Come si arriva a scrivere un libro? Soprattutto, è sempre necessario pubblicarlo? In un periodo in cui il mercato e lo spazio editoriale sono sempre più saturi di libri e delle persone che scrivono (libri, podcast, giornali, riviste, questa rubrica, per tradurre, per dirigere fiere o case editrici), trovo bello che un libraio di lungo corso faccia il suo esordio letterario, con l’idea di “fare manutenzione in vecchie vicende”. L’inventario della nostalgia è un’autobiografia che non si nasconde, e anche questa schiettezza mi piace. Comincia con la Roma degli anni sessanta, del boom economico, della dolce vita, che si prepara ai movimenti femministi. Il romanzo di Gizzi è un archivio di momenti, di nomi e luoghi che si alternano tra le pagine e, come può capitare in quei luoghi custodi della memoria collettiva, perdersi è facile. Perdersi è anche piacevole, ricco com’è di riferimenti culturali e citazioni, in cui il tempo della storia scorre davanti, quando non attraverso, il tempo personale. Ho sempre trovato il senso del tempo terribilmente ambiguo: circolare sul polso, lineare nella cronologia, parallelo in altri universi, ma ecco che un piccolo evento lo accelera o lo rallenta. A volte, come scrive Julian Barnes, il tempo sembra sparire. Gizzi lo ricerca nelle tasche, tra gli oggetti dimenticati, negli anfratti della memoria, per restituirlo a sé e a noi in questo libro. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati