Non è ancora ufficiale, ma sembra che la United auto workers abbia ottenuto una vittoria importante. Il sindacato statunitense, che rappresenta i lavoratori del settore automobilistico, ha fatto una serie di scioperi dal 15 settembre e oggi ha raggiunto tre accordi provvisori con la Ford, la Stellantis e la General Motors. Le tre bozze prevedono un aumento salariale di circa il 25 per cento nei prossimi quattro anni e mezzo e altre concessioni.

I lavoratori del settore automobilistico sono molti di meno rispetto ai giorni di gloria di Detroit, ma sostengono ancora una parte significativa dell’economia del paese. Inoltre la loro eventuale vittoria seguirà le conquiste fatte negli scorsi mesi da altre organizzazioni di categoria. E questi successi saranno una tappa importante nel percorso per rendere gli Stati Uniti un paese meno disuguale.

La United auto workers ha fatto una serie di scioperi dal 15 settembre e oggi ha raggiunto tre accordi provvisori con la Ford, la Stellantis e la General Motors

Alcuni fatti storici da tener presenti: i figli del ­boom economico come me sono cresciuti in un mondo meno polarizzato dal punto di vista economico rispetto a quello in cui viviamo oggi. Non eravamo certo la società che ci piaceva immaginare, ma negli anni sessanta molti operai avevano redditi da classe media, mentre le persone che avevano accumulato una ricchezza estrema non erano tante come oggi. Per esempio, gli amministratori delegati delle grandi aziende erano pagati “solo” quindici volte di più rispetto allo stipendio medio dei dipendenti, oggi duecento volte. Sospetto che la maggior parte delle persone allora credesse che una società formata sostanzialmente dalla classe media fosse lo stato naturale di un’economia di mercato matura.

In un saggio scritto nel 1991, però, Claudia Goldin (che ha appena vinto un meritato premio Nobel) e Robert Margo dimostrano che quell’America relativamente uguale era emersa all’improvviso, con una brusca riduzione delle disparità di reddito negli anni quaranta, un fenomeno che loro definivano “grande compressione”. La compressione iniziale aveva avuto molto a che fare con i controlli imposti all’economia in tempo di guerra. Tuttavia i divari di reddito rimasero contenuti per decenni dopo l’abolizione di quei controlli. Nel complesso, la disuguaglianza ricominciò a decollare solo attorno al 1980.

Quali erano i fattori che avevano determinato una distribuzione dei salari abbastanza omogenea? Uno è il fatto che la combinazione tra la guerra e un ambiente politico favorevole portò a un forte incremento della sindacalizzazione. I sindacati sono determinanti per avere un’uguaglianza salariale e contribuiscono ad applicare il “vincolo d’indignazione”, che impone limiti ai compensi dei dirigenti.

Il declino dei sindacati, che oggi rappresentano meno del 7 per cento dei lavoratori nel settore privato, ha giocato un ruolo nell’avvento della seconda età dell’oro che stiamo vivendo. Non è per forza colpa della globalizzazione e del progresso tecnologico. I sindacati restano molto forti in alcuni paesi: in Scandinavia la maggioranza di lavoratori è iscritta a un’associazione di categoria. Quello che è successo negli Stati Uniti è che il potere contrattuale dei lavoratori è stato frenato dalla compresenza di un mercato fiacco, con lente fasi di ripresa dopo le recessioni, e un ambiente politico sfavorevole.

Oggi, però, le cose sono cambiate. Da una ricerca di David Autor, Arindrajit Dube e Annie McGrew sembra che una ripresa rapida, che ha portato al tasso di disoccupazione più basso degli ultimi cinquant’anni, abbia rafforzato i redditi bassi, producendo una “compressione inattesa” dei divari salariali. E questo ha eliminato circa un quarto dell’aumento della disuguaglianza registrata negli ultimi quarant’anni. Il mercato del lavoro, probabilmente, ha incoraggiato i sindacati a essere più aggressivi nelle contrattazioni. Spesso incontro persone convinte che i ricchi abbiano beneficiato in modo sproporzionato della recente ripresa economica. In realtà è il contrario.

Anche il contesto politico sembra diverso. L’appoggio dell’opinione pubblica ai sindacati è ai massimi dal 1965. E Joe Biden è stato il primo presidente statunitense a unirsi a un picchetto dei lavoratori del settore automobilistico per manifestargli il suo sostegno. È successo in Michigan, a settembre.

Niente di tutto ciò sembra sufficiente a produrre una seconda “grande compressione”. Ma potrebbe creare una piccola compressione, ovvero un’inversione parziale rispetto all’aumento della disuguaglianza successivo al 1980.

Naturalmente non è detto che succeda. Una recessione potrebbe indebolire il potere d’acquisto dei lavoratori. Se Donald Trump torna alla Casa Bianca, di sicuro le sue politiche saranno contro i sindacati. Il futuro, quindi, è incerto. Ma forse, sottolineo forse, gli Stati Uniti potrebbero tornare verso la prosperità condivisa che un tempo davamo per scontata. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1537 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati