Le differenze di genere negli studi clinici continuano a fare notizia. Al George institute for global health, in Australia, Cheryl Carcel ha analizzato i dati su 600mila volontari che hanno partecipato a 281 studi clinici internazionali sull’ictus tra il 1990 e il 2020, scoprendo che uomini e donne non sono equamente rappresentati. In media le donne costituivano meno del 40 per cento del campione, pur rappresentando il 48 per cento dei 14 milioni di casi di ictus registrati ogni anno nel mondo. Lo squilibrio era più marcato negli studi sull’ictus da emorragia intracerebrale e sulle terapie di riabilitazione dopo la fase acuta della malattia. In trent’anni le disparità sono rimaste invariate: un risultato che sorprende, spiega la ricercatrice su Neurology, considerando che alcuni paesi hanno adottato politiche sanitarie che tengono conto delle differenze, biologiche e socioculturali, tra uomini e donne.
Donne poco rappresentate
Tutto il peso dell’inglese
Per proteggere meglio la natura bisognerebbe prendere in considerazione anche gli studi scientifici pubblicati in lingue diverse dall’inglese. Molte ricerche sulla biodiversità in spagnolo, portoghese, francese, russo, cinese o altre lingue tendono a essere trascurate, anche perché a volte considerate di cattiva qualità, residuali o comunque destinate a scomparire. Ma non è sempre così: gli studi in altre lingue, per esempio, ampliano le conoscenze relative al 23 per cento delle specie minacciate di uccelli. Molte pubblicazioni sulla flora e la fauna dell’America Latina sono in spagnolo o portoghese, e la loro qualità è paragonabile a quella degli studi in inglese. Inoltre, anche se è vero che alcune ricerche sono di qualità inferiore, spesso sono le uniche disponibili per alcune regioni, come l’Africa tropicale o il sudest asiatico. E ancora, a partire dal 2000 sono aumentati gli studi in francese, tedesco, giapponese, portoghese, russo e cinese. In conclusione, si può ancora applicare alla scienza quanto detto dal filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein nel 1922: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. ◆
Le lontre e le alghe
Per le alghe la convivenza con le lontre marine è scomoda ma anche vantaggiosa. Quando la lontra scava in profondità alla ricerca di vongole devasta i fondali ricchi di piante acquatiche. In questo modo però ne promuove la riproduzione per seme, contribuendo alla biodiversità. I ricercatori hanno analizzato alcune aree al largo della British Columbia, in Canada, scoprendo che in quelle in cui sono presenti le lontre marine (Enhydra lutris), la diversità genetica delle alghe della specie Zostera marina è superiore di un terzo rispetto a zone simili, scrive Science.
Le origini dei cavalli moderni
Un nuovo studio ipotizza che i cavalli moderni provengano dalla regione dei fiumi Volga e Don, in Russia. Non discenderebbero quindi dai cavalli diffusi in Asia centrale all’epoca della cultura botai, circa 5.500 anni fa. I cavalli moderni sono dotati di varianti genetiche che ne hanno modificato alcune caratteristiche, come la resistenza allo stress, e hanno permesso che fossero cavalcati. Questi geni, scrive Nature, deriverebbero dai cavalli che si diffusero nella regione del Volga e del Don 4.200 anni fa. Nella foto: Mongolia Interna, Cina
Quanto vive un neutrone
Il tempo medio con cui decade un neutrone è di 877,75 secondi. La nuova misurazione è più precisa della precedente, ma non spiega perché le analisi del parametro, effettuate con due metodi diversi, differiscono. Nello studio pubblicato su Physical Review Letters è stato usato il metodo delle particelle fredde in un campo magnetico (o metodo della bottiglia), diverso dal metodo del raggio. Conoscere il parametro servirà a verificare alcuni aspetti della teoria fisica del modello standard.
Astronomia Venere probabilmente non ha mai ospitato oceani in superficie, neanche nelle fasi iniziali della sua formazione. Il pianeta sarebbe stato quindi da sempre inadatto alla vita. L’impossibilità di ospitare acqua allo stato liquido deriva dal ruolo del vapore acqueo, che si sarebbe condensato in nuvole nella parte non illuminata del pianeta, contribuendo all’aumento della temperatura, scrive Nature.
Salute Secondo Nature Metabolism, la maggiore longevità dei topi che si alimentano poco non è dovuta solo alla quantità ridotta di calorie, ma anche ai periodi prolungati di digiuno. Il meccanismo che lega la quantità di cibo consumata alla minore mortalità non è stato però identificato. I ricercatori precisano che i risultati dello studio valgono per i topi e non possono essere estesi agli esseri umani.
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