Negli archivi di sorveglianza del carcere Changi di Singapore è conservato un video di Jolovan Wham, nudo e solo, che interpreta Amleto. Nel 2017 Wham è stato arrestato con l’accusa di assemblea pubblica illegale per aver organizzato una piccola protesta su un treno della metropolitana. All’inizio del 2021 è stato dichiarato colpevole. Poteva scegliere tra una multa di ottomila dollari di Singapore (5.200 euro) e 22 giorni di carcere.
Wham, come le proteste per cui è diventato famoso, è silenzioso e animato da una sorta di malizia contenuta. Nato e cresciuto a Singapore, ha fatto l’attivista per la maggior parte della sua vita adulta, ammirato dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani ma dipinto dalla classe dirigente come un fantoccio finanziato dall’estero.
Per il modo in cui sottolineano le assurdità del sistema di Singapore, le sue contestazioni sembrano una sorta di performance artistiche. È stato arrestato più volte, condannato per aver tenuto un’assemblea pubblica (da solo) e per aver offeso il sistema legale su Facebook.
A Singapore fare attivismo è una faccenda complicata. Fin dall’indipendenza, nel 1965, il governo è controllato da un unico partito, il Partito d’azione popolare (Pap). Negli anni il Pap ha creato una burocrazia tra l’autocratico e il democratico che per gli stranieri è quasi impossibile da comprendere. A Wham, che per dieci anni, fino al 2016, è stato direttore esecutivo di un’organizzazione per la difesa dei diritti dei migranti, avevano consigliato di esercitare pressioni discrete, di non essere mai aggressivamente critico nei confronti della politica o del Pap e di evitare di unirsi a gruppi che lottano per la democrazia. Tirare troppo la corda o superare certi limiti sarebbe stato controproducente per lui e per il suo lavoro.
“Ero stanco di dovermi censurare per ‘rispettare i limiti’”, dice Wham. “Queste strategie non hanno fatto altro che rafforzare l’autoritarismo”. Quindi è passato a una linea più conflittuale. Quando nel febbraio 2021 è stato dichiarato colpevole, Wham era già stato in prigione due volte. Si è rifiutato di pagare la multa ed è andato a Changi per la terza volta.
È stato messo subito in isolamento per quindici giorni, una misura introdotta per impedire ai nuovi arrivati di diffondere il covid-19 nel carcere. Ai detenuti vengono distribuiti dei tablet con una serie di libri, per lo più classici non protetti da copyright. Per sfuggire alla noia e alla solitudine, Wham ha cominciato a esibirsi. “Ho trovato Amleto, l’avevo letto vent’anni prima. Ricordo che mi era piaciuto”, dice. “Quindi ho imparato molti monologhi. E li ho recitati”.
Pensa che questo e tutto quello che ha fatto a Changi sia stato registrato. È difficile esserne sicuri. È stato costantemente osservato dalle telecamere di sicurezza, alcune dotate di microfono. I prigionieri non sanno quando o se le registrazioni sono controllate dalle guardie. Alcune sono telecamere smart, che inviano immagini in tempo reale a un sistema chiamato Avatar, che a sua volta dovrebbe essere in grado di rilevare comportamenti aggressivi. L’installazione di telecamere in ogni cella è una novità. Il penitenziario non ha voluto rispondere alle nostre domande, ma alcuni ex detenuti ci hanno detto che le videocamere hanno cominciato a comparire un paio di anni fa. Chi è in carcere è osservato per tutta la durata della detenzione, spiega Wham, con la scusa che è per la sua sicurezza. “È il tipo di giustificazione che viene data ogni volta che qualcuno vuole invadere la tua privacy. E a Singapore è un argomento molto efficace”, dice. “Nessuno può contestare qualcosa che è per la sua sicurezza”.
Migliaia di “lampioni intelligenti” controlleranno il traffico (e le persone)
Lo stesso succede fuori dalle carceri. Singapore si è costruita un nome con la disciplina “per-il-tuo-bene”, fatta di punizioni sproporzionatamente severe – compresa la pena di morte per il traffico di droga – che agiscono da deterrente contro qualsiasi disturbo dell’ordine sociale. A chi rimane entro i limiti offre benessere, prosperità e una sorta di libertà amorfa: ci si aspetta che il cittadino medio si fidi del governo in cambio di sicurezza, rinunci in parte al controllo sulle sue libertà individuali. La tecnologia sta diventando una parte sempre più visibile di questo scambio.
Scenario fantascientifico
Singapore è spesso rappresentata come un’aspirante utopia tecnologica. Nei video del Forum economico mondiale, nelle riviste di bordo degli aerei e nei docili mezzi d’informazione sovvenzionati dallo stato, presenta uno scenario quasi fantascientifico in cui autobus senza conducente percorrono le strade tra gli stabilimenti balneari e gli hub tecnologici, cani robot impongono il distanziamento fisico e taxi volanti volteggiano sopra case popolari dalle facciate di vetro e con lussureggianti “terrazze giardino”.
È un luogo in cui i progetti pilota suggeriscono un futuro, appena oltre l’orizzonte, dove i problemi irrisolvibili di oggi sono risolti dall’automazione; in cui le fattorie verticali e le acque reflue trattate riducono la dipendenza dell’isola dalla vicina Malaysia per prodotti alimentari e acqua; in cui i robot si prendono cura degli anziani e i droni caricano i mercantili; in cui magazzini e cantieri sono gestiti da macchine, eliminando la necessità dei lavoratori migranti che fanno funzionare Singapore ma mettono a disagio i suoi abitanti. La tecnologia assicura ai cittadini da mangiare e indipendenza, e li protegge da un mondo spaventoso, a cui sono comunque connessi tramite le telecomunicazioni e i viaggi aerei.
Questa sicurezza richiede una vigilanza costante. La città va tenuta d’occhio. Le telecamere intelligenti in fase di sperimentazione a Changi sono solo un esempio di questa tendenza a trattare la sorveglianza come parte della vita quotidiana. Novantamila videocamere della polizia già sorvegliano le strade; entro la fine del decennio saranno 200mila. I sensori, comprese le telecamere per il riconoscimento facciale e i sistemi di analisi della folla, sono posizionati in tutta la città. Questi strumenti sono usati in molti paesi, ma il Pap vede pericoli ovunque e sembra pronto a spiare la vita delle persone. “La tecnologia renderà la nostra vita molto più comoda, ci aiuterà a vivere bene”, dice Monamie Bhadra Haines, un’assistente dell’Università tecnica della Danimarca, che studia l’intersezione tra tecnologia e società. “Ma per il momento abbiamo solo la sorveglianza”.
Moltiplicatrici di forza
La città è nota per essere una delle più sicure al mondo, ma il modo in cui è gestita rivela una profonda e perenne insicurezza. Da quando si è separata dalla Malaysia nel 1965, quel “puntino rosso” che pende dall’estremità della penisola malese si è sempre considerato un’isola di prosperità circondata da vicini ostili che vogliono la sua terra e il suo denaro. I giovani di Singapore devono prestare due anni di servizio militare, e poi rimanere a disposizione dell’esercito per decenni.
A volte nei fine settimana, le trasmissioni radio sono interrotte da comunicati che invitano le riserve a raggiungere le loro postazioni di battaglia, e l’elenco dei nomi fa pensare a un’emergenza da guerra fredda.
I caccia F-15 dell’aviazione di Singapore volano regolarmente sopra lo spazio aereo dell’isola, partono da Paya Lebar, a nord, e sorvolano le centinaia di navi portacontainer che aspettano negli stretti che dividono Singapore dall’isola indonesiana di Batam, terra di licenziose sale massaggi, centri commerciali e fondamentalismo religioso.
Gli aerei sorvolano il profilo di vetro, acciaio e neon di Marina Bay e ronzano sopra l’hotel casinò Sands, un monumento al vizio e alla flessibilità dei princìpi della città-stato al servizio del capitale internazionale. Sotto i grattacieli, i gondolieri remano lungo un finto canale veneziano sotterraneo fiancheggiato da negozi di lusso e ristoranti costosi.
La terra su cui sorge la città trent’anni fa non esisteva. La maggior parte di Marina Bay è stata “bonificata” scaricando milioni di tonnellate di cemento e sabbia nel mar Cinese meridionale. Dal lato del mare, nuovi appezzamenti di terreno restano incolti, coperti di vegetazione verde scuro e brulicanti di insetti, in attesa che la terra si accumuli e si consolidi abbastanza da sostenere le fondamenta di un’altra fila di grattacieli tra la vecchia costa e la nuova. L’espansione di Singapore è un’aggressiva forma di difesa dai suoi limiti, la manifestazione concreta del fatto che questa piccola nazione considera l’ingegneria e la tecnologia moltiplicatrici di forza.
Il nostro paese ha “una fiducia quasi acritica nella tecnologia”, dice Adrian Kuah, che insegna politiche pubbliche all’università nazionale di Singapore. “La nostra storia è narrata usando il linguaggio della vulnerabilità e dell’insicurezza che ci costringe a essere uno, cinque, dieci passi avanti rispetto alla concorrenza”.
Gli investimenti nelle nuove tecnologie hanno indubbiamente contribuito a promuovere lo sviluppo economico di Singapore. Negli anni settanta, quando era già uno dei porti più trafficati del mondo, il governo offrì incentivi per attirare le aziende del settore. Negli anni ottanta, il paese era il più grande produttore mondiale di dischi rigidi, ed emerse da una recessione con una nuova filosofia: una miscela unica e ideologicamente inconciliabile di capitalismo thatcheriano e controllo statale. Così il governo cominciò a corteggiare il settore bancario internazionale con regolamenti permissivi, poche tasse e infrastrutture affidabili.
I primi fornitori commerciali di accesso a internet arrivarono a metà degli anni novanta e il governo inaugurò la rete a banda larga nazionale nel 1998. Nel 2013 ogni casa e azienda poteva usare la fibra ad alta velocità e il sistema 4g. Facebook, Twitter, ByteDance e Netflix hanno aperto sedi a Singapore, insieme a molte aziende tecnologiche più piccole.
Per attirare i nuovi settori in crescita – come la tecnofinanza, la sicurezza informatica e le tecnologie mediche – il governo ha investito direttamente nelle startup e ha creato un ambiente normativo che consente alle aziende di sperimentare senza troppi vincoli prodotti e tecnologie, dalle auto a guida autonoma ai pagamenti elettronici.
Con l’aumento della connettività e la diffusione degli smartphone, il governo ha cominciato a parlare della tecnologia come mezzo per raggiungere obiettivi sociali. Nel 2014 il primo ministro Lee Hsien Loong ha lanciato l’iniziativa Smart nation, promettendo di applicare tecnologie all’avanguardia a quasi ogni aspetto della vita nella città-stato, dai sistemi di trasporto ottimizzati con l’intelligenza artificiale ai pagamenti senza contanti nei leggendari hawker center (centri all’aperto dove si vende cibo di strada) e alla digitalizzazione dei servizi pubblici. “La nostra idea è che Singapore sia una nazione smart, in cui le persone hanno vite soddisfacenti grazie alla tecnologia, che offre opportunità entusiasmanti per tutti”, ha affermato Lee presentando il progetto. “Dovremmo vederlo nella nostra quotidianità, dove reti di sensori e dispositivi intelligenti ci consentono di vivere in modo sostenibile e confortevole”.
Da allora le ambizioni del governo sono cresciute. Grazie al piano “30 entro il 2030”, per la fine del decennio l’agricoltura verticale intelligente della città produrrà il 30 per cento del suo fabbisogno alimentare, rispetto all’attuale 10 per cento. Più di 100mila “lampioni intelligenti” monitoreranno il traffico e le condizioni ambientali (ma anche le persone). Dato che la popolazione sta rapidamente invecchiando, i robot aiuteranno gli anziani a mantenersi in forma, sani e saldi sulle loro gambe. Un database biometrico renderà ancora più rapido il passaggio attraverso i già veloci posti di controllo e migliorerà la sicurezza delle banche e dei servizi pubblici.
Queste iniziative, di solito lanciate in pompa magna e pubblicizzate acriticamente dai telegiornali, hanno lo scopo di garantire che Singapore sia regolarmente associata alla tecnologia più all’avanguardia, una sorta di paese ottimizzato per i motori di ricerca. Ma sono anche un’estensione naturale del metodo di governo del Pap. “A Singapore abbiamo una certa predilezione per l’aspetto tecnocratico della condizione umana”, dice Kuah, che dirige anche il centro ricerche dell’università nazionale di Singapore, il Futures office. La tecnologia è “la base del nostro discorso politico, l’essenza del nostro vocabolario”, dice. “Efficienza”.
Per il bene della società
L’offerta di servizi efficienti soddisfa quasi tutti i singaporiani. La fiducia nel sistema è alta e la maggior parte delle persone parla di esperienze positive, a volte frustranti, ma in genere positive. La convinzione che il cambiamento sociale deve svolgersi poco per volta ed essere garantito dal sistema è molto diffusa. Chiedere un drastico cambiamento non fa altro che ostacolare il progresso.
Questa idea è incarnata da persone come Gaurav Keerthi, un telegenico ex pilota dell’aeronautica laureato a Stanford, negli Stati Uniti. Di giorno è il viceamministratore delegato dell’agenzia per la cibersicurezza di Singapore; nel tempo libero guida i progetti dell’organizzazione non profit Better.sg, che ha contribuito a fondare. L’organizzazione si occupa di “tecnologia per il bene sociale”: crede nella soluzione digitale dei problemi della società e Keerthi è un esempio quasi perfetto di questo modo di vedere le cose.
La tecnologia viene usata per risolvere i problemi del governo più che dei cittadini
Ha conosciuto per la prima volta le organizzazioni tecnologiche per il bene sociale negli Stati Uniti, dice, ma ha scoperto che erano troppo contrapposte al sistema, concentrate sulla spesa pubblica o la polizia. “Negli Stati Uniti si tende a usare la tecnologia per costringere lo stato ad assumersi le sue responsabilità”, dice. “Forse sono ingenuo, ma non penso che questo sia necessario a Singapore”. Better.sg, che ha un migliaio di iscritti, lavora in settori di cui il governo non può o non vuole occuparsi, afferma Keerthi.
“Non ci chiediamo chi è responsabile del problema. Né a chi spetta la sua soluzione”, spiega. “Ci chiediamo solo: siamo in grado di cambiare questa situazione? Possiamo capovolgerla? Possiamo cambiare radicalmente il comportamento delle persone rendendolo migliore?”. Tra i progetti del gruppo ci sono una piattaforma che offre ai lavoratori immigrati la possibilità di telefonare in paesi come il Bangladesh spendendo poco e un’app chiamata Dieta per il clima, che consente di verificare l’impronta di carbonio dei propri pasti. Più controversa è un’app ancora in fase di sviluppo: il chatbot Incastra il predatore, che i genitori possono installare sui telefoni dei figli per monitorare le loro conversazioni.
Lo scopo del software sarebbe spingere potenziali adescatori ad autoincriminarsi e denunciare la loro attività alla polizia. “Non è qualcosa che può fare il governo. È quasi una trappola”, dice Keerthi, in tono pratico. “Stiamo risolvendo un vero problema sociale? Sì. I genitori ne sono entusiasti? Sì”.
Better.sg ha anche creato un videogioco di avventura a scelte multiple, #ToBeYou, che guida i giocatori attraverso le esperienze dei cittadini di Singapore di varie etnie. Inizialmente, alcuni nell’organizzazione volevano fare del razzismo il tema centrale del gioco. La discriminazione è molto presente nella narrazione, dice Keerthi, ma c’è altrettanto impegno ad aiutare i giocatori a “capire perché un personaggio cinese razzista la pensa in quel modo e imparare a immedesimarsi”.
Per illustrare come Better.sg cerca di stemperare le tensioni, Keerthi racconta che una persona dell’organizzazione proveniente dall’Asia meridionale ha proposto un progetto dopo un episodio che considerava razzista. Era andata da un medico di etnia cinese per un problema dermatologico, ma il medico si era rifiutato di visitarla dicendo che non poteva diagnosticare con sicurezza un disturbo su una pelle scura. La donna aveva deciso allora di costruire una raccolta di episodi simili. Keerthi le ha suggerito una soluzione alternativa: perché invece non creare una biblioteca d’immagini di come i disturbi dermatologici si presentano su diverse tonalità della pelle, per aiutare i medici?
Gli esperti di tecnologia sociale mettono in guardia contro gli atteggiamenti che marginalizzano l’esperienza delle minoranze, affermando che possono portare a una maggiore alienazione ed esclusione. Incalzato su questo, Keerthi dice di aver visto qualcosa di simile a #ToBeYou negli Stati Uniti. “Quando cominci a giocare sei un maschio nero. E alla fine di ogni storia, vieni ucciso da una persona bianca”, dice. “Mi chiedo: che senso ha questo gioco? Sta solo seminando ostilità. Sta sensibilizzando la gente su una questione importante, ma non migliora la società. Anzi, penso che peggiori le cose”.
Questa filosofia ha un suo peso a Singapore, dove governare dall’alto è la norma e le persone sono dissuase dall’esprimere le loro preoccupazioni e punite quando lo fanno. Questo può significare che la tecnologia aiuta a risolvere i problemi del governo più che dei cittadini. A volte può fondarsi su presupposti naïf. Per esempio, la creazione di piattaforme digitali centralizzate con i dati dei cittadini per il governo è una buona idea, ma crea solo problemi amministrativi ai cittadini, afferma Kuah.
Il piano di istruzione digitale per la pandemia presupponeva che tutti i bambini avessero accesso a un dispositivo elettronico e che in tutte le famiglie ci fosse un genitore che potesse seguirli, aggiunge. Ma non è stato così e le famiglie a basso reddito hanno sofferto in modo sproporzionato. “È evidente che queste disfunzioni sono collegate a determinate condizioni socioeconomiche”, dice Kuah.
Per osservatori come Kuah anche i sistemi che non sono stati progettati con cattive intenzioni possono essere disumanizzanti per chi non rientra nei loro parametri. “Penso che abbiamo sempre avuto questo amore per la tecnologia, che ovviamente è importante perché ogni società vuole essere lungimirante. Ma abbiamo perso di vista la dimensione umana”, dice. “Ci siamo dimenticati di chiedere: per chi e a quale scopo?”.
Il pretesto della pandemia
Singapore ha attivato il suo “interruttore automatico” il 7 aprile 2020. Con l’aumento dei casi di covid-19, il governo ha bloccato l’intero paese. Ai residenti è stato detto di rimanere in casa e di uscire solo per acquistare beni di prima necessità o per fare esercizio fisico. Ma lontano dalla città, nei dormitori degli immigrati – enormi complessi simili a caserme che ospitano circa trecentomila lavoratori, per lo più provenienti dall’Asia meridionale – nessuno poteva uscire.
Si è sempre pensato che i lavoratori immigrati di Singapore vivessero in un mondo parallelo, separato dal resto della società. Il loro rapporto con la città-stato è deliberatamente, esplicitamente di natura commerciale. Possono arrivare, costruire grattacieli e tunnel, spazzare le strade, eliminare con l’accetta le piante della giungla che invadono le strade e le case. Possono guadagnare soldi da mandare a casa. Ma non saranno mai veri cittadini.
Il loro lavoro e le loro identità sono chiaramente mercificate, cosa che, a volte, è dolorosamente visibile. In un paese ossessionato dalla sicurezza, dove il vagabondaggio e il mancato uso della cintura in auto possono essere puniti con il carcere, i lavoratori immigrati possono essere trasportati sulle superstrade sistemati nel retro dei veicoli commerciali. Le richieste di cambiare questo sistema dopo la serie di incidenti mortali di quest’anno sono state respinte, perché sarebbero state troppo costose per i datori di lavoro.
Il coronavirus è dilagato negli affollati dormitori. Alla fine del 2020 più di 150mila lavoratori immigrati, quasi la metà del totale, erano stati contagiati, rispetto ai quattromila tra i residenti. Per il resto del paese, il lockdown è durato poco meno di due mesi. Per gestire il ritorno a qualcosa che si avvicinasse alla normalità, il governo si è naturalmente rivolto alla tecnologia.
Il sistema TraceTogether chiedeva agli abitanti di scaricare un’app e registrarsi usando il numero della carta d’identità o di poter essere identificati attraverso il bluetooth. Per entrare in qualsiasi edificio, dovevano registrarsi con un codice qr, SafeEntry. TraceTogether era inizialmente volontario, ma i due sistemi poi sono stati fusi, rendendo essenzialmente obbligatorio avere un’app di tracciamento. Entrambi sono stati collegati agli account Singpass e HealthHub, i portali digitali per accedere ai servizi statali. Questo significa che gli status vaccinali e i risultati degli ultimi test per il sars-cov-2 sono visualizzati su tutte le piattaforme.
C’è stato un certo nervosismo nei confronti di quello che è in poche parole un sistema di sorveglianza di massa sempre attivo, ma il governo ha assicurato che i dati sarebbero stati usati solo per tracciare i contatti. Alla fine ne valeva la pena: il sistema ha permesso la riapertura di bar, ristoranti e centri commerciali. Dava più libertà di quanta ne togliesse ed è diventato presto un’abitudine. Gli utenti si mettevano in coda alle porte, facevano la scansione ed entravano in alcuni casi mostrando il loro certificato a degli studenti annoiati o a delle guardie di sicurezza settantenni impiegate come prima linea di difesa contro il virus.
Ma nel caso degli immigrati, la tecnologia è stata invadente. Per loro TraceTogether è stato obbligatorio fin dall’inizio della pandemia. La maggior parte usava già anche l’app SGWorkPass, che conteneva informazioni di base sul loro stato lavorativo.
Durante la pandemia, l’app è stata ampliata per incorporare altri dati: le condizioni di salute delle altre persone che vivono nei loro dormitori, se hanno fatto o saltato un tampone programmato, se hanno usato il tempo libero a loro assegnato. Ogni mattina, i lavoratori controllano l’app per vedere se sono autorizzati a lasciare i dormitori.
“A volte è rosso, a volte è verde. Se è verde, posso andare a lavorare, se è rosso, no”, dice Shamim, un operaio del Bangladesh. Deve usare TraceTogether per entrare e uscire da qualunque luogo e registrare la sua temperatura due volte al giorno su un’altra app.
“In nome dell’efficienza, praticamente tutto è permesso”
All’interno dei dormitori, i sistemi sembrano calibrati per attivare lockdown quasi costanti. Ogni volta che viene riscontrato un caso positivo in un dormitorio, i residenti vengono isolati. A 18 mesi di distanza, gli immigrati erano ancora in gran parte rinchiusi. Potevano uscire solo per lavorare o, una volta alla settimana, per passare qualche ora in un centro ricreativo designato. All’inizio del 2021 Shamim ha trascorso quattro mesi di fila rinchiuso. “Stavamo tutto il giorno nel dormitorio, nella stessa stanza. Non potevamo uscire, ci era permesso solo andare in bagno e fare la doccia. Non potevo nemmeno uscire nel corridoio”. La notte era il momento peggiore. Avendo passato la maggior parte della giornata seduto sul suo letto a guardare film sul cellulare, non riusciva a dormire. “È stato un momento molto, molto brutto”, dice. “Ci siamo impigriti, e ci sentiamo molto deboli”. L’espansione di TraceTogether e SGWorkPass combinati è un modello diffuso, afferma Alex Au, vicepresidente dell’organizzazione per la difesa dei diritti degli immigrati Transient workers count too (Twc2): le leggi, i sistemi e la tecnologia vanno al di là delle motivazioni per cui sono stati creati. “Il problema di queste app multiuso è che in parte possono essere legittime o giustificabili. Ma questo non vuol dire che non si possano mettere in discussione le parti che non lo sono”. Nell’agosto 2020 la polizia ha introdotto un nuovo strumento per monitorare i dormitori. Oltre ai droni, ha creato un tipo di robot, chiamato M.A.T.A.R, che serve a pattugliarli e a far rispettare le regole del “distanziamento di sicurezza”.
Gli immigrati di Singapore sono abituati a vedersi imporre la tecnologia. Nel dicembre 2019 Twc2 ha presentato un rapporto al relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, descrivendo in dettaglio come la tecnologia di Singapore legata all’occupazione (che può gestire qualsiasi cosa, dai permessi di lavoro alle controversie) spesso svantaggi i lavoratori e dia troppo potere ai capi. I lavoratori stranieri dovevano già accettare una raccolta di dati più invasiva e varie tecnologie e sistemi di gestione. Con la pandemia, sono stati inclusi anche i dati relativi alla salute. Il ministero del lavoro non ha risposto alla richiesta di un’intervista di Rest of World.
La società di Singapore ha avuto un altro esempio di come funziona il sistema a gennaio del 2021. A giugno del 2020, per provare a convincere il maggior numero di cittadini a iscriversi a TraceTogether, il governo aveva garantito che i dati personali erano al sicuro e che sarebbero stati usati solo per il tracciamento dei contatti. Sette mesi dopo, ha ammesso che non era vero: la polizia poteva accedere a quei dati e li aveva già usati in un’indagine. Questa smentita non ha sorpreso gli esperti e gli attivisti per la difesa della privacy, secondo cui lo stato è poco trasparente sull’uso dei dati personali.
“Non c’è trasparenza su ciò che fa il governo”, dice Indulekshmi Rajeswari, un attivista. “Alcune di queste cose vengono fuori solo se c’è una violazione”. E le violazioni dei dati ci sono state. A gennaio del 2019 il governo ha ammesso che i nomi e gli indirizzi di 14mila cittadini e residenti di Singapore affetti da hiv erano stati diffusi online. In un paese in cui è illegale per gli uomini fare sesso con altri uomini, l’episodio è stato percepito come uno straordinario abuso. Un’altra violazione è avvenuta quando la corrispondenza privata fra tredici detenuti nel braccio della morte e i loro avvocati è stata trasmessa all’ufficio del procuratore generale. L’alta corte di giustizia ha poi affermato che il governo non poteva esserne ritenuto responsabile.
Danni collaterali necessari
A volte i dati sono resi noti deliberatamente. A dicembre del 2019 l’ente che amministra il sistema pensionistico statale ha rivelato il nome di una donna che aveva fatto scalpore dicendo di essere stata spinta a tentare il suicidio dalle difficoltà economiche. Questi incidenti sono visti come aberrazioni o come danni collaterali necessari per garantire l’efficienza. Il governo è riuscito a giustificare la raccolta e l’uso dei dati sottolineando che forniscono gli strumenti per migliorare l’amministrazione. Ma non ha introdotto alcun meccanismo di controllo.
“L’efficienza è il principio fondamentale di tutto. Questo non significa necessariamente efficienza per i cittadini, piuttosto per il governo”, dice Rajeswari. “In nome dell’efficienza, ogni cosa è permessa”. Le persone devono fidarsi dell’affermazione che ci sono dei limiti a questo principio organizzativo. Ma se il governo cambiasse idea sull’applicazione della legge sull’omosessualità, per esempio, “sarebbe in grado di usare i dati sulla posizione di ogni omosessuale di Singapore per vedere chi sta incontrando”, dice Rajeswari.
Alla fine i robot sono usciti dai dormitori prima degli immigrati. Nel settembre 2021 l’Agenzia per la scienza e la tecnologia, che ha ideato i robot M.A.T.A.R usati nei dormitori, ha cominciato a testare un altro sistema, quasi identico. Nuovi robot, chiamati “Xavier”, che sembrano uscire dai film di fantascienza degli anni settanta, squadrati e sormontati da una serie di telecamere e sensori, hanno cominciato a pattugliare Toa Payoh, un quartiere residenziale nel centro di Singapore. Gli Xavier non hanno solo il compito di controllare il distanziamento fisico. Le loro telecamere sono in grado di rilevare automaticamente comportamenti antisociali, dai fumatori alle bancarelle illegali di cibo agli assembramenti, inoltre abbaiano ordini dagli altoparlanti, registrano video e riferiscono al quartier generale.
Le autorità li hanno trovati così utili che li usano per attività di sorveglianza più rigide nelle zone marginali su persone come detenuti e immigrati, che riscuotono poca simpatia dalla stampa popolare e che hanno poche possibilità pratiche di farsi sentire o difendersi.
Ma gli attivisti e gli studiosi con cui abbiamo parlato hanno tutti detto che quello che all’inizio è rivolto contro le categorie private della libertà spesso trova la strada per arrivare al resto della popolazione. “Molti di questi spazi ai margini diventano luoghi per sperimentare la tecnologia”, afferma Bhadra Haines. “Sembrano spazi eccezionali, ma non lo sono. Con il tempo diventano comuni”.
La pandemia ha fornito una buona copertura a questa espansione: un’emergenza totalizzante permette di considerare ogni individuo una minaccia per l’ordine pubblico. Ci sono pochi modi affidabili per registrare la temperatura politica a Singapore, dato che pubblicare sondaggi prima delle elezioni è illegale. Ma sui social network e nelle conversazioni private c’è chiaramente insofferenza per le regole legate alla pandemia, che sono passate da permissive a restrittive e viceversa mentre il paese cercava di capire quanto era disposto a “convivere con il covid”. Pochi esperti si aspettano che le misure di sorveglianza introdotte per il tracciamento dei contatti saranno ritirate, quando il rischio di contagio sarà diminuito.
Wham, ora fuori di prigione ma con altre accuse pendenti, affronta questa sorveglianza totale con un misto di estrema cautela – al limite della paranoia – e accettazione fatalistica. Tiene il cellulare in una borsa schermata ed evita di scaricare software dello stato.
“Credo che il governo abbia accesso a tutti i dati”, dice. “Qualcuno potrebbe pensare che esageri. Ma vivendo in uno stato autoritario, non credo di esagerare”. Ammette che spesso non si preoccupa più di usare la borsa schermata, tanto se il governo vuole sapere qualcosa su di lui troverà il modo di farlo.
Anche Wham, come gli attivisti e gli studiosi intervistati, crede che per i dissidenti la situazione stia peggiorando. È difficile misurarlo, ma c’è un nervosismo generale. Gli studiosi lamentano una maggiore interferenza nelle loro ricerche. Commentatori che prima parlavano dello stato del paese ora si rifiutano educatamente di farlo. Per ogni accademico citato in questo articolo, molti altri hanno chiesto di parlare in termini generici, anche del proprio lavoro.
Il governo ha recentemente approvato due leggi che gli danno ancora più potere sul dibattito pubblico. Una per contrastare la disinformazione, che però è stata usata principalmente per prendere di mira i politici dell’opposizione, i mezzi d’informazione indipendenti e gli avversari del partito di governo. E un’altra che consente al ministro degli interni di chiedere di controllare la situazione finanziaria di individui o organizzazioni “esposti a influenze politiche straniere”.
Azioni sproporzionate
Il giro di vite potrebbe essere un riflesso delle insicurezze del governo. L’attuale primo ministro Lee Hsien Loong figlio del primo leader del paese, Lee Kuan Yew, dovrebbe andare in pensione, ma non ha un successore chiaro. Alle elezioni del 2020, la percentuale di voti ottenuti dal Pap è diminuita in modo significativo.
Wham, che continua il suo lavoro di attivista, ha trasformato il tempo passato in carcere in un’altra opportunità per attirare l’attenzione sulla sproporzione delle azioni dello stato contro di lui.
Mentre si trascina dentro e fuori dal tribunale per rispondere di altre accuse, vuole anche avviare un’azione legale per chiedere al governo cosa farà di tutti i dati che ha raccolto su di lui. “Voglio portare la questione in tribunale per chiedere: cosa fate con quel filmato di me che ballo nudo in cella?”, dice. “Capisco il bisogno di sicurezza, ma cosa volete fare con quel video? Come vi assicurerete che non ne venga fatto un cattivo uso? Che qualche tipo strano non decida di masturbarsi guardandolo? Penso che queste siano domande che è importante farsi”. Non ha ancora trovato un avvocato disposto a rappresentarlo. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati