Mosca marcia al ritmo di una retorica trionfalistica, ma la guerra in Ucraina non sta andando secondo i piani. Il 12 aprile il presidente russo Vladimir Putin ha ribadito che l’obiettivo principale dell’invasione, cominciata il 24 febbraio, è sempre stato limitato alla conquista del Donbass. Alla fine di marzo i suoi collaboratori più stretti lo hanno convinto che l’originale piano per la presa di Kiev, che prevedeva un blitz o un assedio prolungato, non poteva essere attuato. È interessante notare che da quel momento il ministro della difesa russo Sergej Šoigu non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche, evitando i contatti internazionali. Solo il 18 aprile, al consiglio del ministero della difesa della Federazione Russa, ha confermato la versione di Putin di un “piano coerente per la liberazione” delle cosiddette repubbliche di Donetsk e Luhansk.
A guidare la battaglia per il Donbass sarà il nuovo comandante delle forze russe in Ucraina, il generale Aleksandr Dvornikov (anche se i mezzi d’informazione russi non si sono occupati della sua promozione). Ma questa potrebbe rivelarsi una missione impossibile.
I rinforzi russi in arrivo sono impiegati per attacchi continui dalla testa di ponte di Izjum in direzione di Slovjansk, snodo fondamentale delle comunicazioni nell’area. La propaganda russa cerca di presentare ogni fazzoletto di terra conquistato a fatica come un grande successo. Ma è sempre più evidente che il morale e la determinazione dei soldati russi non sono quelli che servirebbero per sferrare un attacco schiacciante. Nel frattempo aumentano le persone che disertano o che rifiutano di partecipare all’“operazione militare speciale”, come Putin vuole che sia chiamata la guerra.
Le truppe ucraine, al contrario, sono molto motivate e la resistenza di Mariupol ha rafforzato la loro determinazione nel respingere le offensive russe e lanciare contrattacchi. In particolare, il nuovo obiettivo degli ucraini sono le truppe russe in ritirata verso Cherson dopo la fallita offensiva su Mykolaïv e Odessa.
L’alibi del Cremlino
Sull’andamento del conflitto nel Donbass ha avuto un impatto indiretto ma significativo l’affondamento dell’ammiraglia della flotta russa nel mar Nero, l’incrociatore Moskva, che nella notte del 13 aprile è stata colpita da due missili antinave ucraini Neptun, mentre si trovava a 150 chilometri al largo di Odessa. Lo stato maggiore della Federazione Russa ha ammesso l’affondamento, affermando però che la causa è stata un incendio che ha fatto esplodere le munizioni conservate a bordo, costringendo l’equipaggio ad abbandonare la nave. Non ha parlato di vittime.
La principale preoccupazione degli ammiragli russi è la reazione del loro comandante in capo. Nel luglio 2000, all’inizio del primo mandato presidenziale di Putin, cercarono di spiegare il disastro dell’affondamento del sottomarino nucleare Kursk attribuendo la responsabilità a un sottomarino statunitense. Anche oggi provano a nascondere la verità, definendo il colpo messo a segno dai missili ucraini un “incidente”, sul quale è impossibile condurre indagini. L’importanza simbolica dell’affondamento del Moskva non può essere mascherata dalla propaganda, per questo è molto probabile che il Cremlino abbia fatto forti pressioni sul Dvornikov e su Šoigu: serve una grande vittoria nel Donbass, non basta la conquista di Mariupol, città ormai completamente distrutta. L’unico alibi che la leadership russa ha per i suoi fallimenti attuali e futuri è il grande sostegno militare che l’occidente sta dando all’Ucraina. In questa sorta di giustificazione c’è del vero: la fornitura di armi pesanti dagli Stati Uniti e dai paesi europei è in effetti aumentata. Ma il modo migliore che il ministero degli esteri russo ha trovato per affrontare il problema è stato inviare a Washington e ad altre nazioni una nota diplomatica in cui ricorda le “conseguenze imprevedibili” che l’invio di armi a Kiev potrebbe avere. È una minaccia vaga, che però non era stata pensata per la propaganda interna, visto che i principali mezzi d’informazione russi l’hanno in gran parte ignorata. Ed è anche un avvertimento meno aggressivo di quello che Putin aveva rivolto, il primo giorno di guerra, a quelli che avessero cercato di ostacolare i piani di Mosca, minacciando conseguenze “che non avete mai affrontato nella vostra storia”.
Questa bizzarra iniziativa diplomatica sembra comunque avere poco effetto sui combattimenti nel Donbass: indipendentemente dalle obiezioni di Mosca, gli ucraini riceveranno obici statunitensi da 155 millimetri e, a quanto pare, carri armati tedeschi Leopard-1.
Putin, intanto, insiste su un punto: “La questione principale non è il Donbass, ma la distruzione dell’ordine mondiale unipolare dominato dagli Stati Uniti”. Forse, quindi, le minacce di Mosca sulle conseguenze dell’invio di armi si riferivano alla decisione di Finlandia e Svezia di aderire alla Nato: una novità che è un duro colpo per l’idea del Cremlino di un occidente diviso e debole.
Con la maggior parte delle forze armate convenzionali concentrate in Ucraina, l’unico strumento che Mosca ha a disposizione per contrastare le presunte minacce alla sua sicurezza provenienti dal nord è l’arma nucleare. Gli esperti russi stanno già studiando nuove tattiche per fare pressione sull’occidente. Un piano per spostare decine di armi nucleari tattiche nei depositi appena rimodernati nell’exclave russa di Kaliningrad, tra Polonia e Lituania, dovrebbe essere annunciato nelle prossime settimane. Ma difficilmente la sicurezza russa migliorerà.
Una probabile rivolta
Sventolare la minaccia nucleare sotto il naso dell’occidente aumenterà i rischi, ma non offrirà alla Russia alcun vantaggio nel suo faccia a faccia con gli Stati Uniti e l’Europa, che – nell’immaginario di Putin – sono sull’orlo del collasso a causa della recessione economica, delle divisioni politiche e della decadenza morale. In realtà è proprio la Russia di Putin a trovarsi in questo stato. Le sue possibilità di sopravvivere all’attuale catastrofe diminuiscono a mano a mano che la devastante guerra in Ucraina va avanti.
Se Mosca non riuscirà a raggiungere degli obiettivi militari anche minimi la prospettiva di un fallimento dovrà essere presa in considerazione. Ma i generali, che hanno visto la determinazione della difesa ucraina e la demoralizzazione delle proprie truppe, saranno i primi a opporsi al tentativo del dittatore del Cremlino di scaricare le responsabilità della sconfitta su di loro. Il conflitto tra Putin e i vertici militari non si risolverà con purghe in stile staliniano, perché durante un conflitto la struttura di comando delle forze armate va preservata. Di conseguenza, la prospettiva di una rivolta dei generali russi sembra sempre più probabile. ◆ ab
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Questo articolo è uscito sul numero 1457 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati