farà, ma in questo modo il Pis avrà almeno un mese per cancellare le tracce del suo operato e garantirsi un’uscita di scena senza traumi.

La vittoria è stata decisa da uno scontro tra due fazioni: quella di chi si è arreso e quella di chi, nonostante tutto, è riuscito a conservare la speranza. Per essere più precisi, la lotta è stata tra quelli convinti che ci si possa occupare, insieme e seriamente, dei problemi della Polonia e del mondo e quelli per i quali la soluzione migliore è delegare tutto a un partito che “ruba, certo, ma poi almeno condivide la ricchezza”. Naturalmente tra i sostenitori delle due fazioni ci sono anche persone con idee diverse: per esempio c’è chi è convinto che il Pis difenderà la Polonia dai flagelli del mondo contemporaneo, aiutandola a recuperare il ritardo economico nei confronti della Germania, e chi interpreta la sconfitta del partito di Kaczyński come un ritorno alla normalità.

Di sicuro non saranno gli elettori più fanatici (in maggioranza nelle file del Pis) a decidere chi governerà, per quanto il partito, alimentando l’odio con una campagna elettorale molto aggressiva, abbia fatto di tutto per spingere soprattutto loro ad andare a votare. Ci si aspettava che gli indecisi restassero a casa, spaventati o disgustati dai toni fascistoidi e dalla cacofonia di insulti della campagna elettorale. Fortunatamente non lo hanno fatto. Anzi, sono andati a votare così numerosi come non era mai successo nella terza repubblica polacca, cioè dal 1989: l’affluenza è stata del 74,4 per cento. Solo nelle elezioni del 1919 ci furono più votanti.

Un’alternativa

Questa campagna elettorale è stata segnata da momenti e argomenti davvero odiosi. Penso a come il Pis ha agitato cinicamente lo spauracchio dei migranti alle frontiere polacche. Ci sono stati episodi imbarazzanti, come le pseudo-domande negli pseudo-dibattiti organizzati dalla tv di stato, ormai diventata tv di partito. Ma ci sono state anche situazioni confortanti: per esempio quando alla manifestazione dell’opposizione del 1 ottobre uno dei leader di Lewica, Włodzimierz Czarzasty, ha tenuto il miglior discorso della sua carriera e Tusk ha mandato i suoi saluti ai lea­der (assenti in quell’occasione) della coalizione Terza via, o quando abbiamo visto l’affluenza al voto schizzare alle stelle.

Ci sarà tempo per analizzare la campagna elettorale, gli errori commessi e i motivi che hanno portato al successo dell’opposizione; sicuramente questi ultimi avranno molti padri e molte madri, a differenza della sconfitta, che è sempre orfana. Per il momento, mi permetto di indicare intuitivamente un punto di svolta: mi riferisco al momento in cui l’opposizione ha proposto un patto informale di non aggressione tra tutte le forze democratiche. È stato in quel momento che gli elettori hanno visto delinearsi tre cose. In primo luogo hanno capito che la diversità è una ricchezza tra cui scegliere e non uno strumento di divisione ed esclusione. In secondo luogo, è diventato chiaro che nell’opposizione ci sono forze capaci di lavorare insieme senza perdere la propria identità e a prescindere dalle differenze esistenti. Infine, hanno capito che i leader dell’opposizione, pur occupandosi dei propri interessi, sanno di essere sulla stessa barca della maggioranza dei polacchi. In breve, nelle ultime settimane moltissime persone hanno capito che c’era qualcuno o qualcosa per cui votare.

Da sapere
Il nuovo parlamento
I risultati delle elezioni legislative in Polonia del 15 ottobre 2023; seggi del sejm, la camera bassa del parlamento polacco (Fonte: Gazeta Wyborcza)

Sul piano economico, un ipotetico governo formato dai partiti finora all’opposizione dovrà affrontare le difficoltà più gravi dalla transizione degli anni novanta; sul piano politico, invece, l’unico paragone possibile è con il governo di Mieczysław Rakowski, in carica nel complicato periodo a cavallo tra il 1988 e il 1989. Anche se oggi i problemi sono diversi, non sono meno gravi: il clima d’incertezza (anche solo per i continui rincari dell’energia), l’inflazione, la mancanza di chiarezza sulle finanze pubbliche, il collasso di diversi settori del servizio pubblico, il problema demografico, le guerre alle porte dell’Europa, la crisi climatica, le migrazioni.

Un governo di coalizione guidato da Piattaforma civica dovrà inoltre fare i conti con un’opposizione incivile e chiusa al dialogo, che in questi anni ha politicizzato diverse cariche istituzionali, dalla presidenza della repubblica alla corte costituzionale fino alla banca nazionale. Ci vorrà tempo per capire non solo come sistemare lo stato e affrontare le sfide della civiltà, ma anche come assicurare la stabilità di una coalizione di governo che inevitabilmente subirà pressioni da ogni parte. Tuttavia, oggi i polacchi hanno il diritto di rallegrarsi. Nella disgraziata politica del paese finalmente sono riusciti a fare qualcosa di buono. Sappiamo che la democrazia è viva e vegeta e funziona, anche se molti volevano affossarla, imbavagliarla e renderla odiosa. La cosa più importante è che i polacchi si sono ripresi il diritto di continuare a sperare. ◆ dp

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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati