Se parlate di Belmopan agli abitanti del Belize, sicuramente la criticheranno perché è un covo di burocrati, una città noiosa e senza vita notturna.

“Mi avevano avvisato che ‘Belmopan è per i novelli sposi o per chi sta per morire’”, dice Raquel Rodríguez, 45 anni, proprietaria di una scuola d’arte, parlando delle reazioni suscitate quando ha deciso di lasciare la vivace Città di Belize, sul mare. Belmopan è una delle capitali più piccole dell’America Latina, ha solo 25mila abitanti e una serie di edifici brutalisti a prova di uragano, pesanti, di cemento e ispirati all’architettura maya. La capitale dell’unico paese di lingua inglese dell’America Centrale può sembrare molto diversa dalle frenetiche metropoli delle nazioni vicine.

Per origini e concezione, ha più cose in comune con le capitali di altre ex colonie britanniche, soprattutto africane. Ma è anche un prisma attraverso cui osservare lo sviluppo del Belize, un’eccezione nella regione. Mentre i governi dei paesi vicini usano metodi autoritari, il Belize è una democrazia parlamentare relativamente stabile (anche se giovane), con una storia di transizione pacifica di poteri.

La capitale, calma e rilassata, è nota per essere un posto sicuro e per offrire un’alta qualità della vita. In un paese con appena mezzo milione di abitanti, l’atmosfera accogliente di Belmopan rivela la straordinaria varietà etnica del Belize e la sua apertura verso i migranti della regione. Nel mercato all’aperto dove molti abitanti della capitale fanno la spesa, i venditori ambulanti si rivolgono ai clienti nella lingua ufficiale del Belize, l’inglese, o in creolo beliziano, il patois che si formò secoli fa quando i britannici trasportarono in questa terra gli schiavi africani.

Altri venditori parlano lingue maya come il quekchí, il mopán e lo yucateco, un esempio dei popoli nativi che da tempo vivono in Belize o che arrivarono dal Guatemala e dal Messico. Altri ancora comunicano in spagnolo, cinese o plautdietsch, un’antica lingua germanica influenzata dall’olandese.

Come molti altri a Belmopan, anche Johan Guenther, 71 anni, un agricoltore mennonita, è arrivato da fuori: dallo stato di Chihuahua, in Messico, dove ci sono ampie comunità mennonite. Aveva 16 anni. Per un po’ ha anche tentato la sorte in Bolivia, ma alla fine ha deciso che preferiva lo stile di vita tranquillo del Belize. Vive con la moglie in un piccolo villaggio agricolo poco lontano dalla capitale, dove va per vendere formaggio, burro, panna e miele nel mercato.

“Non sono un uomo di città, però Belmopan mi piace”, dice Guenther in un miscuglio di inglese, plautdiesch e spagnolo. “È tranquilla, va bene per vendere i miei prodotti, è facile arrivarci e anche uscire”.

Dopo la devastazione causata dall’uragano Hattie nel 1961 nella vecchia capitale, Belize, dove ci furono centinaia di morti, la principale preoccupazione dei coloni inglesi quando misero a punto il progetto di Belmopan fu renderla il cardine dello sviluppo agricolo delle regioni interne del paese e un rifugio dalle calamità naturali.

All’epoca nel mondo nascevano città pianificate, una tendenza incoraggiata dall’inaugurazione di Brasília nel 1960. Nell’impero britannico che si stava disintegrando, soprattutto in Africa, tra le nuove capitali c’erano Dodoma in Tanzania, Gaborone in Botswana, e Lilongwe in Malawi. Furono concepite come Belmopan, immaginando “città giardino” con ampi spazi aperti, parchi e sentieri pedonali.

Le tensioni politiche influenzarono i piani urbanistici. George Price, l’architetto dell’indipendenza beliziana, considerava la costruzione di Belmopan uno strumento per creare un senso d’identità nazionale che andasse oltre le differenze etniche. Con il Guatemala che avanzava pretese nei confronti del Belize in una disputa territoriale che si trascina ancora oggi, i leader coloniali del paese scelsero un sito a metà strada tra Belize City e la frontiera del Guatemala. L’obiettivo era popolare le zone interne. I robusti edifici governativi di cemento, come l’assemblea nazionale, evocano la struttura piramidale di un tempio maya, appollaiato su un’altura artificiale dove la brezza può raffreddare l’edificio. Furono progettati per essere a prova di uragano e al tempo stesso economici. Non si sentiva la necessità dell’aria condizionata.

Allo stesso tempo le autorità cercarono di attirare i dipendenti pubblici a Belmopan offrendo alloggi, sostanzialmente dei gusci di cemento, in strade dove avrebbero dovuto vivere persone di diversa condizione economica.

A braccia aperte

“Belmopan è un esperimento sociale”, dice John Milton Arana, un architetto di 51 anni la cui famiglia si trasferì nella città nel 1975. Indicando i sentieri pedonali che ancora collegano i quartieri residenziali al nucleo centrale di cemento, aggiunge: “I pedoni erano la priorità”.

Arana ammette che, nonostante il ritmo rilassato, la città può disorientare per le sue rotonde, la tangenziale e le poche aree commerciali affollate. “Molte persone mi chiedono dov’è il centro”, dice. “E io gli rispondo che lo hanno appena superato”.

Non tutti sono entusiasti di Belmopan. I turisti di solito la evitano: preferiscono fare immersioni nelle isole o visitare i siti archeologici maya. Quando fu inaugurata, nel 1970, si prevedeva che sarebbe cresciuta in fretta fino ad arrivare a trentamila abitanti, una cifra che cinquant’anni dopo ancora non ha raggiunto.

Secondo alcuni questo sviluppo al rallentatore è dovuto ai costanti limiti di bilancio che danno a Belmopan un aspetto di incompiutezza. Le strutture simili a fortezze dove lavorano molti dipendenti pubblici mostrano la loro età e sono decorate da rumorosi condizionatori. I nuovi palazzi ariosi, come il ministero degli affari esteri donato dal governo di Taiwan e pieno di giardini pensili, mostrano che le autorità hanno preso le distanze dalle origini spartane della città.

Arana crede che quest’allontanamento stia cambiando Belmopan in peggio. Lo sviluppo urbanistico disordinato e lontano dal centro, soprattutto dove si sono stabiliti i migranti di lingua spagnola provenienti dal Salvador e dal Guatemala, ha fatto emergere il problemi degli alloggi scadenti e delle acque nere non trattate.

I diplomatici hanno opinioni contrastanti sulla capitale. Panamá e il Guatemala, insieme all’isola di Taiwan, hanno le ambasciate a Belize, che ha più del doppio della popolazione di Belmopan. Il paese ha ottenuto la piena indipendenza nel 1981, ma ci sono voluti 25 anni prima che gli Stati Uniti trasferissero la loro ambasciata nella nuova capitale.

Michelle Kwan, ambasciatrice degli Stati Uniti in Belize ed ex campionessa di pattinaggio artistico, si è affezionata a Belmopan dopo essersi trasferita da Los Angeles. Paragona la sua vita in questa città ai giorni in cui si allenava a Lake Arrowhead, una piccola località sulle montagne di San Bernardino in California, dove poteva “concentrarsi veramente sulle cose da fare. Ora non è diverso: Belmopan è il posto dove ci concentriamo e lavoriamo”, dice.

Belmopan ha contribuito a creare un’identità nazionale multiculturale che comprende i popoli nativi maya e gli immigrati latinoamericani più recenti. Un clima diverso da Belize, nota per essere la città dove vivono i creoli di discendenza africana e britannica.

“Belmopan ha reso meno marcate le nostre differenze culturali”, dice Kimberly Stuart, 49 anni, docente all’università del Belize, che ha la sua sede principale nella capitale.

Ci sono anche aspetti di cui molti si lamentano: le nuove case e i nuovi uffici stanno cambiando l’atmosfera della capitale, ma i bar e i ristoranti continuano a essere pochi e di solito chiudono presto.

Alcuni abitanti dicono che Belmopan è veramente noiosa, ma a loro piace così. A Raj Karki, un nepalese di 52 anni arrivato in Belize per lavorare a un progetto idroelettrico, questa città tranquilla è piaciuta tanto che ha deciso di restarci e di aprire un ristorante di cucina asiatica vicino ai palazzi del governo.

“Puoi arrivare a Belmopan da qualunque posto del mondo”, dice Karki. “Vieni accolto a braccia aperte. Ti dicono: ‘Aiutaci a costruire il futuro’”. ◆ gc

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Questo articolo è uscito sul numero 1592 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati