All’inizio del 2024 gli Stati Uniti avevano un dazio medio sulle merci importate del 2,5 per cento, che già incorporava le misure protezionistiche della prima amministrazione di Donald Trump e di quella di Joe Biden. Dopo il “liberation day” del 2 aprile il dazio medio è arrivato al 24 per cento e sembra destinato a salire ancora se Trump applicherà tutti quelli minacciati alla Cina, al Canada e al Messico. Le conseguenze, al di là dei crolli dei mercati finanziari, sono imponderabili: nella storia statunitense non ci sono mai state tariffe così alte e così diverse da un paese all’altro. In un solo giorno Trump ha ridisegnato la concorrenza: invece di prendere di mira solo alcune merci o solo alcuni paesi ha colpito tutto, senza criteri razionali. E l’ha fatto con dazi che – a quanto sembra di capire – possono salire o scendere in base alla reazione della controparte: se si sottomette o se risponde a tono. L’economia mondiale non è in grado di reggere questa incertezza assoluta, ma per la prima volta c’è un presidente che sembra indifferente alla pressione delle borse, del dollaro e del mercato obbligazionario. Anzi, è convinto che la sofferenza di breve periodo sia la conferma delle sue teorie. Ormai l’unica domanda è se crollerà prima l’economia mondiale
o l’amministrazione Trump. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati