La prima elezione di Donald Trump poteva anche essere considerata un’anomalia, un errore, con conseguenze certamente gravi, ma comunque uno sbaglio. Ora però gli statunitensi lo hanno eletto di nuovo presidente. Questo rivela in modo drammatico cosa sono davvero gli Stati Uniti, un paese molto diverso da quello che molti avrebbero voluto. La vittoria di Trump era lo scenario peggiore, quello in cui a trionfare è un condannato, un bugiardo cronico che ha gestito in modo terribile una pandemia, ha cercato di ribaltare il risultato delle ultime elezioni scatenando una folla inferocita contro il parlamento, ha definito l’America “il bidone della spazzatura del mondo” e ha minacciato di vendicarsi dei suoi avversari politici. La mattina del 6 novembre questo scenario è diventato realtà.

Otto anni fa, all’alba di quella che gli storici avrebbero chiamato “l’era Trump” della politica statunitense, il presidente uscente Barack Obama pronunciò una frase passata alla storia: “Non è l’apocalisse”. Così riassumeva l’opinione dominante a Washington: quattro anni di Donald Trump sarebbero stati difficili ma superabili. Qualche giorno prima della cerimonia di insediamento del suo successore, parlando ai giornalisti, Obama paragonò il paese a una barca che fa acqua ma è abbastanza solida da restare a galla. Aggiunse che un secondo mandato di Trump sarebbe stato tutto un’altra cosa.

Quattro anni dopo, alla luce della vittoria di Joe Biden, i democratici e un piccolo gruppo di repubblicani ribelli commisero un errore fatale, pensando che alla fine sarebbe stato l’ex presidente ad affondare. In troppi all’epoca erano sicuri che Trump fosse stato politicamente seppellito dalla sua caotica e riluttante uscita di scena dalla Casa Bianca. A quel punto lo spauracchio sembrava diventato poco più di una comparsa, una figura maligna arroccata nel suo esilio di Mar-a-Lago, uno sconfitto caduto in disgrazia che non avrebbe mai potuto tornare al potere.

Si sbagliavano. La prima regola della politica è che non bisogna mai sottovalutare un avversario. Gli oppositori di Trump volevano una resa dei conti, giudiziaria e politica, per i danni fatti alla democrazia statunitense. E invece oggi Trump ha completato una resurrezione impensabile. Le quattro incriminazioni non hanno fatto altro che rafforzare la sua presa sul Partito repubblicano, ormai costruito intorno alla personalità e ai capricci di un solo uomo. Nel 2016 Trump prese quasi 63 milioni di voti. Nel 2020 ha perso ma ha aumentato i consensi (più di 74 milioni) e in queste elezioni, per la prima volta, ha vinto il voto popolare. Significa che Trump avrà un potere enorme e ha già promesso che lo userà per vendicarsi. Forse è arrivato il momento di prenderlo sul serio.

Gran parte della responsabilità di questa catastrofe sarà addossata a Biden. Rifiutando di farsi da parte al momento opportuno, il presidente che quattro anni fa aveva basato interamente la campagna elettorale sulla necessità di tenere Trump lontano dal potere ha effettivamente contribuito a farlo tornare alla Casa Bianca. Con la sua insistenza a ricandidarsi, nonostante i segnali evidenti di declino mentale, Biden ha commesso l’errore più grave della campagna elettorale del 2024. Alla fine di luglio, quando si è finalmente rassegnato dopo un tragicomico confronto in tv contro Trump, probabilmente era ormai troppo tardi.

Sostenitori di Trump a West Palm Beach, in Florida, 6 novembre 2024  (Chip Somodevilla, Getty)

Da sempre i politici statunitensi di entrambi i partiti fanno promesse impossibili da mantenere, ma quella di Biden – il ritorno alla normalità che c’era prima di Trump – potrebbe passare alla storia come una delle più irrealistiche. I fatti hanno dimostrato che non poteva esserci nessun ritorno alla normalità.

Kamala Harris (candidata dopo il ritiro di Biden) ha condotto una buona campagna elettorale, ma nonostante i quattro anni da vicepresidente non era abbastanza conosciuta a livello nazionale e non aveva una base solida di elettori a sostenerla. Ha avuto l’appoggio del Partito democratico, che ha organizzato una convention a Chicago piena di celebrità e ha esultato quando Harris ha distrutto Trump nel loro unico dibattito televisivo, a settembre. Ma la sua entrata in scena ha solo riportato la corsa presidenziale al punto in cui era prima dell’implosione di Biden: allo stallo.

Un risultato prevedibile

Nelle settimane prima del voto decine di sondaggi ci hanno raccontato che i due candidati erano testa a testa nei sette stati in bilico. Col senno di poi possiamo dire che quelle previsioni sopravvalutavano nettamente il consenso di Harris. La sua sconfitta in Pennsylvania, stato dove secondo gli esperti avrebbe assolutamente dovuto vincere, alimenterà per anni i dubbi sulla sua decisione di non scegliere Josh Shapiro, popolare governatore di quello stato, come candidato alla vicepresidenza. Ma considerato il margine di vittoria di Trump è probabile che alla fine la Pennsylvania non avrebbe comunque fatto la differenza.

Harris si aggiunge così alla lunga lista di vicepresidenti in carica che hanno provato senza successo a compiere l’ultimo passo verso il vertice del potere. Le sue difficoltà nel prendere le distanze dai pessimi risultati dell’amministrazione Biden spiegano come mai solo un vicepresidente, George H. W. Bush nel 1988, sia stato eletto alla presidenza negli ultimi 190 anni. Troppi elettori hanno percepito Harris come la presidente in carica, in un momento in cui la maggioranza dell’opinione pubblica è insoddisfatta della direzione presa dal paese. Secondo Doug Sosnik, consulente del presidente Bill Clinton, è il motivo per cui dieci delle ultime dodici elezioni si sono concluse con un avvicendamento alla Casa Bianca o con un ribaltamento della maggioranza alla camera o al senato.

Da questo punto di vista la vittoria di Trump era un risultato prevedibile. Eppure sono serviti uno slancio di impensabile partigianeria e un’amnesia collettiva per spingere il Partito repubblicano a schierarsi dalla parte di un uomo che ha subìto due procedure di impeachment, è stato incriminato quattro volte ed è stato condannato in via definitiva. Il Trump del 2024 era tutt’altro che un tipico candidato repubblicano. Era un’anomalia, in molti sensi. Nel 2016 si poteva capire che gli elettori insoddisfatti lo vedessero come una forza esterna capace di cambiare finalmente le cose a Washington. Ma quello che prenderà il potere a gennaio del 2025 è un Trump più anziano e rancoroso, la cui campagna elettorale sarà ricordata come una delle più razziste, sessiste e xenofobe della storia moderna. Il suo slogan – solo Trump può aggiustare le cose – sembra preso dal manuale dell’uomo forte. Tornerà alla Casa Bianca senza doversi preoccupare di quei politici repubblicani che lo avevano arginato al congresso e alla Casa Bianca durante il primo mandato. Molti di loro si sono rifiutati di appoggiarlo, compreso l’ex vicepresidente Mike Pence. Durante la campagna elettorale John Kelly, generale in pensione che è stato capo dello staff di Trump alla Casa Bianca, ha detto che l’ex presidente corrisponde alla definizione di “fascista”, ma nemmeno questo è basato a convincere il partito a fare marcia indietro.

La mappa
Trionfo repubblicano
Fonte: the new york times

◆ Il 5 novembre 2024 gli statunitensi hanno votato per eleggere il nuovo presidente. Donald Trump, il candidato del Partito repubblicano, ha sconfitto nettamente Kamala Harris, candidata del Partito democratico. Trump ha conquistato tutti gli stati considerati più importanti, compresi Wisconsin, Pennsylvania e Michigan. Si insedierà alla presidenza il 20 gennaio 2025, prendendo il posto di Joe Biden.


Nemico interno

Possiamo stare certi che stavolta Trump si guarderà bene dal circondarsi di persone che, come Kelly, hanno una certa integrità. Una delle prime lezioni che ha imparato nel suo primo mandato riguarda il potere dei suoi collaboratori. Suo genero Jared Kushner ha lasciato la Casa Bianca convinto che i problemi dell’amministrazione erano dovuti alla scelta di collaboratori sbagliati. Poco dopo la fine del primo mandato di Trump ho intervistato un funzionario della sicurezza nazionale che aveva passato molto tempo con l’ex presidente nell’ufficio ovale. Mi ha detto che un secondo mandato sarebbe molto più pericoloso del primo, soprattutto perché Trump ha capito come muoversi liberamente. Una delle persone che potrebbe occuparsi del processo di transizione, il miliardario Howard Lutnick, ha già detto che gli incarichi nella nuova amministrazione saranno assegnati solo a chi giurerà fedeltà personalmente a Trump. Dopo aver superato indenne due procedure di impeachment, il presidente sa che il prossimo congresso non potrà fare nulla per contrastarlo, soprattutto ora che i repubblicani hanno ripreso il controllo del senato. Qualche mese fa la corte suprema, sempre più conservatrice a causa delle nomine fatte da Trump, si è pronunciata su un processo in corso contro di lui per l’assalto al congresso, stabilendo che i presidenti hanno un’immunità quasi totale.

Durante la campagna elettorale Trump ha mantenuto una certa prudenza rispetto al suo programma radicale. Ma quello che sappiamo sulle sue priorità politiche è abbastanza da mettere in allarme. Ha dichiarato che avvierà una “deportazione di massa” degli immigrati senza documenti subito dopo la cerimonia d’insediamento, che concederà la grazia a migliaia delle persone che hanno preso d’assalto il congresso nel 2021 e che perseguiterà i suoi avversari (“il nemico interno degli Stati Uniti”) anche usando l’esercito. È arrivato a sostenere che Mark Milley, ex capo dello stato maggiore congiunto che in passato ha osato ostacolarlo, dovrebbe essere considerato un traditore e giustiziato. A questo punto non è impensabile che Trump metta rapidamente in pratica la vecchia minaccia di licenziare i funzionari indipendenti, come il direttore dell’Fbi Christopher Wray e il presidente della Federal reserve (la banca centrale degli Stati Uniti) Jerome Powell.

Ancora prima della cerimonia di insediamento, la vittoria di Trump metterà alla prova le alleanze e incoraggerà i leader autoritari di tutto il mondo. L’articolo 5 della Nato (quello che garantisce la difesa reciproca) avrà ancora valore con un presidente statunitense secondo cui la Russia può fare ciò che vuole ai paesi che non pagano la giusta quota all’alleanza? E che ne sarà dell’Ucraina, finora in grado di resistere all’aggressione russa grazie agli aiuti militari statunitensi, che Trump ha detto di voler cancellare? Il presidente ha promesso che metterà fine alla guerra in ventiquattr’ore. Lo farà spingendo l’Ucraina a cedere territori alla Russia in cambio di una pace stipulata alle condizioni di Vladimir Putin?

Sul fronte economico molti elettori di Trump sembrano aver creduto alla promessa che gli Stati Uniti torneranno la più grande economia nella storia del mondo (cosa che non sono mai stati). Trump si è impegnato a introdurre pesanti dazi sui prodotti provenienti da altri paesi e a espellere gli immigrati. Ma questo, secondo gli esperti indipendenti, provocherà un’impennata dell’inflazione e una spirale del deficit che faranno rimpiangere a molti gli aumenti dei prezzi dell’era Biden. Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, ha speso più di cento milioni di dollari per contribuire all’elezione di Trump e promuovere le sue bugie, la sua propaganda e le sue teorie del complotto sul social network X. Cosa possiamo aspettarci ora che Musk, uno dei principali beneficiari dei contratti del governo grazie alla sua agenzia spaziale SpaceX, passerà a incassare i frutti del suo investimento? Ancora prima di annunciare che Musk sarà il “segretario per i tagli alla spesa” (un ruolo non ufficiale), Trump aveva già detto di voler licenziare molti funzionari pubblici e sostituirli con politici di professione, una mossa che aveva già tentato poco prima della sconfitta del 2020 ed era stata immediatamente neutralizzata da Biden. Tutto questo lascia intravedere un periodo profondamente destabilizzante per gli Stati Uniti e per il mondo. Probabilmente il nuovo corso arriverà con una rapidità sorprendente per molti avversari di Trump.

Negli ultimi 107 giorni, durante i comizi di Harris, la folla scandiva lo slogan “Non torneremo indietro”. A quanto pare gli Stati Uniti stanno per farlo. Harris non ha raggiunto l’obiettivo. Gli statunitensi, o almeno una parte di loro sufficientemente numerosa da determinare il risultato del voto, hanno scelto il fascino retrogrado di Trump. Stiamo per tornare indietro, questo è certo. Ma quanto indietro? ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1588 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati