Nelle dichiarazioni e nelle interviste rilasciate da quando hanno preso il potere a Kabul, le alte cariche dei taliban, non certo note per moderazione o pragmatismo, hanno adottato un tono sorprendentemente conciliante sulle questioni delle minoranze e dei diritti delle donne. Hanno pubblicato foto in cui fanno visita alle minoranze religiose, comprese le comunità sikh e sciite, e hanno rilasciato dichiarazioni in cui affermano che sotto il loro governo le donne potranno lavorare e ricevere un’istruzione superiore.
Queste dichiarazioni rassicuranti, dettate dal desiderio dei taliban di ottenere un riconoscimento internazionale, sono state di poco conforto per chi ricorda la storia del loro ultimo emirato. In quegli anni, dal 1996 al 2001, i taliban erano stati emarginati dalla comunità internazionale per il trattamento brutale riservato alle donne e alle minoranze, la distruzione di monumenti storici e l’ospitalità concessa ai gruppi terroristici. Nonostante le recenti allusioni a un loro cambiamento, il fatto che insistano nel dire che governeranno secondo la loro interpretazione della legge islamica ha ravvivato i timori sul tipo di ordine sociale che intendono imporre al paese e su come le donne e le minoranze vivranno sotto il loro dominio.

Ma gli interlocutori stranieri che hanno parlato con i leader taliban dicono che forse c’è l’opportunità di sfruttare il sincero desiderio di legittimazione internazionale del gruppo, nonché il loro bisogno di sostegno economico, per continuare a esercitare un’influenza sul futuro dell’Afghanistan. “C’è una contraddizione tra l’obiettivo dei taliban di essere riconosciuti e accettati dal resto del mondo, e quello di realizzare la loro idea di Islam”, dice un analista che è stato in contatto con i leader taliban e ha chiesto l’anonimato. “Non possono fare entrambe le cose e sanno che non possono governare l’Afghanistan senza il sostegno della comunità internazionale”.
Tuttavia, alcuni settori dell’establishment statunitense, infuriati per il ritorno al potere dei taliban e per il giudizio negativo che questo proietta sugli ultimi due decenni di tentativi di costruire una nazione, sembrano molto restii ad adottare un atteggiamento moderato. Finora il governo degli Stati Uniti ha congelato miliardi di dollari del governo afgano depositati in conti esteri, mentre il Regno Unito ha minacciato sanzioni economiche. Quand’era in carica l’ex presidente afgano Ashraf Ghani, fuggito negli Emirati Arabi Uniti durante la presa di Kabul, gli Stati Uniti inviavano ogni settimana valuta forte in Afghanistan per mandare avanti il paese. La scorsa settimana, a causa dell’instabilità che si è creata, gli aiuti non sono partiti. Non è chiaro se le autorità americane intendano continuare a erogare questi pagamenti ora che i taliban sono al potere. In una recente discussione sul futuro economico dell’Afghanistan, la studiosa della Brookings institution, Vanda Felbab-Brown, avvertiva che “se quel denaro non viene erogato, se smette di arrivare, un effetto economico abbastanza rapido sarà che i poveri avranno difficoltà a comprare da mangiare, a soddisfare le loro esigenze quotidiane”.

La popolazione afgana sembra correre ancora una volta il grave rischio di essere sacrificata alle priorità della politica estera. Ma gli esperti del paese che hanno avuto a che fare con i taliban dicono che limitarsi a rompere i rapporti o a usare sistemi coercitivi provocherà solo ulteriore caos. “Se si vogliono usare gli aiuti economici per condizionare le scelte dei taliban, è necessaria una chiara strategia diplomatica: minacciare di tagliarli prima ancora che si formi un governo non è il modo giusto. Le promesse di aiuto e riconoscimento dovrebbero essere usate per ottenere ulteriori concessioni su come governeranno”, dice Ashley Jackson, condirettrice del Centro per lo studio dei gruppi armati presso l’Overseas development institute e autrice di Negotiating survival. Civilian-insurgent relations in Afghanistan. “Si parla molto di come ‘mantenere i progressi fatti’ nello sviluppo del paese, ma la realtà è che nessuno potrà mantenerli se gli aiuti saranno tagliati. Questi progressi spariranno, e non saranno stati i taliban a eliminarli”.
Servizi di base
Oggi l’Afghanistan dipende economicamente dalla comunità internazionale per molti aspetti basilari. Da uno studio condotto dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel 2019 è emerso che l’80 per cento del sistema sanitario del paese è finanziato da donatori stranieri, e che sui donatori stranieri fa affidamento una percentuale altrettanto alta del bilancio nazionale. Alcuni ex funzionari del governo afgano ci hanno confermato che i taliban, ora che sono al potere, hanno urgente bisogno di finanziamenti esteri per continuare a fornire i servizi di base. “Se vogliono mantenere intatti l’attuale struttura del personale civile dello stato e servizi come sanità, istruzione e altri servizi di base, o se addirittura volessero espanderli e fornirne altri, avranno bisogno di aiuti internazionali. Il bilancio del governo all’inizio di quest’anno era di circa sei miliardi di dollari, non abbastanza per generare crescita economica e sviluppo”, dice Shah Zaman Farahi, che ha lavorato come economista al ministero delle finanze afgano fino al 2020. “I taliban non avranno bisogno solo di soldi per coprire il deficit, ma anche dell’esperienza tecnica di organizzazioni internazionali e di personale per la gestione amministrativa e lo sviluppo economico. In mancanza di queste due cose, la popolazione starà peggio e la loro strategia per conquistare il cuore e la mente delle persone fallirà”.
Pur osservando che più di dieci milioni di afgani si trovano in una situazione di insicurezza alimentare e che molti altri milioni sono sfollati interni, Farahi consiglia comunque di minacciare sanzioni e il ritiro degli aiuti per fare pressione sul governo taliban affinché modifichi il suo atteggiamento sui diritti umani, anche se nell’immediato si tradurrebbe in un peggioramento delle condizioni del paese. “Interrompere gli aiuti danneggerà la popolazione. È terribile, ma necessario”, dice Farahi. “Dobbiamo garantire i diritti fondamentali delle donne e i diritti umani di tutti prima di cedere”.
Sanzioni controproducenti
I taliban possono anche attingere a fondi dall’economia informale, le cui dimensioni non sono note con certezza ma che, secondo alcuni esperti, potrebbe fornire miliardi di dollari di entrate ogni anno. Tuttavia, le organizzazioni internazionali hanno avvertito che una brusca sospensione degli aiuti stranieri, per non parlare dell’imposizione di sanzioni, porterebbe a una catastrofe umanitaria, generando potenzialmente più radicalismo e un grande esodo di profughi. Organizzazioni come l’Unicef, presenti da molto tempo in Afghanistan, vorrebbero portare avanti i programmi avviati nel paese, compresa l’istruzione delle ragazze, e hanno accolto con favore certe dichiarazioni delle alte cariche taliban che fanno pensare che le loro operazioni non saranno interrotte.

◆ L’evacuazione degli stranieri e dei loro collaboratori afgani dall’aeroporto di Kabul è diventata una corsa contro il tempo dopo che il 24 agosto i taliban hanno intimato alle truppe occidentali di lasciare l’Afghanistan entro la fine del mese. Lo stesso giorno, al vertice G7 di Londra, il presidente statunitense Joe Biden ha confermato che il 31 agosto gli ultimi soldati statunitensi se ne andranno, nonostante le richieste di Regno Unito, Francia e Germania di posticipare il ritiro. Fino al 25 agosto sono state evacuate con ponti aerei 82.300 persone, ma i taliban hanno cominciato a fermare gli afgani diretti all’aeroporto. Il portavoce del gruppo, Zabihullah Mujahid, ha consigliato alle donne di rimanere in casa per il momento “perché molti combattenti sono nuovi e non sono addestrati a rispettarle”. Gli stipendi delle lavoratrici, ha aggiunto Mujahid, gli saranno consegnati a casa. “I taliban sono tornati al potere, è un’amara verità ma dobbiamo farci i conti”, ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel il 25 agosto aggiungendo: “Il nostro obiettivo è preservare il più possibile i cambiamenti ottenuti in questi vent’anni e di questo la comunità internazionale dovrà discutere con i taliban”. Il Washington Post ha rivelato che il 23 agosto il capo della Cia William Burns aveva incontrato il leader dei taliban Abdul Ghani Baradar.
“La questione degli aiuti umanitari è molto importante perché al momento ci sono enormi problemi di malnutrizione e di accesso all’assistenza sanitaria, e la popolazione dipende dall’assistenza straniera. Attualmente stiamo consigliando ai donatori di non tagliare gli aiuti, soprattutto perché più del 75 per cento del bilancio del governo precedente è stato finanziato con gli aiuti”, dice Heather Barr, condirettrice ad interim della Women’s rights division di Human rights watch. “Se tagliamo quegli aiuti, le persone che puniamo non sono i taliban. Per quanto riguarda aspetti come l’assistenza sanitaria, le donne afgane saranno quelle che ci rimetteranno di più”.
La Banca mondiale e l’Unione europea il 25 agosto hanno annunciato la sospensione degli aiuti a Kabul, come già aveva fatto il Fondo monetario internazionale, scrive il sito dell’emittente afgana Tolo News. Secondo Graeme Smith e David Mansfield, autori di uno studio sull’economia informale nel paese, i mezzi con cui di solito i regimi dispotici sono sottoposti alle pressioni internazionali – sanzioni e isolamento – nell’Afghanistan di oggi sarebbero meno efficaci. “Anche prima di prendere Kabul, i taliban avevano già conquistato la vera posta in palio: autostrade, ponti e passaggi pedonali strategici per gli scambi commerciali in Asia meridionale. Controllando questi snodi redditizi, e con vicini come Cina e Pakistan pronti a fare affari, i taliban sono al riparo dalle decisioni dei donatori”, scrivono sul New York Times i due esperti, che aggiungono: “Il traffico di oppio, hashish e metanfetamine non è il principale tipo di commercio sommerso: il denaro vero arriva dai movimenti illegali di merci ordinarie come carburante e beni di consumo”. Per esempio, nella provincia di Nimruz, al confine con l’Iran e con il Pakistan, le tasse informali (raccolte da personale armato per assicurare il passaggio sicuro delle merci) hanno fruttato 235 milioni di dollari in un anno, contro i 20 milioni di aiuti esteri che la provincia riceve. “Dopo la caduta di Kabul nelle mani dei taliban, il commercio tra Pakistan e Afghanistan ha avuto una crescita improvvisa”, scrive Dawn, che parla di un aumento significativo di traffico attraverso uno dei principali valichi tra i due paesi. Il quotidiano pachistano scrive anche che, su richiesta dei taliban, l’Iran ha ripreso le esportazioni di carburante verso l’Afghanistan, bloccate dal 6 agosto per motivi di sicurezza. Sotto il suolo afgano giace una riserva di litio del valore stimato di mille miliardi di dollari, ma decenni di guerre hanno impedito di estrarlo, scrive Al Jazeera. Con il ritiro degli Stati Uniti e la pacificazione del paese, la Cina potrebbe approfittarne
Durante i vent’anni di occupazione dell’Afghanistan, gli Stati Uniti hanno usato la difesa dei diritti delle donne come una delle principali giustificazioni per la loro presenza nel paese e la questione sta già emergendo come punto critico mentre i loro militari si ritirano. Anche se la condizione femminile nella maggior parte dell’Afghanistan non è molto cambiata in seguito alla presenza delle truppe straniere, in alcune città le donne hanno fatto progressi significativi che gli hanno permesso di partecipare alla vita civile. Il ritorno dei taliban segna un punto di svolta potenzialmente disastroso per la popolazione femminile urbana istruita. Nel tentativo di far dimenticare la loro reputazione di feroci misogini, oggi i leader taliban stanno cercando di proiettare un’immagine di sé riformista sia agli occhi degli afgani sia a quelli della comunità internazionale. Oltre alle dichiarazioni sul rispetto dei diritti delle donne, hanno pubblicato immagini di visite a dipendenti governative a cui chiedono di rimanere al loro posto. Per la prima volta, la scorsa settimana un funzionario taliban ha perfino rilasciato un’intervista a una giornalista della tv afgana. C’è motivo di essere scettici su quanto siano sincere queste rassicurazioni. Ma data la loro necessità di ottenere sostegno internazionale, si potrebbe usare un sistema che combina fiducia e verifiche per lavorare con i taliban in modo da preservare i limitati ma importanti risultati degli ultimi due decenni.
“Dobbiamo aspettare a giudicare cosa significano queste dichiarazioni dei taliban che vorrebbero tranquillizzare tutti. Se quanto dicono è vero e intendono adottare un atteggiamento moderato, è una buona notizia. Ma il loro comportamento fin qui è un buon motivo per non fidarsi”, dice Barr. “Il modo migliore per farci capire quanto sono sinceri è consentire alle ong e all’Onu di controllare quello che sta succedendo nel paese”. E, aggiunge Barr, “è importante che i donatori pensino a come possono fornire aiuti a un governo taliban, evitando di finanziare iniziative illecite o discriminatorie. È difficile, ma non credo sia impossibile. Prima del 2001 molte ong attive in Afghanistan hanno trovato il modo di farlo, lavorando con i leader taliban locali e convincendoli che non stavano facendo un lavoro politico ma cercavano solo di soddisfare i bisogni fondamentali delle persone”.
**Una grande responsabilità **
La rapidità dell’ascesa al potere dei taliban in Afghanistan ha sorpreso non solo la comunità internazionale e l’intelligence statunitense ma anche, secondo gli analisti in contatto con loro, gli stessi taliban, che si trovano improvvisamente in una posizione di grande responsabilità, con il serio problema di gestire gli affari di un paese impoverito, e per di più in pessimi rapporti con il mondo esterno. Le scene di persone disperate che tentano di fuggire a bordo di aerei militari statunitensi sottolineano quanto sia difficile la situazione. Evitare l’isolamento, far dimenticare la loro pessima reputazione e arginare la fuga di cervelli – una preoccupazione che i portavoce dei taliban hanno già sollevato in alcune interviste – non sarà facile.
Ashley Jackson, del Center for the study of armed groups dell’Overseas development institute, sostiene che le potenze occidentali dovrebbero adottare una politica di dialogo prudente con il nuovo governo, e osserva che prima che i taliban riprendessero il potere, le potenze straniere erano già disposte ad affrontarli pragmaticamente sul campo. Soprattutto, una politica di incentivi invece della pura coercizione potrebbe mitigare i danni per gli afgani, concedendo ai taliban una presenza sufficiente nel sistema internazionale per impedirgli di diventare ancora una volta una forza destabilizzante. “Non dico che è la soluzione ideale, ma in questo momento la cosa più importante è chiederci come aiutare al meglio queste persone che abbiamo abbandonato”, dice Jackson. “Se invece vogliamo salire in cattedra, benissimo. Ma così danneggeremo solo gli afgani e si ripeterà quello che è successo negli anni novanta”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1424 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati