Dopo l’uccisione di un venditore ambulante nigeriano disabile a Civitanova Marche, il Coordinamento antirazzista italiano ha lanciato un appello a politici e giornali perché dicano la verità sul razzismo e sull’abilismo (la discriminazione nei confronti delle persone disabili). Alika Ogorchukwu, un uomo di 39 anni con una moglie e un figlio, era diventato venditore ambulante dopo aver perso il lavoro come operaio a causa delle ferite riportate in un incidente stradale. Ogorchukwu stava lavorando per le strade della città del centro Italia quando, il 29 luglio, è stato picchiato con la sua stessa stampella. Il Coordinamento antirazzista italiano afferma che il modo in cui i mezzi d’informazione hanno raccontato l’omicidio era “intriso d’immagini coloniali e razziste”, per esempio nell’uso di termini come “l’ambulante”, “il nigeriano”, “il clandestino”.

Il video dell’aggressione mostra un uomo che lotta con Ogorchukwu e lo fa cadere sul marciapiede. L’aggressione, durata meno di quattro minuti, è stata ripresa da alcuni passanti. Si sente una voce gridare: “Così lo uccidi”. Secondo Matteo Luconi, dirigente della squadra mobile di Macerata, “i passanti hanno chiamato la polizia”, ma nessuno ha cercato d’intervenire. Le immagini sono state pubblicate sui social network e diffuse dai mezzi d’informazione, sconvolgendo il paese.

Un uomo italiano di 32 anni, Filippo Ferlazzo, è stato accusato di omicidio e furto. La stampa italiana ha scritto che Ferlazzo ha dato in escandescenze dopo che Ogorchukwu aveva cercato di vendere dei piccoli oggetti a lui e alla sua ragazza. Ferlazzo ha dichiarato di aver agito per difendersi e di aver creduto che Ogorchukwu fosse vivo dopo l’aggressione, e si è scusato con la famiglia della vittima tramite il suo avvocato. Mentre era in custodia, però, avrebbe cercato di giustificare le sue azioni sostenendo che Ogorchukwu aveva toccato il braccio della ragazza.

L’Europa dell’epoca coloniale era ossessionata dall’idea del desiderio incontrollabile dei neri per le donne bianche. Come ha scritto la studiosa Hazel Carby, “gli uomini bianchi usavano il possesso della donna bianca come un terreno su cui linciare il maschio nero”. Questo tipo di dinamiche di potere non appartiene al passato. Ancora oggi la presunta virtù delle donne bianche è spesso usata per giustificare l’oppressione di corpi razzializzati.

Dare un nome

Per arginare la narrazione distorta che sembra contaminare il modo in cui gli episodi razzisti sono raccontati in Italia, il Coordinamento antirazzista italiano, a cui aderiscono molte associazioni, ha inviato una lettera aperta alle istituzioni, alla stampa, alle associazioni femministe e queer, e ai sindacati. Il documento sottolinea come il dibattito pubblico non abbia analizzato l’omicidio da una prospettiva intersezionale, tenendo conto di genere, razza, classe e disabilità.

Angelica Pesarini, docente di studi razziali e culturali che ha lavorato al documento, mi ha detto: “L’eredità coloniale colpisce profondamente la nostra società, eppure sembra invisibile a tanti. È difficile discutere di questi temi, perché mostrano le fragilità e scatenano la negazione dei bianchi. L’Italia non è ancora in grado di affrontare e dare un nome al razzismo, come dimostra la mancanza di leggi e misure per contrastare la violenza razziale. Esiste l’idea che, in qualche modo, il razzismo non esista nel paese. Gli atti razzisti sono liquidati come ignoranza o il gesto di un singolo, trascurando completamente il loro carattere strutturale”. In altre parole, il razzismo in Italia non è considerato pervasivo, ma una serie di incidenti isolati. Questo potrebbe essere il motivo per cui nell’omicidio di Ogorchukwu non è stata ancora presa in considerazione l’aggravante del razzismo (secondo l’avvocata di Ferlazzo, lui “ha spiegato che l’aggressione non era a sfondo razziale”).

Chi insiste sul fatto che la morte di Ogorchukwu non sia stata motivata dal razzismo l’ha paragonata a un altro omicidio: Yuan Cheng Gau, un commerciante cinese di 56 anni ucciso da un migrante nigeriano il 30 luglio a Monteforte Irpino. Ma, secondo Jada Bai, scrittrice ed esperta di cultura cinese, “le due aggressioni sono diverse”. L’omicidio di Ogorchukwu riguarda “la supremazia bianca e il patriarcato”, mentre quello di Gau è legato “alla povertà e alla piccola criminalità”. Questo non significa che neanche l’ultimo sia un crimine d’odio, ma che nel primo la razza e la disabilità giocano un ruolo predominante. Se fosse riconosciuta l’aggravante razziale, non sarebbe una novità nelle Marche. A Macerata nel 2018 c’è stata una sparatoria contro immigrati africani. Luca Traini, candidato con la Lega in un’elezione locale del 2017, ha ferito sei persone. È stato condannato a dodici anni di carcere e la più alta corte italiana ha qualificato il suo gesto come crimine d’odio. Due anni prima, nel 2016, Emmanuel Chidi Namdi, un altro uomo nigeriano, è stato picchiato a morte a Fermo dopo aver cercato di difendere la moglie da insulti razzisti. L’aggravante del reato a sfondo razziale ha aggiunto tre mesi alla pena di Amedeo Mancini – il giudice aveva a disposizione cinque anni aggiuntivi – mentre l’attenuante della “provocazione” (Namdi aveva inizialmente reagito ai maltrattamenti subiti dalla moglie) è stata applicata appieno, riducendo di tre anni e cinque mesi la condanna finale. Mancini ha patteggiato quattro anni di arresti domiciliari, ma alla fine è uscito dopo meno di un anno per buona condotta.

In Italia il 25 settembre si vota e secondo i sondaggi il partito di estrema destra Fratelli d’Italia è il favorito. La coalizione tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia potrebbe vincere. Tra le sue priorità ci sono fermare l’immigrazione e ridurla a una questione di sicurezza nazionale. Il comunicato del Coordinamento antirazzista italiano, intitolato “Siamo ancora in piedi”, cita anche le norme nazionali che contribuiscono all’emarginazione e allo sfruttamento degli immigrati e dei loro figli: i partiti di destra si sono sempre opposti alla riforma della legge sulla cittadinanza, che considera stranieri i bambini nati da immigrati sul territorio italiano. Nel libro Razzisti per legge (Laterza 2012), Clelia Bartoli, docente di diritti umani all’università di Palermo, scrive: “Per determinare il razzismo di un’istituzione non è necessario che i funzionari abbiano pregiudizi e intenzioni oppressive né che sia coinvolta un’esplicita ideologia razzista. Basta che una certa legge, una politica o una pratica di fatto crei, perpetui o aggravi la disuguaglianza delle minoranze etniche, culturali, religiose o nazio­nali”. ◆ ff

Nadeesha Uyangoda è un’autrice italiana nata in Sri Lanka. Ha scritto il libro L’unica persona nera nella stanza (66thand2nd, 2021) e ha ideato il podcast Sulla razza. Collabora con Internazionale e dal 30 settembre al 2 ottobre sarà al festival di Internazionale a Ferrara.

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Questo articolo è uscito sul numero 1474 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati