Nel 1654 lo scienziato e politico tedesco Otto von Guericke avrebbe dovuto dedicarsi a tempo pieno a fare il sindaco di Magdeburgo. Invece stava preparando una dimostrazione per i signori del Sacro romano impero. Con la sua ultima invenzione, una pompa a vuoto, aspirò l’aria da una sfera di ottone composta da due emisferi. Poi provò a separare gli emisferi facendoli trainare ognuno da quindici cavalli. Con grande stupore del suo pubblico regale, gli animali non riuscirono a separare gli emisferi a causa della pressione schiacciante dell’atmosfera.
Von Guericke era ossessionato dall’idea del vuoto da quando era venuto a conoscenza della nuova, rivoluzionaria teoria dell’universo eliocentrico: un cosmo con il Sole al centro e i pianeti che gli sfrecciano intorno. Ma questa teoria poteva funzionare solo se lo spazio tra i pianeti era vuoto, altrimenti l’attrito li avrebbe rallentati.
Scienziati, filosofi e teologi di tutto il mondo discutevano sull’esistenza del vuoto da millenni. Poi arrivò Von Guericke con i suoi cavalli e dimostrò la sua esistenza. Ma per molto tempo l’idea del vuoto rimase scomoda e fu accettata solo a malincuore. Forse gli esseri umani potevano essere così intelligenti da creare artificialmente il vuoto sulla Terra, ma in natura era inconcepibile. Gli scienziati arrivarono a un compromesso: il vuoto dello spazio era riempito da un quinto elemento, l’etere, una sostanza che non aveva molte proprietà manifeste, ma che sicuramente non era il nulla.
Gli scienziati continuarono a cercare l’etere, anche dopo le rivoluzioni quantistiche e cosmologiche del novecento, ma rimasero sempre a mani vuote, nonostante telescopi e microscopi sempre più potenti. Nel 1920 l’astronomo Edwin Hubble scoprì che la nebulosa di Andromeda era in realtà una galassia, un insieme di miliardi di stelle a 2,5 milioni di anni luce da noi. Per quanto ne sapevamo, tutti quegli anni luce erano pieni di ben poco, solo qualche atomo di idrogeno sperduto e qualche fotone errante. Rispetto alle dimensioni relativamente piccole delle galassie stesse (la nostra Via Lattea si estende per centomila anni luce), l’universo sembrava caratterizzato dall’assenza.
A livello subatomico, gli scienziati stavano scoprendo che anche gli atomi erano sorprendentemente vuoti. Se si aumentassero le dimensioni di un atomo di idrogeno tanto da fare in modo che il suo nucleo fosse grande quanto un pallone da basket, l’elettrone più vicino si troverebbe a circa tre chilometri di distanza, con in mezzo un pizzico di particelle subatomiche.
Nient’altro. I continui esperimenti e osservazioni servivano solo a confermare che viviamo nel vuoto.
E poi quel nulla si è spalancato. All’interno del vuoto che domina il volume di un atomo e il volume dell’universo, i fisici hanno trovato qualcosa. E, a differenza dal tranquillo etere di cui si era parlato per molto tempo, questo qualcosa era abbastanza forte da lacerare il nostro universo. Il vuoto, si scoprì, è vivo.
Schiuma quantistica
Nel dicembre del 2022 un team internazionale di astronomi ha pubblicato i risultati di uno studio sulle galassie e ha confermato che il vuoto dello spaziotempo sta sconvolgendo il cosmo. La materia costituisce solo una piccola percentuale del bilancio energetico dell’universo. La maggior parte dell’energia del cosmo è contenuta nel vuoto, e quell’energia sta determinando la futura evoluzione dell’universo. Lo studio è l’ultimo di una serie di ricerche cominciate più di vent’anni fa. Alla fine degli anni novanta due équipe indipendenti di astronomi avevano già scoperto che l’espansione dell’universo sta accelerando, cioè diventa ogni giorno più grande e più rapida. L’esatto tasso di espansione è ancora oggetto di dibattito tra i cosmologi, ma la realtà è chiara: qualcosa sta facendo gonfiare l’universo. È una forza gravitazionale repulsiva, e l’abbiamo chiamata energia oscura.
Il vuoto, la cui esistenza è stata dimostrata per la prima volta da von Guericke secoli fa, non è così vuoto come sembra. Se si prendesse una scatola (o, seguendo l’esempio di von Guericke, due emisferi), e si rimuovesse tutto quello che c’è al suo interno – comprese tutte le particelle, tutta la luce – quello che resterebbe non sarebbe il nulla. Rimarrebbe il vuoto dello spaziotempo, che abbiamo imparato essere un’entità a sé stante.
Viviamo in un universo quantistico, in cui non si può mai essere abbastanza sicuri di niente. A un livello più piccolo, le particelle subatomiche saltano fuori all’improvviso e vivono brevemente nel nostro mondo prima di tornare da dove sono venute, scompaiono dalla realtà prima di avere avuto la possibilità di interagire in modo significativo con qualsiasi altra cosa.
Questo fenomeno ha vari nomi: schiuma quantistica, schiuma spaziotemporale, fluttuazione quantistica del vuoto. Questa schiuma rappresenta un’energia fondamentale per il vuoto dello spaziotempo, un terreno su cui avvengono tutte le altre interazioni fisiche. Nel linguaggio della teoria quantistica dei campi, nata dal matrimonio tra meccanica quantistica e relatività ristretta, i campi quantistici che rappresentano ogni tipo di particella impregnano il vuoto dello spaziotempo come fosse un pezzo di pane croccante immerso nell’olio e nell’aceto. Questi campi non possono fare a meno di vibrare a un livello quantico fondamentale. In questa prospettiva, il vuoto suona per noi, è un’armonia alla base della realtà stessa.
Grazie alle teorie quantistiche più avanzate possiamo calcolare l’energia contenuta nel vuoto: è infinita. Una quantità infinita di energia riempie ogni centimetro cubo di spazio e tempo, grazie agli sforzi combinati di tutte quelle innumerevoli ma effervescenti particelle. Questo non è necessariamente un problema per la fisica a cui siamo abituati, perché tutte le interazioni dell’esperienza quotidiana poggiano su quella torre infinita di energia. Semplicemente, la matematica diventa più complicata da gestire.
Più prezioso dell’oro
Questo fastidio matematico sarebbe insignificante se non fosse per il fatto che, secondo la teoria della relatività generale di Albert Einstein, l’energia del vuoto ha la curiosa capacità di generare una forza gravitazionale repulsiva. In genere non notiamo i suoi effetti perché l’energia del vuoto è soffocata da tutta la massa normale che la circonda (nel caso di von Guericke, la forza dominante era la pressione atmosferica che circondava i due emisferi). Ma su scala più grande c’è tanto nulla grezzo nell’universo che questi effetti si manifestano sotto forma di un’espansione accelerata. Le ricerche più recenti suggeriscono che circa cinque miliardi di anni fa la materia dell’universo si è diluita al punto da far emergere l’energia oscura. Oggi rappresenta circa il 70 per cento dell’intero bilancio energetico del cosmo. Vari studi hanno dimostrato che l’energia oscura sta per fare a pezzi la struttura dell’universo, separando superammassi di galassie e districando la rete cosmica.
Ma l’accelerazione non è poi così rapida. Quando calcoliamo quanta energia del vuoto è necessaria per produrre l’effetto dell’energia oscura, otteniamo un numero molto basso. La nostra comprensione quantistica dell’energia del vuoto ci dice invece che dovrebbe essere infinita, o almeno incredibilmente grande. Sicuramente non piccola. Questa discrepanza tra l’energia teorica del vuoto e il suo valore osservato è uno dei più grandi misteri della fisica moderna. E ci porta a chiederci che cos’altro potrebbe nascondersi nel vasto nulla dei nostri atomi e del nostro universo. Forse Von Guericke ha sempre avuto ragione. “Il nulla contiene tutte le cose”, scriveva. “È più prezioso dell’oro, senza inizio né fine, più gioioso della percezione di una luce sfavillante, più nobile del sangue dei re, paragonabile ai cieli, più alto delle stelle, più potente di un colpo di fulmine, perfetto e benedetto in ogni modo”. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati