Cosa c’entrano le forze angeliche della schiera celeste con gli orgasmi? Per il filosofo e teologo medievale Maimonide, la risposta era semplice: alcune forze invisibili che generano movimento potevano essere ricondotte all’azione di Dio attraverso gli angeli. Citando un famoso rabbino che parlava di “angelo incaricato della lussuria”, Maimonide osservò: “Intendeva dire la forza dell’orgasmo. Anche questa forza è dunque chiamata angelo”.
Prima della scoperta della gravità, dell’energia o del magnetismo, il comportamento del cosmo restava un mistero, e gli angeli offrivano una spiegazione al movimento delle entità fisiche. Per Maimonide, per esempio, i pianeti erano intelligenze angeliche perché seguivano le loro orbite celesti.
Prima della scoperta della gravità o dell’energia, il comportamento del cosmo restava un mistero, e gli angeli offrivano una spiegazione al movimento delle entità fisiche
Oggi la maggior parte dei fisici esclude gli angeli come spiegazione dei fenomeni naturali, ma senza di loro la fisica moderna avrebbe potuto essere molto diversa. Nel corso del tempo gli scienziati hanno continuato a ipotizzare intelligenze incorporee per dare senso all’inspiegabile. Forze angeliche malevole, cioè i demoni, hanno attraversato la storia della fisica come protagonisti di affascinanti ipotesi sperimentali. I “demoni della fisica” hanno svolto il ruolo di strumenti concettuali, aiutando i ricercatori a modellare teorie per spiegare delle soluzioni appena immaginate a fenomeni meno evidentemente comprensibili..
Ma questa non è l’eredità più significativa dell’angelologia medievale. Gli angeli hanno alimentato dibattiti rigorosi sulla natura dello spazio, dei corpi e del movimento, contribuendo a definire una sorta di cassetta degli attrezzi concettuale per i fisici che hanno affinato idee fondamentali come spazio e dimensione, gettando le basi della nostra attuale comprensione del cosmo.
Gli angeli esistono almeno dai tempi della Bibbia e sono descritti in modi diversi, a volte sorprendenti. Nel libro di Ezechiele, per esempio, i cherubini hanno ruote intersecanti, scintillanti come topazi, che gli permettono di muoversi in tutte le direzioni senza girarsi. Tutti i loro corpi – compresi dorsi, mani e ali – sono completamente ricoperti di occhi, così come le loro quattro ruote. Tuttavia, oltre a queste visioni di creature dagli occhi onnipresenti, gli angeli erano anche un modo per spiegare il movimento. Considerati sostanze spirituali, potevano assumere l’aspetto di esseri corporei, ma agivano anche come forze invisibili, intelligenti e immateriali.
Questa idea degli angeli come intelligenze senza corpo diventò abituale nella filosofia e nella teologia medievali. Ma la filosofia scolastica voleva soprattutto sistematizzare. La natura esatta, o l’essenza, degli angeli furono oggetto di accesi dibattiti che non erano semplici esercizi speculativi. Anzi, dal momento che l’esistenza degli angeli era una credenza reale, teologi e filosofi li consideravano uno strumento per comprendere la natura del mondo fisico e concetti come il luogo, i corpi e il movimento. Queste riflessioni erano guidate da importanti questioni teologiche. Una delle principali riguardava la distinzione tra angeli e Dio: se gli angeli sono intelligenze immateriali, cosa li differenzia da lui? Per gli esseri umani, il corpo è ciò che rende limitati, capaci di esercitare forza solo in modo diretto, come quando si lancia una palla. Ma gli angeli, privi di corpo, potevano forse esistere ovunque o agire a distanza? Questo era un terreno insidioso per i teologi, perché rischiava di mettere in discussione l’onnipresenza e l’onnipotenza di Dio.
L’idea prevalente era che gli angeli dovessero essere senza corpo. La questione di come localizzarli fu affrontata da teologi di primo piano come Pietro Lombardo, Tommaso d’Aquino, Pietro di Giovanni Olivi, Egidio Romano, Alessandro di Hales, Giovanni Duns Scoto, Bonaventura da Bagnoregio e molti altri. Non era una disputa accademica di nicchia per studiosi e pedanti, ma un tema centrale nei dibattiti che ridefinivano i confini e le intersezioni tra fisica, filosofia e teologia. L’angelologia e la sua integrazione con la fisica avrebbero spinto i pensatori successivi a interrogarsi non solo sulla natura dei corpi, dei luoghi e del movimento, ma anche, e soprattutto, sulle loro relazioni reciproche.
La chiave per capire i dibattiti sugli angeli nell’epoca scolastica è sapere quali strumenti concettuali offriva la fisica di allora. Di fatto, si trattava della fisica di Aristotele. La sua concezione di luogo, movimento e corpi aveva modellato profondamente la visione medievale del mondo. Teologi di primo piano, come Tommaso d’Aquino, si basarono proprio sulle idee aristoteliche per interrogarsi sulla natura concreta degli angeli.
Per Aristotele, la fisica riguardava il movimento delle cose, non in termini di gravità, energia cinetica o deformazione dello spaziotempo, ma in funzione della loro natura intrinseca. Il fuoco va per natura verso l’alto, mentre la terra si muove per natura verso il basso. Per questo motivo la fiamma lambisce l’aria e un sasso cade a terra.
Allo stesso modo, il filosofo greco non concepiva lo spazio come un’entità assoluta, ma parlava di “luogo”, un concetto che, a differenza dello spazio assoluto di Newton o dello spaziotempo di Einstein, non esiste in modo indipendente dai corpi che lo occupano. Come osserva la filosofa Tiziana Suárez-Nani in Angels, space and place (2008), “lo spazio come ricettacolo indifferenziato e omogeneo era estraneo allo spirito medievale”. Per Aristotele, i corpi non potevano esistere senza il luogo, che ne era il contenitore. Allo stesso modo, perché ci fosse un luogo dovevano esserci dei corpi. In altre parole, per Aristotele il vuoto non è possibile. Questo influenzò profondamente il modo in cui gli studiosi medievali intendevano il movimento. L’idea era che i corpi si muovessero in virtù della loro natura intrinseca, che determinava anche la direzione del loro moto. Di conseguenza, anche il luogo doveva essere dotato di una sua direzione.

Oggi sappiamo che la direzione nello spazio è relativa a un punto di riferimento iniziale e che l’universo non ha un “su” o un “giù” assoluti. Ma nella visione aristotelica, il confine esterno delle sfere celesti fungeva da riferimento assoluto per il su, mentre la Terra era un punto fisso al centro del cosmo. Il concetto di luogo non era quindi neutro, ma intrinsecamente strutturato in termini di alto e basso, sinistra e destra. Il luogo esercitava un’influenza sui corpi, che rispondevano alla sua chiamata secondo la loro natura: il fuoco, per esempio, poteva spostarsi verso un luogo in alto, ma non uno in basso.
In sintesi, nella fisica aristotelica corpi, luogo e movimento erano legati strettamente, ciascuno dipendente dall’altro. Ma cosa c’entra tutto questo con gli angeli? Come abbiamo visto, le preoccupazioni teologiche dell’epoca imponevano che gli angeli fossero localizzati ma privi di corpo, per evitare di attribuirgli un potere illimitato che li avrebbe resi onnipresenti e onnipotenti. Dato che la fisica aristotelica dominava il pensiero medievale, gli studiosi dell’epoca cercarono di affrontare il problema della localizzazione angelica all’interno di quel paradigma.
Di norma, un corpo materiale è localizzato dal suo essere fisico. Ma come si può attribuire una collocazione agli angeli, che sono immateriali? Tommaso d’Aquino e altri pensatori risposero definendo la localizzazione angelica non in termini di estensione fisica, ma di azione. Tommaso d’Aquino sosteneva che gli angeli possiedono una forma di localizzazione diversa da quella dei corpi: un angelo si trova in un luogo non perché occupa spazio, ma perché esercita il suo potere sugli oggetti presenti in quel luogo. In questo modo, il suo raggio d’azione e la sua localizzazione erano delimitati non dalla materia, ma dalla sua capacità d’interagire con il mondo.
Tuttavia la fisica aristotelica sollevava non poche perplessità tra i leader ecclesiastici del duecento. Se ogni corpo necessita di un luogo per esistere, questo potrebbe porre un limite al potere divino. Alcuni teologi obiettavano che, se Dio lo volesse, potrebbe creare una roccia che esiste senza un luogo. Però secondo Aristotele questo sarebbe impossibile. Così, quando la discussione sulla natura degli angeli si trasformò in un campo di battaglia per interrogarsi sulla struttura del mondo, il dibattito si rivelò particolarmente spinoso.
La questione degli angeli emerse in modo sorprendentemente critico nel 1277, quando il vescovo di Parigi, Étienne Tempier, pubblicò le sue condanne, un elenco di 219 tesi proibite ai cattolici nell’insegnamento e nella discussione accademica. Questo intervento faceva parte di un più ampio rifiuto di Aristotele e di altri filosofi considerati pagani. Tra le tesi condannate ben 28 riguardavano gli angeli, spesso definiti “sostanze separate” o “intelligenze”, e alcune si concentravano proprio sulla loro posizione e modalità d’azione. Un punto particolarmente rilevante è che le condanne proibivano di credere che gli angeli fossero localizzati in base alle loro azioni anziché alla loro sostanza.
Questo significava che la soluzione proposta da Tommaso d’Aquino per la localizzazione angelica era inaccettabile. Se un angelo esiste in un luogo solo attraverso le sue azioni, allora dove si trova quando non agisce? Gli angeli andavano ripensati: quale doveva essere la loro natura affinché fossero sia immateriali sia localizzati? Questa restrizione spinse gli studiosi medievali a trovare soluzioni ancora più sofisticate.
La soluzione più significativa in risposta a questa sfida fu quella di Giovanni Duns Scoto. La sua teoria angelologica avrebbe rivoluzionato il concetto di luogo, che era stato centrale nella fisica aristotelica e medievale. Come osserva Helen Lang in Aristotle’s physics and its medieval varieties (1992), questa reinterpretazione avrebbe avuto un impatto duraturo sullo sviluppo della fisica.
Come abbiamo visto, gli angeli dovevano essere localizzati e operare in modo limitato, altrimenti sarebbero stati onnipresenti e onnipotenti come Dio. Ma le condanne di Étienne Tempier vietavano esplicitamente la spiegazione di Tommaso d’Aquino, secondo cui gli angeli si trovano in un luogo in base alle loro azioni. La sfida per i pensatori medievali era quindi quella di trovare un modo per localizzare un angelo in base alla sua essenza, senza che fosse una sostanza corporea, e per definire la localizzazione delle sue azioni senza che fossero l’unico criterio per determinarne la presenza.
Duns Scoto affrontò questa doppia difficoltà con un’innovazione concettuale: ridefinì il concetto di luogo, e la sua soluzione si applicava anche alla localizzazione angelica. Questo ripensamento della fisica portò anche a una riformulazione di concetti fondamentali, contribuendo in modo significativo alla trasformazione della fisica medievale e influenzando lo sviluppo del pensiero moderno.
Scoto rese il concetto di luogo più matematico, meno legato alla posizione fisica e più vicino alla nostra nozione di dimensione. Se pensato in termini dimensionali, il “luogo” occupato da un oggetto rimane lo stesso anche se l’oggetto si muove attraverso luoghi diversi. In altre parole, secondo questa ridefinizione il luogo di un ente immateriale può rimanere invariato anche se la sua posizione cambia.
Come sottolinea Helen Lang, Scoto neutralizza radicalmente il luogo. Nella concezione aristotelica, la direzione e la posizione erano elementi essenziali della sua definizione. Scoto, invece, lo ridefinisce in termini più astratti privandolo di qualsiasi orientamento. Questo porta a una concezione molto più vicina a quella moderna di “spazio”, senza riferimenti direzionali. Tecnicamente, questo significava che Dio poteva creare una roccia che non esistesse in alcun luogo, almeno nel senso aristotelico del termine in cui era definito come una posizione all’interno del bordo più esterno delle sfere celesti. Mentre per Aristotele il luogo era una condizione necessaria per l’esistenza dei corpi fisici, Scoto lo ridefinì in modo più flessibile. Il risultato fu un concetto ibrido, qualcosa che poteva esistere all’interno del sistema aristotelico delle sfere celesti, ma non era costretta a farlo. Poteva anche semplicemente occupare uno “spazio” determinato dalla sua dimensione, fuori della struttura aristotelica.
Ecco quindi la nascita di nuovi concetti, precursori della nostra idea di dimensione e spazio, e la rielaborazione di quelli precedenti, con la separazione del luogo dai corpi. Per Scoto, il luogo aristotelico poteva ancora esistere, ma non era quello che definiva l’esistenza dei corpi. Se esisteva era per volontà di Dio grazie a ciò che Scoto definiva “potenza passiva”, cioè la capacità di un corpo di trovarsi in un luogo senza che ciò sia in contrasto con la sua natura.
Questa nuova concezione della fisica lasciava dunque spazio agli angeli. Secondo Scoto, anche loro hanno la potenza passiva di esistere in un luogo per volontà di Dio, poiché luogo e corpo non si definiscono più a vicenda. Tuttavia, a differenza dei corpi fisici, che devono esistere in un luogo determinato in un modo determinato, gli angeli, privi di dimensioni, possono esistere in un luogo determinato, ma in un modo indeterminato. Lang, citando Scoto, usa l’immagine di una superficie che deve avere un colore, ma il colore può essere qualsiasi. Allo stesso modo, gli angeli possono occupare un luogo che non è infinito e devono agire in un luogo, anche se vi esistono in modo indeterminato.
Questo ripensamento radicale della fisica aristotelica, stimolato dai dibattiti medievali sull’angelologia, ha aperto la strada a una nuova comprensione del rapporto tra corpi, luogo e movimento, contribuendo a ridefinire la nostra concezione del cosmo. Per Aristotele il moto era insito nei corpi stessi, che cercavano naturalmente il proprio luogo. Tuttavia, concepire gli angeli come forze immateriali esterne ai corpi anticipava, in un certo senso, la fisica classica, che descrive forze invisibili come la gravità agire dall’esterno. Non a caso, Leibniz accusò Newton di aver introdotto con la sua teoria della gravità delle “forze occulte” nella scienza, dal momento che sembrava operare a distanza in modo simile a una forza soprannaturale.
Gli esercizi teorici con angeli e demoni non sono scomparsi con l’avvento della modernità, ma hanno semplicemente preso nuove forme. Gli esseri occulti, definiti demoni, hanno continuato a giocare un ruolo chiave nello sviluppo della fisica. Dal punto di vista teologico, sul piano della composizione metafisica la distinzione tra angeli e demoni è minima: i demoni non sono altro che angeli caduti.
Nell’ottocento, il demone di Pierre-Simon Laplace, che lui stesso definisce semplicemente come un’intelligenza, termine spesso usato nel medioevo per descrivere le sostanze angeliche, era un essere con capacità soprannaturali: conosceva tutte le forze dell’universo e la posizione di ogni atomo. Dotato di una potenza di calcolo infinita, poteva determinare la traiettoria di ogni particella, ottenendo così un potere predittivo assoluto, capace di conoscere tanto il passato quanto il futuro dell’universo. Questa teoria sarebbe stata messa in crisi dalla meccanica quantistica.
Nel 1867, per testare la seconda legge della termodinamica, il fisico vittoriano James Clerk Maxwell ipotizzò un esperimento in cui un essere con capacità soprannaturali poteva rilevare la posizione e la velocità delle molecole di gas, separando quelle più veloci da quelle più lente, apparentemente senza compiere lavoro. Il suo contemporaneo William Thomson lo battezzò “diavoletto”, e il nome rimase. Il “diavoletto di Maxwell”, com’è ancora noto oggi, rivelò profonde connessioni tra informazione ed entropia, contribuendo a trasformare la nostra comprensione del mondo.
Infine, a cavallo del novecento, il demone di Filon-Pearson, proposto da Louis Filon e Karl Pearson, diventò un cosiddetto “collega del diavoletto di Maxwell”. Poteva viaggiare a velocità impossibili, teletrasportarsi e agire a distanza.
Le reazioni contro l’uso di spiegazioni soprannaturali in fisica, anche come esercizi teorici, hanno avuto un ruolo importante nell’evoluzione della disciplina. Albert Einstein, per esempio, potrebbe aver letto il lavoro di Karl Pearson e la sua antipatia verso il soprannaturale potrebbe averlo spinto a definire il suo lavoro come una critica a concetti tipo le forze occulte. L’astronomo Arthur Eddington osservò che Einstein, con la sua teoria della relatività, aveva “bandito il demone della gravitazione”.
Allo stesso modo, Einstein stesso dichiarò di aver “bandito i fantasmi” del tempo e dello spazio assoluti. Ma avrebbe potuto ottenere il suo risultato senza la credenza preliminare negli angeli? La teologia ha certamente spinto la ricerca di modi alternativi per collegare luogo, movimento e corpo. Ma sebbene la natura degli angeli fosse il catalizzatore per le discussioni sulla fisica dei luoghi, chi se ne occupava l’ha anche usata per comprendere la natura del mondo fisico e la sua relazione con il cosmo più ampio. E ciò ha portato a nozioni più complesse di spazio, luogo e dimensione, conferendogli un nuovo significato. Il ruolo degli angeli in questi esercizi teorici è stato unico: gli angeli trascendevano il mondo puramente fisico, ma erano ancora “creature” che seguivano le regole e la logica che governano l’universo.
In effetti, questo ruolo di mediazione degli angeli era parte integrante della logica stessa che ne giustificava l’esistenza. Anche se sono presenti nella Bibbia, Tommaso d’Aquino sosteneva che si potessero formulare argomentazioni a loro favore proprio perché alla catena dell’essere non doveva mancare nessun anello. Qualsiasi lacuna avrebbe impedito agli esseri umani di raggiungere una comprensione di Dio: serviva una forma di conoscenza intermedia che ci permettesse di capire Dio e il mondo fisico. Per questo motivo gli angeli, già con Pseudo-Dionigi Areopagita nel quinto e sesto secolo dopo Cristo, erano associati al linguaggio. Il linguaggio, infatti, svolge una funzione di mediazione tra il regno delle idee e il mondo fisico. E gli angeli, proprio grazie alla loro posizione di mediatori, consentivano agli esseri umani di esplorare dimensioni della realtà creata che, pur trascendendo le nostre percezioni dirette, restavano comunque accessibili alla riflessione umana.
È abbastanza facile ridicolizzare l’idea che il movimento sia il risultato di forze occulte come gli angeli, ma non possiamo, dopo aver salito la scala della conoscenza, sbarazzarcene facilmente. Gli studi sulla conoscenza concreta dimostrano che questa si basa sulla nostra esperienza del mondo. Metafora e vita quotidiana (1980) di George Lakoff e Mark Johnson mostra come le nostre esperienze corporee si uniscano per creare metafore complesse, dando concretezza a concetti astratti: quando diciamo “il mercato azionario sale”, equipariamo “su” a “più” perché quando vediamo, per esempio, delle rocce ammucchiate, impariamo a rendere equivalenti l’altezza e la quantità. Inoltre, facciamo molta fatica a immaginare una cosa non fisica: quando immaginiamo un’anima, un angelo o un demone, immaginiamo un oggetto, anche se inconsistente.
Forze occulte come angeli e demoni possono essere considerate nella cultura moderna spiegazioni spicce di fenomeni scientifici, ma secondo me è il contrario. Potrebbe essere più rapido pensare alle forze invisibili della natura come angeli, agenti, intelligenze immateriali con alcune proprietà a noi familiari, ma amplificate. È solo pensando attraverso concetti familiari che possiamo scoprirne altri meno intuitivi, come lo spaziotempo, che richiedono di avere le basi per concetti come dimensione, corpo, luogo e movimento. Queste basi sono state affinate, storicamente, riflettendo sulla relazione tra mondo materiale e immateriale, e l’angelologia ha avuto un ruolo significativo per riuscirci.
L’uso di intelligenze soprannaturali come angeli e demoni per riflettere sulla fisica è rimasto in vigore molto tempo dopo che si è smesso di credere alla loro esistenza, ma continua a risuonare nella struttura del funzionamento del nostro pensiero. In questo senso l’angelologia pone le basi per pensare alla natura del luogo, del tempo e del movimento. Sono stati angeli e demoni a creare uno spazio concettuale per le forze invisibili che la fisica avrebbe poi scoperto? Anche se può sembrare che scienza e demoni siano agli estremi opposti quando si tratta di spiegare il mondo naturale, angeli e demoni hanno in realtà plasmato la ricerca scientifica come la conosciamo oggi. ◆ svb
Rebekah Wallace è una ricercatrice di scienza e religione alla Blackfriars hall, all’università di Oxford, nel Regno Unito. Insegna anche filosofia, religione ed etica all’università di Winchester. Questo articolo è uscito sul giornale scientifico online Aeon con il titolo “Legacy of the angels”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati