Tra le elezioni europee del 9 giugno e le prossime legislative del 30 giugno (con il secondo turno il 7 luglio), la Francia sembra essere tornata a uno schema tradizionale: sinistra contro destra o, più precisamente, “progressisti” contro “fascisti”. Il centro liberale, base elettorale del presidente Emmanuel Macron, sembra essere crollato, così come l’ex partito gollista Les républicains. A sinistra, anche se il 9 giugno il Partito socialista (Ps) ha recuperato un po’ di terreno, la scena è dominata dal radicale e molto rumoroso France insoumise (La Francia indomabile), guidato da Jean-Luc Mélenchon. I Verdi dal canto loro possono fornire solo una spinta marginale alla sinistra.

Il terremoto è l’avanzata dell’estrema destra. Il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen, ex Front national, ha ottenuto il 31,5 per cento dei voti alle europee presentando come capolista Jordan Bardella. Poi va aggiunto il 5,5 per cento preso dal più radicale Reconquête guidato da Éric Zemmour. Cos’è successo? Macron aveva conquistato la presidenza nel 2017 unendo il centrodestra e il centrosinistra nel suo nuovo partito En marche! (ora Renaissance), dividendo socialisti e Républicains. I due partiti non si sono mai ripresi dal dirottamento delle loro frange moderate.

L’ascesa dell’Rn ha mostrato una svolta a destra della società francese, secondo uno schema comune a molti paesi europei. Anziché restare saldo al centro, Macron si è quindi orientato verso una politica più di destra su welfare, immigrazione, islam e ordine pubblico. Ha inoltre esaltato il patriottismo e si è impegnato a combattere il wokismo (il movimento culturale attento alle disuguaglianze) nel mondo universitario. È rimasto progressista solo sulle questioni femministe e di genere, facendo iscrivere il diritto all’aborto nella costituzione.

Allarme nero

Sulla carta c’è ancora un elettorato centrista: se si sommano i voti del Ps a quelli di Renaissance e a quelli della metà europeista dei Républicains si supera il 30 per cento. A causa della gestione personale e narcisistica di Macron, tuttavia, riportare in vita una simile coalizione è impossibile. Stiamo andando verso una coabitazione tra il presidente e una maggioranza ostile. L’unica domanda è se l’Rn avrà i numeri per imporre il suo candidato al ruolo di primo ministro o se nell’assemblea nazionale francese prevarrà il caos. Nel frattempo la sinistra suona l’allarme contro il fascismo. Si richiamano gli anni trenta, contrapponendo all’estrema destra un fronte popolare che unisce i socialisti, France insoumise, il Partito comunista francese e i Verdi. Questa coalizione si è tuttavia inimicata molti centristi, che detestano Mélenchon per il suo sostegno ai palestinesi e al multiculturalismo e che avrebbero preferito un fronte repubblicano che escludesse gli estremisti sia di destra sia di sinistra.

In ogni caso, questo schema non funziona più. La società è cambiata. Ai giovani non interessa la storia. Inoltre l’accusa di antisemitismo – tradizionalmente rivolta all’estrema destra –oggi colpisce l’estrema sinistra. Serge Klarsfeld, una figura di spicco nella lotta all’odio contro gli ebrei, ha annunciato che voterà per l’Rn invece che per la France insoumise. Intellettuali come Alain Finkielkraut, che si è spostato da sinistra a destra in nome della difesa della laicità contro l’islam, hanno dichiarato che avrebbero preso in considerazione l’idea di votare per Marine Le Pen per allontanare il più possibile la France insoumise dal potere.

Oggi molti elettori moderati hanno più paura di Mélenchon che di Le Pen. I mezzi d’informazione sono inondati dalle critiche contro il presidente alimentate dal miliardario Vincent Bolloré, proprietario di quotidiani, riviste e canali televisivi. La retorica infuocata di Mélenchon non aiuta, anche se alla coalizione di sinistra si è unito l’ex presidente François Hollande, che sta trovando una nuova popolarità proprio per ciò che lo ha reso impopolare quando era al potere: la sua moderazione.

Emmanuel Macron e la moglie Brigitte al seggio elettorale, Le Touquet, 9 giugno 2024 (Hannah McKay, Afp/Getty)

Nel 2002, quando Jacques Chirac attirò i voti della sinistra per battere Jean-Marie Le Pen, il concetto di fronte repubblicano fu usato per superare le divisioni politiche, in difesa dello stato e delle sue istituzioni. Quello però era un periodo in cui i partiti sentivano di avere una storia comune e avevano profondi legami con la politica locale. Oggi le cose sono diverse. Dei sei partiti che ancora contano, quattro (Reconquête, Rn, Renaissance e France insoumise) funzionano secondo una concezione populista della politica: un leader carismatico che si rivolge direttamente al “popolo” e al tempo stesso governa il suo partito attraverso un gruppo di amici intimi, familiari e delegati. Solo Les républicains e il Ps hanno l’aspetto di forze politiche tradizionali. Per i primi, tuttavia, le cose sono cambiate l’11 giugno, quando il presidente del partito Éric Ciotti ha annunciato un accordo con l’Rn senza consultare nessuno. Nel momento in cui gli altri membri del consiglio direttivo gli hanno chiesto spiegazioni, lui si è chiuso nel suo ufficio e si è rivolto ai giornalisti da una finestra – come in una ridicola imitazione di Mussolini in un film di Charlie Chaplin.

Gli ex presidenti François Mitterrand e Jacques Chirac erano ritenuti due statisti responsabili che difendevano le istituzioni. Seguendo una tendenza cominciata con Nicolas Sarkozy, capo dello stato dal 2007 al 2012, Macron ha cercato di scavalcarle, affidando a uomini d’affari incarichi diplomatici o accademici, e reclutando società di consulenza private per compiti che prima erano svolti da funzionari pubblici. Questo disprezzo per lo “stato profondo” si è accompagnato a un disprezzo per la politica tradizionale. Macron non ha mai cercato di creare un vero e proprio partito: i candidati sono stati selezionati da un piccolo comitato intorno a lui, non a livello locale.

Nuove generazioni

Il populismo non appartiene solo all’estrema destra: è un modo di fare politica ormai dominante. Nonostante gli ego e i litigi, questa convergenza spiega anche perché l’arrivo dell’Rn al governo potrebbe comportare non una svolta netta, ma piuttosto l’intensificarsi di tendenze già evidenti sotto Macron.

Il risultato positivo dell’Rn segue una tendenza europea che ha due componenti: l’ostilità nei confronti dei migranti in generale e dell’islam in particolare, e il rifiuto della globalizzazione e dell’Europa per difendere uno “stile di vita”, qualunque cosa voglia dire questa etichetta. Il legame tra le due cose è accidentale più che strutturale.

I mezzi d’informazione e i politici ritengono la questione dell’immigrazione cruciale: in un sondaggio del 2023, il 65 per cento dei francesi considerava poco allettante l’idea di accogliere più immigrati. Ma allora perché non hanno votato per Reconquête, l’unico partito che ha messo in cima al suo programma la lotta all’immigrazione? Alle europee, il partito di Zemmour ha superato di poco la soglia del 5 per cento necessaria per entrare al parlamento di Strasburgo. Il voto per l’Rn, insomma, è più complesso di un semplice riflesso contro l’immigrazione.

È evidente che gli spazi di libertà si stanno riducendo. Con il partito di Marine Le Pen al potere la situazione peggiorerà

La rivolta dei gilet gialli, nel 2018, incarna il carattere antiestablishment dell’attuale sostegno all’Rn. Il movimento non era razzista o particolarmente ostile ai migranti: al centro delle sue proteste c’era l’arroganza delle classi dirigenti. Manifestava contro un ambientalismo giudicato punitivo, le restrizioni all’uso dell’auto, il peggioramento dei trasporti pubblici, il crescente divario tra le grandi città e la vita nelle zone più isolate. Molte parti del programma dell’Rn non sono lontane da quelle della France insoumise: l’abbassamento dell’età pensionabile, la nazionalizzazione delle autostrade (ancora una volta, la libertà di usare l’auto), l’avversione per la burocrazia di Bruxelles.

Che ruolo ha avuto l’ostilità all’islam nel voto per l’estrema destra? Visto che molti immigrati in Europa sono musulmani e la maggior parte dei musulmani ha una storia di migrazione, le due questioni tendono a confondersi. Nei paesi dell’Europa settentrionale e occidentale però la popolazione musulmana si è in larga misura ben integrata. Il dibattito sull’islam quindi va oltre quello sull’immigrazione: i populisti sostengono di lottare contro quella che definiscono “islamizzazione” della loro società e di difendere l’identità nazionale.

Le culture musulmane degli immigrati sono cambiate e una nuova generazione di giovani ha cercato di adattare l’islam a un contesto culturale occidentale. Questo non significa necessariamente dare vita a un islam più liberale o “illuminato”, ma concentrarsi sui marcatori della fede. Per esempio, nelle società musulmane tradizionali gli alimenti sono halal e nessuno pensa di controllare che lo siano davvero. In una società occidentale, i criteri halal devono essere chiaramente definiti e visibili (con un’etichetta speciale). O ancora, se una musulmana sceglie di indossare il velo, questo è un immediato marcatore di fede e identità, e rende visibile l’islam nel cuore della società francese.

Lentamente si è sviluppata un’ampia coalizione contro l’“islamizzazione”: a destra ci sono i nemici dell’immigrazione e i nostalgici della Francia cattolica; a sinistra i laicisti che vedono nell’islam un nuovo “oscurantismo”. Anche molte femministe e attivisti per i diritti degli omosessuali hanno percepito l’islam come una minaccia per le conquiste fatte in materia di uguaglianza di genere e matrimonio tra persone dello stesso sesso. Gli attacchi terroristici compiuti in Francia tra il 2012 e il 2016 hanno contribuito a far saldare le due correnti.

Al di là di questa alleanza resta un grande interrogativo. Cosa viene contrapposto all’islam? Il cristianesimo o i valori progressisti? Notre-Dame o Charlie Hebdo? Anche se tutti i populisti europei si oppongono all’islam e all’immigrazione, non concordano sui valori europei da difendere. Se volessero promuovere princìpi conservatori, in realtà non dovrebbero avere problemi con l’islam. La maggior parte dei populisti cerca però di sostenere i valori occidentali (come fanno i laicisti di sinistra): l’esempio più chiaro in Europa è Geert Wilders nei Paesi Bassi. Marine Le Pen ha promesso di non abolire le leggi sull’aborto e sul matrimonio omosessuale e non è un’omofoba.

Nella loro vita privata, i leader populisti dell’Europa occidentale non incarnano i valori tradizionali. Né i loro elettori sono così smaniosi di rinunciare alla libertà e alla tolleranza sessuale. I partiti tradizionalisti che propongono di ritornare alle norme religiose perdono alle elezioni. In Polonia il partito Diritto e giustizia ha cercato per otto anni d’imporre leggi d’ispirazione cristiana. Nel 2023 ha perso in elezioni in cui la questione dell’aborto era in primo piano. Lo stesso anno in Spagna il partito populista Vox, che ha fatto una campagna contro l’aborto, i matrimoni gay e l’inasprimento delle leggi sui femminicidi, ha registrato un calo del 2,7 per cento dei consensi alle legislative, mentre il Partito popolare, suo alleato di destra – che aveva votato a favore delle unioni civili tra persone dello stesso sesso – ha guadagnato il 12,3 per cento. Il fallimento dei partiti della destra cristiana e la cautela dei populisti nel promuovere i valori tradizionali hanno una spiegazione semplice: lo spostamento a destra degli elettori non riflette il desiderio di tornare a quei valori.

Sotto tutti i punti di vista, nel bene e nel male, le nostre società sono liberali: libertà sessuale, edonismo e individualismo sono ritenuti importanti. I populisti europei sono per lo più laici, non provano alcun fascino per il sacrificio, la morte e la gloria. Le “guerre culturali” che dividono gli Stati Uniti non hanno nessun effetto in Europa, con poche eccezioni (la Polonia di Diritto e giustizia o l’Ungheria di Viktor Orbán, anche se più a parole che nei fatti, visto che la società ungherese è liberale come le altre in termini di costumi).

Ciò che distingue la Francia nell’attuale panorama politico europeo è il ruolo della laicità. All’inizio era un concetto meramente giuridico e costituzionale. Ma nel 1989, in seguito al “caso del velo” (tre studenti ben integrate decisero di entrare in classe indossando il velo e furono espulse dal liceo), l’islam cominciò a essere considerato la principale minaccia alla laicità, trasformandosi da principio giuridico a marcatore di identità.

Da allora la destra si trova di fronte a una scelta: insistere sull’identità cristiana del paese o schierarsi con la laicità, considerata il miglior strumento per contenere l’islam. Con l’eccezione dei cattolici ultraconservatori, la maggioranza ha scelto di difendere la laicità. Oggi c’è un ampio consenso sulla necessità d’imporla per bloccare l’islamizzazione: Macron e Le Pen hanno dei princìpi in comune.

Tre fronti

Piuttosto che un’estrema destra fascista contrapposta a un fronte popolare progressista, la divisione sui valori suggerisce l’esistenza in Francia di tre elettorati distinti. Il primo coincide con una destra cristiana reazionaria e conservatrice che lotta contro i musulmani e i progressisti, vorrebbe cancellare la rivoluzione culturale del 1968 ma è ridotta quasi a una setta. Il secondo è un’estrema sinistra multiculturalista, anticoloniale, ambientalista e femminista, ben rappresentata nelle università, che promuove la libertà di religione per gli oppressi ma è meno aperta verso il cristianesimo. Il terzo fronte è un ampio schieramento di laicisti che prendono di mira l’islam a prescindere dalle radici storiche della loro ostilità, uno schieramento che va dall’Rn al centrosinistra e che difende il presunto “stile di vita francese”. Quest’ultimo gruppo esprime notevoli differenze su questioni come la democrazia, la libertà d’espressione, l’Europa e le relazioni con la Russia. Queste differenze però non hanno importanza finché l’estrema destra non va al potere.

Negli ultimi anni qualsiasi tipo di dissenso, dai gilet gialli agli ecologisti militanti, e la pratica pubblica della religione musulmana hanno ricevuto una risposta durissima. Abbiamo assistito alla repressione violenta dei manifestanti, all’aumento dei morti negli scontri tra giovani contestatori e polizia e, soprattutto, alla costruzione di quella che definisco una politica di pedagogia autoritaria per imporre i valori della repubblica. È evidente che gli spazi di libertà si stanno riducendo. Con il partito di Marine Le Pen al potere la situazione peggiorerà sicuramente: la polizia si convincerà di poter sparare quando vuole e alcuni autoproclamati vigilantes faranno incursioni nelle periferie disagiate o contro gruppi di sinistra.

Un governo guidato dall’Rn troverebbe uno spazio di collaborazione con altre forze politiche e con figure inattese, insistendo proprio sulla difesa della laicità. Sulle questioni economiche, sotto la pressione degli industriali, il partito dovrà ripiegare verso la stretta adesione alle regole di bilancio. A ingrossare le sue file ci sarà poi uno stuolo di opportunisti. Data la mancanza di esperienza e professionalità tra i suoi dirigenti, il partito avrà bisogno di questi tecnocrati, intellettuali, giornalisti e politici. Le Pen limiterà gli eccessi violenti dei suoi sostenitori per non perdere la nuova rispettabilità acquisita. Si scateneranno però rivalità e faide. Un governo guidato dall’Rn cercherà di controllare il sistema giudiziario, di trasformare il mondo della cultura in un’azienda d’intrattenimento e di “dewokizzare” le università.

Cercando d’imporre una laicità autoritaria contrapposta all’islam, però, l’estrema destra non farebbe altro che accentuare una tendenza già in atto sotto Macron. In breve, Macron ha già cominciato a indebolire le istituzioni francesi. Non c’è motivo per cui non possa convivere con un primo ministro scelto da Marine Le Pen. Lei gli lascerà volentieri le cene di stato e i viaggi ufficiali. Lui la lascerà governare. E le cose probabilmente peggioreranno. u  gim

Olivier Roy insegna scienze politiche all’Istituto universitario europeo di Fiesole.

© The Financial Times Limited 2024. All Rights Reserved. Il Financial Times non è responsabile dell’accuratezza e della qualità di questa traduzione.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati