La contea di Karawang, a una novantina di minuti da Jakarta, è stata per decenni un importante snodo nel settore automobilistico indonesiano, sede di fabbriche di aziende come la Yamaha e la Toyota. E dal luglio 2024 ospita il primo impianto per la produzione di batterie per veicoli elettrici dell’Asia sudorientale.

Realizzata grazie a una partnership tra le coreane Hyundai motor e Lg energy e l’azienda statale Indonesia battery corporation, la fabbrica può produrre batterie sufficienti ad alimentare 150mila veicoli elettrici all’anno. L’impianto è una tappa cruciale per le ambizioni di Jakarta di diventare entro il 2027 uno dei centri per la produzione di veicoli elettrici nella regione e uno dei leader mondiali nella produzione di batterie. Il paese detiene quasi la metà della produzione mondiale di nichel, un minerale fondamentale per la produzione delle batterie, e nel 2020 ne ha vietato l’esportazione per stimolare la produzione interna e attirare investitori globali disposti a produrre nel paese.

Un certo scetticismo

L’ambizione di Jakarta rischia però di rimanere un sogno irraggiungibile perché gli investitori mantengono un certo scetticismo a causa di vari problemi, tra cui lo scarso rispetto degli standard in materia ambientale e di diritti dei lavoratori, il coinvolgimento della Cina nel settore del nichel, una bassa domanda interna di veicoli elettrici e uno spostamento globale verso batterie senza nichel. “Il governo indonesiano sta corteggiando diversi paesi, ma gli Stati Uniti e l’Europa in genere richiedono il rispetto di criteri ambientali, sociali e di governance più rigidi”, dice Tenny Kristiana, ricercatrice dell’International council on clean transportation.

Gli investitori e le aziende cinesi controllano quasi il 90 per cento delle miniere e delle raffinerie del minerale in Indonesia. Il loro coinvolgimento però è andato a scapito dei controlli ambientali, riferisce Kevin O’Rourke, che analizza gli sviluppi politici con un impatto sugli investitori stranieri per l’azienda di consulenza Reformasi information services. Negli ultimi anni in Indonesia ci sono state esplosioni e incidenti in miniere e fonderie in cui sono morte decine di lavoratori, eventi che hanno fatto aumentare l’attenzione per la sicurezza. “Gli investitori cinesi hanno legami forti con il governo di Jakarta”, spiega Djoko Widajatno Soewanto dell’Indonesia nickel miners association. A causa del coinvolgimento delle aziende cinesi l’Indonesia non può ricevere investimenti statunitensi, che le permetterebbero di vendere i suoi prodotti a prezzi competitivi negli Stati Uniti, il mercato in più forte crescita per i veicoli elettrici.

La dipendenza dell’Indonesia dalle batterie prodotte in Cina, inoltre, sembra destinata ad aumentare. Bayu Yudhi Hermawan, vicepresidente dell’Indonesia battery corporation, dice che l’azienda statale è in trattativa con la cinese Contemporary amperex technology per la creazione di un impianto per la produzione di batterie al nichel nel paese. In Indonesia circolano pochi veicoli elettrici – nel 2024 sono stati il 5 per cento delle vendite totali di auto – e questo rende il mercato interno poco attraente, “insufficiente a giustificare la spesa degli impianti di produzione”, spiega O’Rourke. “Se si tratta di produrre per l’esportazione, è molto meglio farlo in Cina. C’è una forza lavoro più qualificata e un ecosistema che la supporta”.

A livello globale, inoltre, la tecnologia delle batterie ha cominciato a spostarsi verso quelle senza nichel. Negli ultimi cinque anni le batterie al litio-ferro-fosfato – più sicure e con un ciclo di vita più lungo a un prezzo più conveniente – sono passate da una quota marginale del settore a coprire più del 40 per cento della domanda globale di veicoli elettrici in termini di capacità nel 2023, più del doppio rispetto al 2020. Nel 2023, inoltre, il prezzo del nichel è crollato del 45 per cento per l’offerta in eccesso del minerale, dovuta in parte alla crescente popolarità delle batterie al litio-ferro-fosfato. Per rilanciare il prezzo del nichel, l’Indonesia starebbe pensando di ridimensionare drasticamente le attività estrattive, con il rischio, però, di destabilizzare l’industria e “provocare licenziamenti”, avverte Djoko. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati