“E cco la nuova organista: è una donna, ma suona come un uomo”. Così fu accolta Ursula Philippi nel 1985 quando accettò di diventare la prima organista nella storia cinquecentenaria della cattedrale luterana di Sibiu, una città della Transilvania, in Romania, dove fino a pochi decenni fa viveva una grande comunità tedesca protestante, oggi ridotta a poco più di duemila persone.

“È una questione di mentalità della comunità locale. Non me lo aspettavo. Se avessi saputo che c’erano così tante resistenze nei miei confronti e che la mentalità di Sibiu era questa, forse non avrei accettato, non ero abituata a certe cose. A Brașov avevo diretto anche dei cori: il fatto di essere donna non era mai stato un problema. Avevo studiato per fare questo lavoro, ma qui ho trovato gente che mi guardava storto”.

Incontro Ursula Philippi al piano superiore della cattedrale, mentre si esercita a uno dei sette organi della chiesa in vista del concerto che terrà al festival Ars sacra, in programma ogni anno a settembre nella città transilvana. A metà della scala c’è una targa su cui sono incisi i nomi di tutti gli organisti della chiesa, a cominciare dal quattrocento fino a oggi. Sulla parte più in basso s’incontra il primo nome di donna: “Ursula Philippi – 1985-2015”. Anche se suona e insegna musica da più di cinquant’anni, Philippi prova con grande concentrazione le due composizioni che eseguirà al concerto. Muove la testa al ritmo della musica e sfoggia un sorriso soave per tutto il tempo delle prove. Tra poco la raggiungeranno due ex allievi e insieme suoneranno l’organo che da un secolo è nella cattedrale, vecchia più di mezzo millennio.

L’organo della cattedrale luterana di Sibiu, che Ursula ha suonato per più di trent’anni, è stato costruito dall’azienda del tedesco Wilhelm Sauer e a febbraio del 2025 compirà cent’anni. Messo dietro l’organo del 1672, oggi fuori uso, ha resistito a entrambe le guerre mondiali.

“Studiare l’organo ti trasforma. In chiesa fa freddo, lo strumento è pesante, lo devi conoscere. Per esercitarti, d’inverno devi camminare in mezzo alla neve, perché non è l’organo che viene da te, sei tu che devi andare da lui. Quasi ogni giorno ti ritrovi in uno spazio sacro, sei al servizio della musica religiosa e spesso fai da sottofondo a eventi tristi. Tutto questo ti segna”, racconta.

Poi ci tiene a dirmi che, a differenza del pianoforte o del violino, l’organo non solo è molto più antico, ma è anche meno standardizzato: ogni strumento è diverso dall’altro ed è adatto a uno stile particolare. Su alcuni si suona bene la musica antica o Bach, su altri Franz Liszt o George Enescu. “È l’organo a dirti che musica suonare. E non accetta che si suoni altro”.

Philippi è cresciuta a Brașov e negli anni settanta ha studiato musica all’università nazionale di Bucarest, aggiudicandosi l’unico posto disponibile per l’organo. “Era il penultimo anno di quel corso, dopo non l’hanno più fatto. È uno strumento religioso e al regime comunista non interessava”, racconta. I genitori, ingegneri, non l’avevano incoraggiata, ma al momento della scelta l’avevano sostenuta. Era la prima della famiglia a studiare musica. Ai tempi dell’università, quando aveva già vinto vari premi nazionali e internazionali, fu invitata a un concerto nella cattedrale di Sibiu: in quel momento ebbe il primo contatto con quello che anni dopo sarebbe diventato il suo strumento quotidiano. Quando il vecchio organista andò in pensione, il figlio che avrebbe dovuto prendere il suo posto decise di emigrare in Germania. Così Philippi ricevette la proposta di diventare l’organista della chiesa.

Parole vietate

Nelle prime settimane passate a Sibiu, quando stava ancora prendendo le misure di quello strumento imponente, un collega l’ha messa in guardia: “Vedi lì, accanto alla colonna in basso, quell’uomo in piedi? È il nostro securista (agente della Securitate, la polizia politica del regime di Nicolae Ceaușescu). Viene regolarmente, osserva tutto quello che succede, concerti e messe. E probabilmente poi va a spifferare tutto a chi di dovere”.

Philippi sapeva bene di essere controllata: dopo la rivoluzione del 1989, durante alcuni lavori di restauro, era stato trovato un microfono nell’ufficio del sacerdote capo. “I securisti osservavano tutto, ma in chiesa non interferivano molto. Riuscivamo a fare il nostro lavoro, c’era un certo margine di libertà”, ricorda la musicista. Ma bisognava stare attenti a evitare alcune parole vietate, per esempio “dio”, sui manifesti che annunciavano i concerti.

Per il resto, racconta, la situazione faceva comodo soprattutto allo stato, che incassava soldi dai concerti internazionali in cui si esibivano le artiste e gli artisti romeni. L’agenzia di stato per il lavoro artistico aveva contratti con i paesi di tutto il mondo. “Guadagnavano un bel po’ di soldi sulle nostre spalle”, spiega Philippi. “L’agenzia curava il contratto e gestiva le richieste di esibizioni, che venivano soprattutto dall’Europa dell’est. Ti davano il passaporto e il biglietto aereo. Ricevevamo un onorario, ma il resto dei soldi restava a loro. Se arrivava un invito dalla Francia o dalla Spagna bisognava supplicare per avere il passaporto, e poi al ritorno era necessario anche portare dei soldi. Ma non sono mai stata costretta a suonare qualcosa in particolare. L’organo non si presta alle opere musicali del socialismo, per questo forse non mi hanno fatto pressioni specifiche”.

Negli anni ottanta, come tante altre famiglie sassoni della Transilvania, i Philippi – i genitori con i tre figli – hanno pensato spesso di emigrare in Germania, idea che non hanno abbandonato neanche dopo il 1989. “Noi avevamo un lavoro meraviglioso, ma vedere i figli vivere al freddo, senza medicine era difficile. Quando ci siamo decisi era già troppo tardi, erano cresciuti e la Germania aveva chiuso le porte ai sassoni di Romania. Fino a poco prima chi voleva emigrare era accettato come cittadino tedesco. Si faceva la richiesta qui e la pratica poteva durare anche dodici anni. Oggi non è più possibile”.

Durante il regime di Nicolae Ceaușe­scu i nonni di Philippi soffrirono molto. “I comunisti li chiamavano kulaki (contadini benestanti, considerati controrivoluzionari), ma dovevano lavorare in una fattoria collettiva. Praticamente lavoravano, senza ricevere nulla in cambio, sulle terre che un tempo gli erano appartenute”.

Uno dei nonni era il proprietario della fabbrica di tessili Carpatex di Brașov, che fu requisita dal regime. Cacciati di casa, con due figli morti in guerra e tre ancora a carico, si trovarono in una situazione difficile. “Gli avevano tolto tutto. Mio nonno andò a vivere in campagna, in una specie di baracca. Ma era uno specialista dell’industria tessile e in città avevano molto bisogno di lui. Così lo spedirono in giro – a Bucarest, a Buhuși – per avviare nuove imprese. ‘Dobbiamo avere pazienza, questo sistema non può durare a lungo’, diceva il nonno. Purtroppo è morto prima del 1989, negli anni settanta”, racconta Philippi.

Sono passati nove anni da quando è andata in pensione. Ha provato a smettere di suonare, ma non c’è riuscita. È andata a vivere in un villaggio vicino a Brașov, dove passa il tempo a fare giardinaggio, ma in casa ha un piccolo organo e suona ancora. “Provo un grande piacere nello stare all’organo, per me è come un quarto figlio. Ci ho provato, ho detto a tutti ‘Non mi chiamate più’. Ho detto addio al lavoro, ma non ho saputo abbandonare lo strumento”.

Dopo il pensionamento di Philippi, e dopo un bel po’ di ricerche, il suo posto è stato assegnato a Brita Falch Leutert, che si è trasferita con la famiglia dalle isole Lofoten, in Norvegia, a Sibiu. È la seconda donna organista della cattedrale luterana locale. E ha il compito di portare avanti l’eredità di Ursula Philippi. ◆ mt

Biografia

1955 Nasce a Brașov, nella regione romena della Transilvania.
1979 Dopo gli studi al conservatorio vince due premi al concorso organistico internazionale Primavera di Praga e diventa insegnante di pianoforte.
1985 Diventa la prima donna organista della chiesa di Sibiu.
1997 Suona a Tokyo e Osaka, in Giappone.
2015 Va in pensione all’età di sessant’anni.


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Questo articolo è uscito sul numero 1594 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati