Su ogni gradino che porta all’ufficio di Kang Dong-wan c’è scritto il nome di una città della Corea del Nord: Hyesan, Kaesong, Pyongyang. È il primo indizio del fascino che la dittatura comunista esercita su questo professore di scienze politiche dell’università Dong-a di Busan, in Corea del Sud. Dentro al suo studio c’è la conferma: quadri dallo stile ricercato, manifesti della propaganda, dischi, biscotti. Tutto porta la sigla Rpdc, Repubblica popolare democratica di Corea, il nome ufficiale della Corea del Nord. Al centro della stanza, una via di mezzo tra un mercatino delle pulci e un museo improvvisato, sono esposti gli oggetti dell’ultima ricerca di Kang: confezioni di succhi di frutta, tubetti di dentifricio e vestiti logori. Spazzatura, differenziata con cura e conservata in buste di plastica.
“Sono le ultime cose che ho trovato”, dice divertito Kang, 43 anni, agitando un sacco pieno di oggetti rovinati dal mare. Raccoglie gran parte di questi rifiuti sulle spiagge settentrionali della Corea del Sud. L’arcipelago di Yeonpyeong è uno dei posti migliori, da qui la Corea del Nord dista appena dieci chilometri e le sue coste si vedono a occhio nudo. “Ho raccolto quasi tremila oggetti diversi”, spiega aprendo un pacco che contiene il bottino della sua ultima spedizione. “Quanto e cosa si trova dipende dalle condizioni meteorologiche. Il vento deve soffiare nella direzione giusta, soprattutto d’inverno”.
L’idea di andare a pesca di rifiuti gli è venuta per mancanza di alternative. “Prima della pandemia lavoravo sulle frontiere russe e cinesi. Scattavo foto e incontravo i profughi”, spiega. “Ma le chiusure causate dal covid-19 mi hanno costretto a ripensare il mio modo di lavorare”. A maggior ragione dopo il 23 gennaio 2020, quando Pyongyang ha sbarrato le frontiere al mondo esterno, diventando un “regno eremita” a tutti gli effetti.
I controlli rafforzati, accompagnati dall’ordine di sparare a vista su chiunque tenti di attraversare il confine, hanno quasi azzerato le informazioni provenienti dal paese. Il flusso costante di profughi che arrivavano in Corea del Sud, le uniche testimonianze dirette della vita sotto la dittatura, si è praticamente interrotto, passando da un migliaio di persone nel 2019 a meno di settanta nel 2022. Anche gli scambi commerciali con la Cina sono diminuiti e dopo la partenza di gran parte dei diplomatici e degli operatori umanitari, la vita in Corea del Nord è diventata più misteriosa.
Trasformazioni culturali
“Lavorare con i rifiuti mi ha permesso di farmi domande diverse e di scoprire nuove cose”, spiega Kang Dong-wan. “Per esempio che in Corea del Nord esistono vari design dei prodotti, come nei paesi capitalisti. Sono pubblicizzati e i marchi cercano di soddisfare i gusti dei consumatori”. A dimostrazione di ciò scuote un sacco pieno di confezioni di yogurt e di latte dai colori vivaci. A giugno del 2021 il presidente nordcoreano Kim Jong-un aveva annunciato che lo stato avrebbe fornito gratuitamente prodotti alimentari per i bambini, in particolare i latticini. Grazie alla sua ricerca sui rifiuti Kang ha trovato degli indizi che questa misura è effettivamente applicata. “Guardi quanti gusti di gelato. Ce ne sono quasi quaranta”, si entusiasma il ricercatore. “E lo stesso discorso vale per lo yogurt, all’ananas, alla mela e molti altri”.
Le confezioni sembrano anche indicare che le tendenze straniere stanno influenzando la società nordcorena. “Copiano quello che si fa altrove. Su questo pacchetto di caramelle si vede un’imitazione di Hello Kitty, per esempio. E anche le confezioni di noodles ricordano quelle della Corea del Sud”. È un paradosso curioso per un regime da sempre impegnato a respingere ogni tipo di contaminazione culturale.
Al contrario di quanto succede nel Sud, Pyongyang si è sempre rifiutata di traslitterare le parole inglesi. Ma le confezioni dimostrano che questo non è più vero: “Ice cream”, “Mayonnaise”, sono solo alcuni degli anglicismi presenti sulle confezioni raccolte. Secondo Kang vuol dire che la recente fase di isolamento decisa dal regime è motivata più dalle necessità imposte dalla pandemia e dalle sanzioni economiche che dalle convinzioni ideologiche.
In realtà chi governa ha riconosciuto che il paese è in difficoltà. Nell’aprile 2021 in un discorso davanti all’assemblea popolare suprema, Kim ha addirittura parlato di “ardua marcia”, un’espressione usata per indicare la terribile carestia che negli anni novanta provocò più di seicentomila morti. La gravità dell’attuale crisi economica e alimentare è difficile da valutare per gli osservatori, ma i rifiuti studiati da Kang costituiscono un prezioso tassello del puzzle. “In molte bevande gassate non c’è saccarosio, l’etichetta riporta tra gli ingredienti un’erba che produce un liquido zuccherino”. È l’effetto delle sanzioni economiche e della riduzione degli scambi commerciali con la Cina, sostiene il ricercatore. “Le raffinerie di zucchero ci sono, ma mancano le materie prime: significa che la Corea del Nord non riesce a importarle”.
La risposta al virus
I problemi strutturali e le catastrofi naturali hanno messo in pericolo il fragile equilibrio alimentare del paese. Secondo i dati del Programma alimentare mondiale (Pam), il 40 per cento della popolazione, cioè dieci milioni di persone, è denutrito. Parte della produzione alimentare è informale e si scambia nei jangmadang, mercati neri più o meno tollerati dal regime, che negli ultimi vent’anni sono diventati spazi fondamentali per l’economia nordcoreana.
“L’aspetto affascinante è che il cambiamento in corso nel paese viene dalla società”, osserva Kang, che nei suoi viaggi alle frontiere cinesi e russe ha potuto scattare molte foto di questi mercati. “Grazie alle immagini e allo studio dei rifiuti riesco a determinare quali sono i gusti dei nordcoreani, i prodotti che scambiano e le marche che preferiscono”. Difficile sapere se durante la crisi sanitaria i jangmadang siano rimasti aperti, continuando a compensare le carenze dello stato.
Pur essendo sigillata da più di tre anni, la Corea del Nord non è sfuggita al covid-19. Lo scorso agosto Kim ha annunciato la “vittoria” del paese sulla “febbre” che avrebbe contagiato quasi cinque milioni di abitanti. Ma il lockdown di Pyongyang del 25 gennaio, ufficialmente non legato al virus, suggerisce che il leader abbia cantato vittoria troppo presto. Anche in questo caso sono pochissime le informazioni ufficiali sulle misure di contenimento del covid applicate nel paese, e studiare la spazzatura aiuta. “In questa confezione di mascherine chirurgiche si legge ‘Prodotto secondo gli standard nazionali del 2022’. Significa che la Corea del Nord ha avviato la produzione nazionale di dispositivi di protezione molto tardi”, spiega Kang. “E poi c’è scritto ‘Efficace contro il virus’. È evidente che si tratta di un oggetto pensato dopo l’arrivo del covid”. In compenso non c’è traccia di vaccini arrivati dalla Cina, anche se quest’anno gli scambi tra i due paesi sono ripresi.
La riapertura della Cina nel 2023 segna anche il ritorno alla normalità per il ricercatore, che ben presto spera di concludere gli studi sulla spazzatura e di poter tornare a osservare i nordcoreani direttamente dalla frontiera. ◆ adr
◆ Secondo un rapporto del centro studi statunitense 38 North in Corea del Nord è in corso la peggiore crisi alimentare degli ultimi trent’anni. L’isolamento durante la pandemia, il cambiamento climatico e il dirottamento delle risorse verso l’industria militare hanno contribuito a deteriorare una situazione già grave a causa delle sanzioni internazionali, spingendo la produzione agricola “al di sotto del minimo indispensabile per la sussistenza”. Pyongyang nega, ma secondo gli osservatori l’appello del presidente Kim Jong-un a “trasformare radicalmente” la produzione agricola nel paese segnala che l’emergenza è reale e preoccupa il regime.
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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati