Il Libano affronta una minaccia distruttiva quanto le bombe che piovono sulle sue città: una crisi di sfollati che rischia di lacerare il paese dall’interno. Le comunità sono al limite e le fratture che attraversano la società libanese si allargano di giorno in giorno. Se questa situazione continuerà incontrollata, l’implosione potrebbe essere più devastante della guerra stessa.

Più di un milione di persone hanno lasciato le loro case nelle prime 72 ore di bombardamenti israeliani. L’esodo è stato frettoloso e caotico. Le persone, disorientate, sono fuggite nelle aree “più sicure”, ma l’ordine finiva lì. Solo in 190mila hanno raggiunto i rifugi organizzati. La maggioranza è sistemata in alloggi informali o in appartamenti affittati a prezzi esorbitanti, occupa edifici vuoti o è stipata in case di amici e parenti. Questa popolazione invisibile rende più complicato un intervento già difficilissimo. Se il governo non ne terrà conto, il Libano collasserà quando il denaro pubblico o l’ospitalità da cui dipendono si esauriranno.

Il governo si è attivato per gestire la distribuzione degli aiuti. Molti cittadini hanno messo a disposizione case e uffici e i ristoranti offrono pasti gratuiti. Ma la solidarietà non è sufficiente.

La paura e la diffidenza tra i gruppi confessionali stanno sgretolando il fragile tessuto sociale libanese, minacciandone la stabilità. Le comunità delle aree a maggioranza cristiana e drusa sono riluttanti ad aprire le loro porte, per timore che ospitare famiglie sfollate da regioni legate a Hezbollah possa trascinarle nel conflitto.

Questa paura guida anche le decisioni politiche. Alcune municipalità hanno dichiarato che è troppo pericoloso ospitare gli sfollati, perché Israele potrebbe prenderle di mira. È a rischio la convivenza interconfessionale, e saranno i più vulnerabili – gli sfollati – a pagarne il prezzo maggiore. La risposta del governo è stata disorganica. Esiste un piano di emergenza, però la realtà sul campo è disperata.

Le soluzioni proposte prevedono rifugi prefabbricati e il riutilizzo di edifici statali, ma per ora è stato fatto poco. I grandi interessi, soprattutto nel settore bancario e tra i politici, sono riluttanti a prendere in considerazione edifici che non siano le scuole. Per compensare i correntisti che hanno perso i risparmi nella crisi finanziaria che loro stessi hanno causato hanno messo gli occhi sulle proprietà della banca centrale (invece che sui propri beni) . Questo opportunismo ha il sapore di uno spudorato disinteresse nei confronti di una popolazione già sofferente a causa di anni di difficoltà economiche, aggravate dal peggiore conflitto dopo la guerra civile durata dal 1975 al 1990.

Drastica riforma

Nel medio termine, è necessario mettere in campo una serie di misure governative sugli affitti con il controllo dei canoni di locazione per proteggere sia i proprietari di casa sia gli sfollati. L’obiettivo dovrebbe essere abbandonare le soluzioni basate sugli alloggi privati per passare all’edilizia pubblica, dando al governo il tempo di cambiare la destinazione d’uso di edifici statali e far tornare i bambini a scuola.

Questa crisi ha reso evidente che la politica abitativa libanese ha bisogno di una drastica riforma. Il governo deve affrontare i problemi strutturali del mercato immobiliare regolando i prezzi e tassando le proprietà vuote, che secondo le stime sono circa il 20 per cento del totale. Il Libano non può permettere alla speculazione di rendere le abitazioni inaccessibili a chi ne ha bisogno. Gli sfollati – libanesi, siriani o di qualsiasi altra provenienza – devono avere protezioni legali contro gli sgomberi e accesso ai servizi di base.

Incorporando questi princìpi in una strategia abitativa di emergenza, il Libano potrà cominciare ad affrontare le nuove fratture del suo tessuto sociale. L’alternativa è lasciare campo libero alla paura, al sospetto e alle forze di mercato, ricreando le condizioni che decenni fa alimentarono il declino verso la guerra civile. ◆ fdl

Sami Halabi è il direttore di Badil, The Alternative policy institute, un istituto libanese che si occupa d’informazione.

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Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati