Che sia avidità? I dipendenti della Boeing di Seattle, negli Stati Uniti, pensano che un aumento salariale del 25 per cento in quattro anni non sia abbastanza. Per ottenerne uno del 40 per cento hanno proclamato uno sciopero a oltranza. Che il sindacato abbia negoziato un buon accordo – con tanto di bonus e pagamenti extra – ai lavoratori non interessa. E fino a nuovo ordine nei capannoni di Seattle non si costruiranno più jet. Visto dalla Germania pare assurdo. Di recente, quando il sindacato dei metalmeccanici Ig Metall ha chiesto un aumento del 7 per cento, proprio ora che l’inflazione è in calo, c’è stata una piccola rivolta dei datori di lavoro. Ma la questione merita di essere considerata nel dettaglio.

La Boeing sta attraversando la crisi peggiore della sua storia. Due incidenti devastanti e un terzo evitato per poco hanno rivelato enormi carenze sul piano della produzione e della qualità. L’azienda ha cominciato ad affrontare la situazione solo ora. Le perdite legate agli scioperi sono l’ultima cosa di cui aveva bisogno, e lo stesso vale per un aumento del costo del lavoro. Ma il malcontento dei dipendenti è colpa dell’azienda: più volte i dirigenti hanno imposto dei tagli al salario minacciando di delocalizzare la produzione e ora la Boeing paga il conto dell’eccessiva pressione sui lavoratori. Che gli operai sfruttino la loro posizione è più che comprensibile, visto che per anni i loro salari sono stati i più bassi nell’industria aeronautica statunitense.

Le sfide per l’amministratore delegato Kelly Ortberg aumentano. E se a un certo punto fallisse e si dovesse dimettere, la colpa non sarà degli eccessivi aumenti salariali, ma del fatto che la Boeing deve riconquistare la fiducia delle compagnie aeree. Solo così potrà colmare il divario con la rivale Airbus. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati