Il terremoto che il 6 febbraio ha devastato la Siria e la Turchia avrà implicazioni interne, regionali e internazionali, lasciando dietro di sé un cataclisma umanitario ed economico. Quali saranno le sue conseguenze sul futuro politico del presidente siriano Bashar al Assad e di quello turco Recep Tayyip Erdoğan? Che influenza avrà sugli interessi delle potenze globali e regionali in Siria? Sono molti gli aspetti da considerare. Concentriamoci prima sulla Siria, dove è improbabile che la solidarietà internazionale e araba porti a una riabilitazione politica del regime di Assad.
Interessi e calcoli
Gli europei non si affretteranno a normalizzare le relazioni con il governo siriano e probabilmente gli Stati Uniti bloccheranno ogni tentativo di aggirare le sanzioni. La Russia è presa dal conflitto con l’Ucraina e la Nato, ma visti i suoi legami con il regime fornirà assistenza nella misura in cui potrà farlo. Mosca punterà anche a bilanciare con cura i suoi interessi, considerati i rapporti sia con la Turchia sia con l’Iran (due paesi con interessi contrastanti nella Siria dilaniata dalla guerra), soprattutto perché il terremoto ha colpito gran parte delle aree controllate dai ribelli nel nordovest del paese.
Aleppo in particolare soffre di una ferita aperta. L’antica città era già devastata da anni di bombardamenti prima che il terremoto la colpisse. Inoltre è vicina al confine con la Turchia, e Ankara non gradirà il messaggio che l’Iran ha inviato ai siriani dopo il terremoto: “Siamo qui e abbiamo il controllo della situazione”. Aleppo dunque potrebbe essere il punto di partenza di uno stallo nella rivalità turco-iraniana che danneggerà la città e le persone che ci vivono.
La Turchia e la Siria potrebbero essere costrette a migliorare le loro relazioni a causa del disastro. Tuttavia, la recente spinta al riavvicinamento tra i due paesi ora potrebbe rallentare, non solo perché sono impegnati dalla catastrofe, ma anche a causa della competizione tra Teheran e Ankara in questo momento estremamente delicato.
L’Iran dovrà tenere conto dell’impatto del terremoto sui suoi progetti regionali, e mollare un po’ la presa. In effetti, le ricadute del disastro costringeranno diversi attori a rivedere drasticamente le loro scelte politiche. La Siria resta un punto fondamentale nelle ambizioni strategiche del regime iraniano, e Teheran è determinata a scongiurare qualunque cosa possa metterlo in discussione.
Nessuna deroga
Gli Stati Uniti difficilmente revocheranno le sanzioni contro Damasco per ragioni umanitarie, pur avendo annunciato un allentamento delle restrizioni per consentire i soccorsi. Washington probabilmente prenderà in considerazione dei meccanismi che integrino il lavoro delle organizzazioni umanitarie internazionali, tra cui ci sono le agenzie delle Nazioni Unite, ma non accetterà di trattare con il regime per distribuire gli aiuti nelle aree colpite, né in quelle sotto il controllo governativo né in quelle in mano ai ribelli.
I politici statunitensi non vogliono fornire nessuna legittimità al regime di Assad. Cercheranno di assicurarsi che Washington non conceda deroghe alla legge Caesar, emanata dal congresso statunitense per colpire individui e aziende che finanziano o danno assistenza al regime, e anche per danneggiare le entità iraniane e russe che lo sostengono.
I repubblicani al congresso stanno lavorando a un piano per evitare che gli aiuti e i soccorsi destinati alla Siria finiscano nelle mani del regime e che il veto russo al Consiglio di sicurezza dell’Onu blocchi l’apertura di corridoi umanitari verso le aree controllate dai ribelli. Alcuni repubblicani ritengono che l’Onu e altri strumenti internazionali siano inadeguati, e ne chiedono di nuovi per coordinare le forze statunitensi in Siria e l’esercito turco, aggirando il governo siriano, e per fornire così gli aiuti alle aree colpite. Si cerca di elaborare un piano sostenibile per distribuire immediatamente gli aiuti, senza attendere l’approvazione del governo di Assad. Il congresso sta anche lavorando all’approvazione di ulteriori leggi che impediscano a Damasco – come ai suoi sostenitori in Iran e alla milizia libanese Hezbollah – di trarre vantaggio dal disastro.
La Turchia, intanto, è in serie difficoltà economiche. Con città e paesi devastati, per la ricostruzione saranno necessari miliardi di dollari. Questo senza contare i milioni già inviati come aiuti immediati. Ma il terremoto arriva in un momento in cui l’occidente è ancora concentrato sulla guerra in Ucraina e sulla presunta opposizione del governo turco all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato.
Nel 2022 Ankara si è opposta alla richiesta dei due paesi scandinavi di aderire all’alleanza, affermando che “ospitano organizzazioni terroristiche ostili alla Turchia”. Inoltre, ha continuato a intrattenere legami economici con la Russia. La questione è se prenderà in considerazione l’idea di revocare il suo veto ora che cerca di ottenere aiuti finanziari da Stati Uniti ed Europa.
Il terremoto potrebbe paralizzare molti dei progetti di Ankara, dall’Asia centrale al Caucaso, fino al Nordafrica. Probabilmente imporrà dei cambiamenti all’ambiziosa agenda di politica estera di Erdoğan e metterà un freno ai suoi ripetuti appelli per la creazione di una zona cuscinetto controllata dalla Turchia all’interno del territorio siriano.
Quali saranno le conseguenze per le ambizioni di Mosca è un’altra domanda aperta. Il destino dell’economia russa, in certa misura, è legato alle politiche di Ankara.
Infine, il terremoto potrebbe alterare il calcolo elettorale in Turchia per una serie di motivi. Uno è che Erdoğan, per convincere gli elettori dell’efficacia del suo ambizioso programma per il paese, finora ha fatto leva sulla politica estera.
Se dovesse concentrarsi sul fronte interno, come sarebbe comprensibile, potrebbe perdere una delle sue carte vincenti nella campagna per assicurarsi la rielezione a maggio.
In altre parole, il terremoto potrebbe avvantaggiare l’opposizione turca. Lo spostamento dell’attenzione dalla politica estera alle questioni interne offre all’opposizione la possibilità di mettere insieme una coalizione più forte. Ma si tratta di un’arma a doppio taglio: lo stato di emergenza imposto dopo il terremoto rischia di essere un’opportunità elettorale tanto per il partito di governo quanto per l’opposizione.
Ovviamente è ancora troppo presto per valutare tutte le dimensioni del disastro, che ha ucciso quasi 40mila persone. Per ora, il mondo assiste alla tragedia. Questa attenzione prima o poi inevitabilmente si sposterà verso altre crisi globali – quelle in corso e le prossime –, ma la sofferenza dei sopravvissuti in Siria e in Turchia durerà ancora molto tempo. ◆ fdl
◆ Una delegazione delle Nazioni Unite il 14 febbraio 2023 è entrata per la prima volta dopo il terremoto nelle zone ribelli del nordovest della Siria, per valutare le necessità della popolazione duramente colpita dal disastro. La delegazione è arrivata dalla Turchia attraverso il valico di frontiera di Bab al Hawa. Il giorno prima il presidente siriano Bashar al Assad aveva accettato di aprire altri due valichi di frontiera, Bab al Salam e Al Rai, tra la Turchia e la Siria nordoccidentale, per almeno tre mesi, in modo da consentire agli aiuti di entrare nel paese. Assad ha anche lanciato un appello all’Onu per ricostruire le regioni distrutte dal sisma.
Al Jazeera nota che “Damasco ha colto l’opportunità” del terremoto per chiedere la fine delle sanzioni occidentali contro la Siria. Le sanzioni prevedevano già una deroga per gli aiuti umanitari, ma il 9 febbraio gli Stati Uniti hanno deciso di sospenderle per sei mesi su tutte le transazioni relative all’assistenza, facilitando così le attività di donatori e organizzazioni. Washington ha però ribadito che continuerà a consegnare aiuti alla Siria senza trattare con il regime di Assad. L’emittente qatariota aggiunge che “gli esperti hanno a lungo sottolineato come Assad abbia usato le stesse restrizioni imposte dall’occidente per colpire i gruppi di opposizione e le regioni sotto il loro controllo”.
Secondo Enab Baladi, il grande vincitore della catastrofe è proprio Assad. “Il regime siriano approfitta del terremoto per rompere il suo isolamento”, titola il giornale indipendente siriano, secondo il quale la vera intenzione di Assad è sbloccare i soldi della Banca centrale siriana congelati dalle sanzioni. “Il presidente intende spenderli a favore del suo regime, e certamente non per i bisogni della popolazione di Idlib”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati