Un bilancio delle vittime altissimo. Immagini e video del caos e delle sofferenze postate sui social network. Un flusso continuo di informazioni. Migliaia di testimoni e di operatori del pronto soccorso, e molte più persone che hanno sentito i loro racconti e hanno pianto con loro. I sudcoreani sono annichiliti dalla tragedia del 29 ottobre, quando nella calca dei festeggiamenti di halloween sono morte almeno 156 persone e 151 sono rimaste ferite. Il paese ha appena cominciato ad affrontare un trauma collettivo.
Si stima che fossero decine di migliaia le ragazze e i ragazzi che quella notte erano andati a Itaewon, il quartiere di Seoul famoso per la sua vita notturna, a festeggiare halloween. Ammassati, sono rimasti intrappolati e sono morti schiacciati in un vicolo. Una tragedia i cui effetti, avvertono gli esperti, non si faranno sentire solo su chi era presente e sui loro cari. Nei forum online sono già comparsi post anonimi sui disturbi psicosomatici: tremori, nausea, incubi, stanchezza e pianto incontrollabile. Il governo coreano e gli operatori sanitari stanno mettendo in guardia la popolazione, suggerendo di seguire le notizie con cautela e di cercare sostegno psicologico. Ma in Corea del Sud malattia mentale e psichiatria sono ancora un tabù, un ennesimo ostacolo al processo di guarigione.
“Tutto è successo in un’area in cui le persone si sentono al sicuro: ci vanno per divertirsi, non pensano al pericolo. Per molti di loro sarà stato uno shock”, spiega Hye-sun Joo, direttore dell’Istituto coreano per l’educazione e la ricerca sui traumi. Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha annunciato un periodo di lutto nazionale in ricordo delle vittime. Le attività commerciali del quartiere hanno chiuso per tutta la settimana e l’area circostante è stata dichiarata zona interessata dal disastro.
Danni duraturi
La morte di tante ragazze e ragazzi ricorda il naufragio del traghetto Sewol nel 2014. In quell’occasione hanno perso la vita 304 persone, e per la maggior parte erano studenti in gita scolastica. Allora si diffuse la sensazione che le istituzioni e i leader del paese avessero tradito i più vulnerabili: i giovani. La tragedia di Itaewon, secondo Joo, potrebbe creare simili sentimenti di delusione e impotenza.
I social network sono più diffusi rispetto al 2014. È stato pressoché impossibile evitare le immagini e i video condivisi in tempo reale. Inoltre, mentre i mezzi d’informazione sudcoreani seguono regole molto rigide e hanno l’obbligo di sfocare le immagini sensibili, i post delle persone comuni erano senza filtri. “Guardandole può capitare di avvertire un’accelerazione del battito. Ci si chiede cosa abbia potuto provare chi quella notte era lì: cos’ha sentito, cos’ha pensato”, spiega Joo. “Proviamo solidarietà e paura per le vittime anche se non eravamo presenti. Per questo vedere gli eventi di quella notte può avere un impatto traumatico”.
Il 30 ottobre l’associazione coreana di neuropsichiatria ha diramato un comunicato che mette in guardia chi è in lutto, i feriti e i loro cari, i testimoni e il personale medico e d’emergenza intervenuto sui danni duraturi che avrà questa tragedia. L’incidente, si legge, ha scatenato un bisogno di supporto psicologico su vasta scala.
Il governo ha cominciato a offrire qualche risorsa. Il ministero della salute sudcoreano ha istituito un gruppo d’aiuto per circa mille persone tra familiari, testimoni e sopravvissuti. Ma il bisogno di sostegno sarà molto più diffuso. Nei giorni immediatamente successivi alla tragedia amici e familiari delle vittime hanno condiviso i loro ricordi in privato, confrontandosi e aiutandosi a vicenda. Il loro dolore e i loro traumi sono diventati di dominio pubblico.
La ricerca dei familiari
Molte persone si sono riunite in cerca d’informazioni in uno spazio pubblico del vicino quartiere di Hannam. Dopo aver comunicato i nomi dei dispersi, aspettavano aggirandosi con espressione cupa. Il 30 ottobre, verso l’ora di pranzo, una dopo l’altra le famiglie hanno ricevuto la notizia che chi stavano cercando era tra le vittime. La maggior parte dei presenti è uscita dal centro piangendo e urlando. Un anziano si è fermato a parlare mentre sua moglie e una donna più giovane correvano senza parole davanti a lui, tremando. “Abbiamo chiamato e siamo venuti da un villaggio lontano con la speranza di trovarli tra i feriti in ospedale”, ha detto riferendosi ai familiari di cui cercavano notizie. “Ma li abbiamo trovati tra i cadaveri”.
Un’altra donna è uscita a passo veloce dal centro infilandosi in un’auto. Prima di salire si è fermata, guardando i giornalisti con le lacrime agli occhi, ma non è riuscita a pronunciare nemmeno una parola. Un suo collega ha spiegato che era una dipendente dell’ufficio del presidente e che aveva lavorato tutta la notte per aiutare le famiglie a cercare notizie sui loro cari. Nel frattempo aveva scoperto che un suo familiare era tra le persone scomparse. Poi aveva saputo che quel ragazzo, uno studente delle scuole superiori, era morto.
Erano solo ragazzi
La notte del 29 ottobre un giovane travestito da Uomo ragno se ne stava seduto su un gradino. Era uno dei tanti che quella notte si erano accasciati nella zona di Itaewon con lo sguardo perso nel vuoto mentre attorno a loro si sentivano ancora le urla e i lamenti di testimoni e sopravvissuti. La musica continuava e alcuni partecipanti avanzavano incespicando avviliti sui marciapiedi.
Quando gli hanno chiesto di descrivere cos’era successo, il ragazzo in maschera si è bloccato e ha cominciato a tremare. Un nastro della polizia lo separava dal giornalista, che non è riuscito né a proseguire la conversazione né a consolarlo.
Yoon-sung Park, un ventiquattrenne del Texas che lavora per un’azienda tecnologica, era tra le persone che quella notte hanno prestato soccorso ai feriti. Li portava in luoghi meno affollati, dove potevano stendersi e ricevere cure mediche. “C’era gente per terra per quasi un chilometro, fino a laggiù”, racconta indicando in direzione della strada principale di Itaewon. La sera del 29, Park era con i suoi amici all’Atelier, un locale all’inizio della strada. Erano in vacanza. Seduto con una bottiglia d’acqua in un bar lì vicino, oggi sembra sotto shock. “Se fossimo rimasti lì, saremmo potuti morire”, dice.
Il 31 ottobre in molti si sono messi in coda davanti all’altare allestito di fronte alla sede del municipio di Seoul per omaggiare le vittime. Hanno deposto fiori e si sono inchinati. Un monaco buddista pregava, salmodiando e battendo su uno strumento di legno a forma di pesce, mentre gruppi di persone avanzavano lentamente. In una tenda lì accanto c’erano assistenti pronti a parlare con le persone in lutto. Due paraventi di plastica ne proteggevano la privacy mentre si distribuivano fiori all’ingresso. In piedi davanti a un monumento improvvisato fatto di fiori e bottiglie di alcol vuote addossato alla stazione di Itaewon, Lila Lee, un’artista canadese di cinquant’anni, racconta di aver percorso quei vicoli qualche ora prima della tragedia. “Non facevo altro che pensare ‘oh, i miei figli adorerebbero tutto questo’”, racconta, asciugandosi le lacrime. “Le vittime sono solo dei ragazzi. Non usate la parola ‘adulti’, perché non lo erano. Erano solo ragazze e ragazzi”.
Maryam Kaneko, un’operatrice sanitaria di venticinque anni che vive in Giappone, ha raccontato che dopo aver trascorso il fine settimana a guardare le orribili foto e i video, ha avuto bisogno di andare al memoriale per calmarsi. Aveva in programma di andare a Itaewon il 29 sera con i suoi amici, ma aveva disdetto perché si era ammalata. “Poteva succedere anche a me, poteva succedere a chiunque”, si sfoga. “Ho la pelle d’oca, da allora non riesco a dormire”. Anche se non ha assistito all’incidente di persona, potrebbe essere vittima del trauma collettivo. “Nei vagoni molto affollati ora non riesco a respirare. Mi prende il panico. Sono costretta a scendere”. ◆ gim
◆ La notte del 29 ottobre 2022 a Itaewon circa centomila persone hanno festeggiato il primo halloween senza le restrizioni imposte per contrastare la pandemia di covid-19. Il quartiere di Seoul, in prossimità di una base militare statunitense in dismissione, è stato tra i primi a introdurre la festività occidentale, sempre più diffusa tra i giovani. Lo scontro tra le folle che entravano dalle due estremità di un vicolo ha provocato almeno 156 morti e 151 feriti. La maggior parte delle vittime ha tra i venti e i trent’anni, due terzi sono ragazze. Almeno quindici le nazionalità coinvolte. Le critiche si sono concentrate sull’assenza di forze dell’ordine nell’area. La polizia ha ricevuto undici chiamate di emergenza quattro ore prima del disastro. Yonhap
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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati