La storia di internet è fatta di tappe ben precise. Senza dover risalire alle sue origini militari e universitarie, la sua prima fase è stata quella della diffusione di massa, verso la fine degli anni novanta, segnata dalla possibilità di consultare dallo schermo del computer un’infinità di pagine. È cominciata così l’era dell’accesso.
Poi, verso la metà del decennio successivo, hanno fatto la loro comparsa nuove funzioni che hanno permesso lo sviluppo dei social network e la possibilità per gli utenti di creare dei loro contenuti. È stato l’avvento del web 2.0.
Infine, dall’inizio degli anni dieci di questo secolo a oggi, assistiamo allo sviluppo dell’economia dei dati e delle piattaforme, che sfrutta l’intelligenza artificiale per interpretare i comportamenti e suggerire automaticamente prodotti e servizi teoricamente adattati a ciascuno di noi. È scoccata l’ora dell’iperpersonalizzazione algoritmica dell’offerta.
Nell’autunno 2021 Mark Zuckerberg ha annunciato il lancio del suo progetto Meta, che punta a far entrare internet in una quarta fase o, per meglio dire, nella quarta dimensione. La sfida è costruire un ambiente informatico che, attraverso visori per la cosiddetta realtà virtuale, dia l’impressione d’immergersi in un mondo fatto solo di contorni di pixel: il metaverso.
La strategia industriale punta a estendere il principio dei social network a tutti gli ambiti della vita, mettendo a disposizione una miriade di servizi: passeggiate nei centri commerciali, visite immobiliari, consulti medici, eventi culturali e sportivi, interazioni tra le persone che assumono l’aspetto di una presenza reale.
L’obiettivo è concretizzare subito questa ambizione. Non si vuole tanto creare un diversivo, in un momento in cui Facebook è alle prese con scandali che continuano a deteriorarne l’immagine, quanto alimentare incessantemente logiche d’innovazione il cui unico scopo è battere la concorrenza.
In particolare, questo progetto punta a sfruttare tutte le conseguenze della crisi provocata dal covid-19. I diversi periodi di confinamento ci hanno infatti costretti a svolgere online molte attività, anche quelle che ci sembrava impossibile fare a distanza.
Sotto questo aspetto, la pandemia ha prodotto una frattura storica. Niente sarà più come prima. Si sono sviluppati degli usi della rete che hanno modificato profondamente il modo in cui entriamo in relazione con il lavoro, l’insegnamento, la medicina, il commercio e le opere culturali, e di cui conosciamo solo le prime conseguenze.
Per esempio, si teme che il calo impressionante nella frequentazione di cinema, teatri e musei possa diventare permanente. Questo crea un terreno favorevole alla concezione di dispositivi tecnologici che puntano a estendere i nostri comportamenti ad altri ambienti.
A subire una metamorfosi sarà la nostra esperienza, fatta di una simulazione ottica e sensoriale modulata in base ai nostri bisogni e priva di ogni attrito nei suoi confronti
La posta in gioco, per Facebook come per altri grandi gruppi, è mettersi subito in prima fila in questa nuova era dell’economia digitale, che potremmo definire “immersiva e integrale”. Come non cogliere le enormi conseguenze sociali, ambientali ed esistenziali che si annunciano?
Tanto per cominciare, il commercio online conquisterà un’egemonia definitiva, generando consumi eccessivi dagli effetti ambientali devastanti e mobilitando masse sempre più numerose di soggetti invisibili sottomessi ai ritmi infernali dettati dagli algoritmi.
Questi metaversi sono inoltre energivori, perché richiedono una connettività continua, bande sempre più intasate e una proliferazione di server in grado di garantire una quantità esponenzialmente più grande d’immagazzinamento dei dati. A questo però le aziende non fanno cenno, se non a colpi di comunicati che annunciano non meglio identificate infrastrutture “decarbonizzate”.
Infine, c’è il più rilevante aspetto antropologico: le nostre esistenze sono legate con una sorta di cordone ombelicale a un tecnoliberismo che punta a guidarci in ogni occasione.
A subire una metamorfosi sarà infatti la nostra esperienza, fatta di una simulazione ottica e sensoriale (sensazioni tattili, atmosfere sonore, perfino odori), che produrrà una personalizzazione algoritmica dei nostri rapporti con la realtà, modulata in base ai nostri bisogni e priva di ogni attrito nei suoi confronti.
In altri termini, questi processi introdurranno una conoscenza minuziosa dei nostri comportamenti non solo seguendo le nostre attività, ma anche attraverso i nostri sguardi, la cattura di dati biometrici (ritmo cardiaco, sudorazione) e l’analisi delle nostre interazioni sociali.
Di che natura sarà una soggettività continuamente orientata da sistemi tecnologici? Sarà senza più limiti (se non quelli dei mezzi finanziari), chiamata a reagire indefinitamente agli eventi – con logiche simili a quelle dei videogiochi – e privata del tempo necessario per la riflessione e un buon esercizio del giudizio.
Infine, le relazioni umane saranno completamente svuotate dell’elemento casuale e suggellate dalla più grande conformità concepibile, con bolle non più limitate alle sole opinioni, ma estese a tutta l’esistenza. A emergere è una socialità amputata della sua potenza vitale poiché unicamente frutto di calcoli.
Negli ultimi due decenni l’industria del digitale ha fatto di tutto per modificare in profondità la società, perseguendo solo i suoi interessi e portando avanti la visione fantasmatica di un mondo da cui è stato sradicato qualsiasi difetto. Rispetto a questi sviluppi siamo stati fin troppo passivi, pagando in diversi contesti un prezzo molto alto.
A oggi lo sviluppo dei metaversi stenta a decollare, anche se ci sono in ballo enormi investimenti ed è in corso un potente movimento industriale. Di fronte a una simile prospettiva, ci mostreremo di nuovo apatici?
Tutto questo mentre ci avviamo a uscire dalla crisi del covid-19, durante la quale i nostri rapporti interpersonali sono stati pesantemente mediatizzati dai pixel – ognuno dietro al suo schermo, ripiegato sulle sue attività – e la nostra condizione d’isolamento collettivo ha subìto un brusco peggioramento.
Ecco perché dobbiamo lavorare alla creazione di modalità di esistenza opposte. Di fronte alle difficoltà di questa epoca, soprattutto quelle dei più giovani, è arrivato il momento di far nascere in tutti gli ambiti della vita un brulichìo di collettivi che privilegino rapporti equi e sensibili tra gli esseri favorendone la fioritura, e che siano rispettosi dell’ambiente.
Se non c’impegneremo subito nell’attuazione di contromodelli salutari, lasceremo il campo libero ai giganti del digitale, che vogliono farci entrare in questo meta, questo aldilà disincarnato e glaciale da cui, se non faremo attenzione, un giorno non sarà più possibile tornare indietro. ◆ gim
Éric Sadin è un filosofo francese. Sarà ospite di Biennale tecnologia, rassegna organizzata dal politecnico di Torino per esplorare il rapporto tra tecnologia e società, dove il 12 novembre terrà una lezione intitolata L’intelligenza artificiale e il futuro-metaverso del mondo. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Io tiranno (Luiss University Press 2022). Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Libération.
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Questo articolo è uscito sul numero 1486 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati